N.03
Maggio/Giugno 2013

Giotto. Crocifissione

  1. Descrizione storico-analitica

 

Tra il 1304 e il 1306 Giotto si trovava a Padova, chiamato da Enrico Scrovegni, per affrescare la Cappella da lui fatta erigere al­cuni anni prima. Così facendo, intendeva espiare il peccato d’usura commesso dal padre, condannato da Dante all’inferno. Proprio in quegli anni, Giotto vi realizzò la sopra citata Crocifissione, che rientra a pieno titolo tra i suoi numerosi capolavori. Si trova sulla parete nord della Cappella, nella quale sono raffigurati, in successione, gli episodi della vita di Gioacchino ed Anna (riquadri 1-6), della vita di Maria (7-15) e della vita di Cristo (16-39). Il 40° riquadro è riservato al giudizio Universale, mentre il 41° e il 42° sono dedicati rispettiva­mente alle allegorie dei vizi e delle virtù. Il riquadro della Crocifissione è il 35°. A causa di danni sugli affreschi di Giotto, si resero necessari una decina d’interventi conservativi. Il primo della serie è databile tra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo; l’ultimo, nel 2001.

  1. Analisi iconografica

La fonte biblica della scena è la narrazione della Crocifissione se­condo il Vangelo di Giovanni (19,23-30). Gli elementi iconografici da analizzare sono i seguenti: innanzitutto, la predominanza del co­lore azzurro; soprattutto del cielo, ma anche del mantello di Maria Santissima. Non può sfuggire la presenza di dieci angeli intorno a Cristo – crocifisso e incoronato di spine – naturalmente, in posizio­ne centrale. Secondo Bellinati, con l’introduzione di queste pre­senze angeliche, Giotto avrebbe voluto raffigurare la partecipazione cosmica al dolore per la morte di Cristo. Sul cartiglio del Crocifisso la scritta «HIC. E. IESUS / NAZARENUS / REX IUDEORUM». La medesima iscrizione potrebbe essere stata ispirata da un dipinto del suo maestro, Cimabue, nel quale è pure presente.

Il Cristo qui raffigurato da Giotto non sembra subire passivamente la propria passione e morte. Al contrario: il pittore, attraverso il tema dell’innalzamento del Figlio, mette in opera perfettamente il “parados­so cristiano” perché, esattamente attraverso l’accettazione volontaria di una morte così cruenta, Cristo rivela pienamente la propria gloria e regalità. Attira tutti a sé, dal legno della croce – commissa – nella quale si nota pure la presenza di un suppedaneum, cioè del caratteristi­co piedistallo ligneo sul quale sono appoggiati i piedi di Cristo.

Ai piedi della croce Maria Maddalena, inginocchiata e in lacrime. Sotto la croce troviamo invece una piccola caverna e, al suo inter­no, un teschio. È quello di Adamo, riportato in vita dal sacrificio salvifico di Cristo.

A sinistra si trova la Vergine Maria: straziata dal dolore per l’in­giusta morte del Figlio, essa fatica a reggersi in piedi. In suo soc­corso, per sostenerla, compaiono l’evangelista Giovanni insieme a Maria di Cleofa. Dietro di loro, alcune teste appena accennate: si tratta della folla – testimonianza visibile dello “spettacolo della cro­ce” – presente anche in basso a destra. Ad attestare la spettacolarità dell’evento compare pure lo sventolio di una bandiera e l’innalza­mento di lance. Il tutto dietro i personaggi principali di questa se­zione – i soldati – i quali si disputano tra loro le vesti del Crocifisso.

Si ipotizza che il personaggio che si distingue, tra tutti, in posi­zione frontale, sia il centurione romano, il quale, a seguito del rico­noscimento della figliolanza divina di Cristo, si sarebbe meritato da Giotto un’aureola intorno al capo, e va così ad aggiungersi agli altri quindici personaggi provvisti di nimbo: Gesù, Giovanni Evangelista, le tre Marie e i dieci angeli.

  1. Un approccio vocazionale

Come è noto, in occasione del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962-2012) lo scorso 11 ottobre, Benedetto XVI ha voluto solennemente inaugurare l’anno della fede. Quella del Santo Padre è stata un’intuizione davvero lungimirante e provvi­denziale, perché ci aiuta a porre le domande fondamentali sulla fede cristiana e, di conseguenza, ci consente di poter rendere an­cora più salde le ragioni del credere: ne va della consapevolezza della nostra identità e dello spessore della nostra testimonianza. Se vogliamo rispondere alla domanda fondamentale – perché credere? – dobbiamo necessariamente essere ricondotti all’unità del mistero pasquale. Non crediamo infatti in un dio sui generis, ma nel Dio di Gesù Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza. Il dipinto della Crocifissione di Giotto aiuta poi a riflettere non solo sul fatto in sé della Crocifissione, ma anche sulla reazione di fronte ad essa. È lo snodo fondamentale della libertà personale di fronte al Mistero. Le possibilità sono soltanto due: l’accoglienza (e la sequela) di Cristo, oppure l’indifferenza e il rifiuto. I due gruppi di persone raffigurati nel quadro simboleggiano questi due opposti atteggiamenti. Porsi nel gruppo dei discepoli di Cristo significa radicare la fede non su un’idea o su un’ideologia, ma sull’Incontro con una Persona, la sola in grado di sottrarci ad un orizzonte puramente terreno, per spalan­care il cuore e il destino verso la speranza in una pienezza di vita e d’amore che non avrà mai fine.