N.04
Luglio/Agosto 2019

Nel Signore possediamo tutto

La parola gioia ricorre spesso nel Rito di consacrazione delle Vergini, con un doppio riferimento: uno alla terra, l’altro al cielo: Cristo, Figlio della Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla terra1; Sii tu per loro la gioia, l’onore e l’unico volere; e ancora, perché siate accolte nella gioia del convito eterno. Il centro e la fonte di tale gioia è sempre il Cristo. Nel suo trattato sulla verginità, sant’Agostino sostiene che «la gioia delle vergini di Cristo, da Cristo, in Cristo, con Cristo, al seguito di Cristo, per mezzo di Cristo, in ordine a Cristo» è strettamente collegata con l’imitazione dell’Agnello che esse possono seguire ovunque vada, proprio in virtù della loro verginità (La santa verginità, 27). Ricorre poi altrettanto spesso la parola fedeltà; e benché parlando di questo si faccia sempre riferimento all’atteggiamento raccomandato alla vergine nei confronti del Signore sposo, si può dire anche qui, che il centro e la fonte di tale fedeltà, è comunque il Cristo. Chi, infatti, si domanda lo stesso rito di consacrazione – potrebbe non cedere agli sbandamenti della libertà, alle inquietudini dei sensi, agli stimoli dell’età, se non è sostenuto dalla grazia di Dio? 

Siamo abituati a pensare alla vocazione come ad una scelta, ed è corretto, ma anzitutto è una scelta di Dio che elegge e chiama e, solo in seconda battuta, è una scelta dell’uomo che risponde e lo segue. Vi è, dunque, un primato di Dio; è sempre sua la prima mossa. E, nella chiamata alla verginità, questa idea del primato della scelta di Dio si fa ancora più esplicita nelle parole del Rito di consacrazione con cui il Vescovo invoca l’aiuto dei santi affinché sostengano le consacrande che egli si è scelto. 

Entrambi, l’amore degli sposi e l’amore della Vergine consacrata a Dio, mettono in luce la realtà dell’amore trinitario e sono innestativivificandolo e alimentandosene al tempo stesso – nell’amore sponsale di Cristo per la Chiesa, sua sposa. La Verginità consacrata è per noi dono del Padre, sponsalità con Cristo e unzione dello Spirito e ci rende partecipi della misteriosa fecondità soprannaturale che scaturisce dall’amore verginale di Cristo per la Chiesa. Tuttavia, mentre il matrimonio è “sacramento”, ossia un “segno” terreno che rimanda ad una “realtà” futura, la consacrazione verginale non è un sacramento perché costituisce già la “realtà” futura che si fa “segno” per l’oggi. La stessa realtà cui tutti i battezzati sono chiamati nella vita escatologica, nel Regno dei Cieli, è anticipata nella vita della vergine consacrata, emula della condizione degli angeli. È per questo che san Cipriano dice alle vergini: «Quello che noi saremo un giorno voi avete già cominciato a esserlo» (De habitu virginum, 22), e  per lo stesso motivo  sant’Agostino sostiene che «La castità perfetta e perpetua è da scegliersi, non in relazione alla vita presente, ma a quella avvenire, non per questo mondo, ma per il Regno dei cieli» (La santa verginità, 22). 

A pensarci bene… quanta responsabilità racchiusa in un semplice proposito di castità perfetta! Come consacrate dell’Ordo virginum, a differenza dei religiosi, non emettiamo dei voti vincolandoci a vivere secondo una regola ricevuta. Semplicemente emettiamo il proposito di castità nel momento in cui la Chiesa ci riconosce il dono di essere state elette da Dio a tale chiamata. È il rito stesso di consacrazione, rivisto negli anni ‘70, ma rimasto, lungo i secoli, quasi identico alla formula originaria che ci invita ad essere vergini sagge dalla lampade accese che vanno incontro allo sposo con fervore, modestia, purezza di spirito, timore e amore: ferventi nella carità nulla antepongano al tuo amore; vivano con lode senza ambire la lode; a te solo diano gloria nella santità del corpo e nella purezza dello spirito; con amore ti temano, per amore ti servano.  

Tale consacrazione rappresenta un tesoro antico e sempre nuovo con cui siamo inserite e chiamate a partecipare attivamente alla realtà socio ecclesiale del nostro territorio. È in tal modo che si esplica il pilastro della diocesanità che ci radica nel cuore della Chiesa e del mondo. Il Vescovo ha, nei nostri confronti, la duplice funzione di padre e pastore che discerne la chiamata e ci accompagna nel cammino. Vivendo del nostro lavoro, le attività pastorali dovrebbero essere decise in dipendenza dagli impegni lavorativi, senza dimenticare che la nostra attività lavorativa e la vita ordinaria sono il nostro primo luogo di testimonianza ed evangelizzazione.  

È in Gesù che abbiamo la forza di sostenere le fatiche e le prove della vita ed è in Lui che trova alimento il nostro amore per ogni fratello che incontriamo, senza preferenze e senza attaccamenti. Per questo motivo, il Rito di consacrazione si conclude con la richiesta a Cristo di essere per noi consacrate l’unica ricchezza e il nostro tutto”: Sii tu per loro la gioia, l’onore e l’unico volere; sii tu il sollievo nell’afflizione; sii tu il consigliere nell’incertezza; sii tu la difesa nel pericolo, la pazienza nella prova, l’abbondanza nella povertà, il cibo nel digiuno, la medicina nell’infermità. In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto.