Quando l’uomo si misura con i propri limiti
"First Man" di Damien Chazelle è il racconto di uomo che conquista la Luna e ritrova la serenità familiare
Piccoli, grandi, uomini. Lungo questo filo rosso corre il film “First Man” (2018) che propone la parabola di un gruppo di astronauti, Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins, a bordo della navicella Apollo 11, inviati alla fine degli anni ’60 alla conquista della Luna – allunaggio avvenuto il 20 luglio 1969, esattamente 50 anni fa. L’opera rivela anche il percorso di riscatto di una famiglia graffiata dalla morte, che riesce a ritrovare un passo unitario e fiducioso.
First Man è stato il film di apertura della 75a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, firmato dal giovane regista statunitense Damien Chazelle (classe 1985), divenuto un autore di culto a Hollywood con una manciata di titoli all’attivo: Whiplash nel 2014, storia di formazione con un rapporto maestro-allievo segnato da grande severità, e La La Land nel 2016, ritratto di due giovani cercatori di sogni che si smarriscono nelle illusioni professionali, il tutto con una rivisitazione del genere musical in chiave pop. Il film lo ha portato a vincere il Premio Oscar come miglior regista, divenendo così il più giovane di sempre.
In First Man, Chazelle approfondisce la storia pubblica e privata di Neil Armstrong (Ryan Gosling), ispirandosi alla biografia scritta da James R. Hansen. Da un lato c’è l’astronauta Armstrong coraggioso e integerrimo, pronto a giocarsi oltre i limiti della scienza pur di far breccia nello spazio; Armstrong diventa immediatamente il simbolo di una comunità protesa all’incontro con l’infinto, tra aspettative e timori, che riesce a consegnare un’eredità importante alle generazioni future. Dall’altro troviamo Neil, marito e padre di famiglia, scosso dalla perdita della figlia più piccola, Karen, un evento che rischia di far deragliare la sua esistenza e l’unità familiare. Un legame però che resiste nonostante tutto, spingendosi oltre le domande ultime come la paura dinanzi all’oblio e gli interrogativi della fede.
First Man è un film visionario e poetico, cui Chazelle imprime un’impronta originale, forte e consapevole. A livello pastorale il film è consigliabile, problematico perché apre al confronto su problemi esistenziali e perché adatto al dibattito (www.cnvf.it).
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