Signore, apri la tua porta!
Dalla liturgia del Lunedì santo nella tradizione siro Occidentale
Le diversità culturali e linguistiche del mondo cristiano si sono, naturalmente, manifestate anche nel campo della liturgia. Anche chi non è uno specialista avrà senz’altro visto qualche volta una liturgia “ortodossa”, russa o greca, in occasione di un viaggio o di qualche film. Normalmente, ciò che viene indicato con “liturgia ortodossa” nel linguaggio comune non specialistico è la liturgia bizantina, che non è soltanto appannaggio della Chiesa Ortodossa, perché molte chiese orientali in comunione con Roma hanno lo stesso modo di celebrare: pensiamo alle chiese greco-cattoliche dell’Ucraina, dell’Ungheria, della Slovacchia, della Romania etc., così come le chiese italo-albanesi della Calabria o della Sicilia.
Meno conosciute, forse, sono le liturgie di quelle chiese nate dalle questioni sorte dopo il concilio di Calcedonia del 451. Tra queste vi sono quelle di lingua siriaca, che si dividono essenzialmente in tradizione siro-occidentale (la chiesa siro-ortodossa, per esempio) e siro-orientale (ad esempio, la chiesa assira).
Il testo che proponiamo questo mese è tratto dalla liturgia siro-occidentale per il Lunedì santo. In questo giorno, al mattutino, in sottofondo alla cerimonia detta delle Lampade, vi è la parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1-13). All’altare vi è una croce con attorno tutti gli strumenti che richiamano la Passione di Gesù (come in certi quadri della nostra tradizione latina, penso ad esempio al Beato Angelico). Inizia una processione, con una preghiera molto bella:
Come è bella questa notte in cui avviene l’incontro col nostro Salvatore; come è gloriosa, cara e bella; in essa si radunano giovani e vecchi, portando lampade e cantando inni; il battesimo è pronto come una sposa gloriosa e dà la vita a coloro che vi si tuffano e rinascono, alleluia, dal suo seno puro.
Notiamo subito come nella liturgia, soprattutto in quelle orientali, non c’è la preoccupazione della “cronologia storica”: siamo al Lunedì santo e già si parla di battesimo? Come una sposa gloriosa, che ricorda l’Apocalisse? E la vita che viene dal “tuffarsi e rinascere”? Sì, perché la liturgia è un tempo sacro, che non segue la logica del tempo cronologico, ma quella della salvezza, che è un punto concentrato in cui c’è già tutto, e che dipaniamo solo perché noi viviamo nel tempo.
Il vescovo, che canta il vangelo delle dieci vergini, appunto, e i fedeli con una lampada in mano escono e le porte della chiesa vengono chiuse. Viene allora cantato questo inno, che è il testo che proponiamo oggi:
Alla tua porta, Signore, io busso, e io chiedo, dal tuo tesoro, la misericordia.
Io sono un peccatore che lungo gli anni ho abbandonato il tuo cammino.
Dammi di confessare i miei peccati e io li eviterò e vivrò per la tua grazia.
Alla porta di chi, Signore misericordioso, andremo a bussare, se non alla tua? Chi avremo come intercessore per le nostre mancanze se la tua misericordia non intercedesse per noi…
Che il canto della nostra preghiera sia una chiave che apra la porta del cielo, e che gli arcangeli dicano nei suoi ordini: “Come dev’essere dolce il canto di quelli della terra perché il Signore ascolti subito le loro suppliche…
Il vescovo, infatti, batte tre volte con la sua croce cantando La porta delle tue misericordie, Signore… e alla terza volta la porta si apre e tutti entrano, e il popolo termina il canto del vescovo: non la chiudere davanti a noi, Signore! Riconosciamo che siamo peccatori, abbi pietà di noi!
A differenza delle vergini stolte che non avevano più olio, a noi ancora è data la possibilità di bussare al Signore (Mt 7,7), che riconosciamo essere l’unico a cui possiamo chiedere il perdono. Si chiede l’unica cosa che ha senso chiedere: la sua misericordia. C’è il riconoscimento che siamo stati noi ad andarcene con il nostro peccato. Si stabilisce una interessantissima correlazione tra il confessare i propri peccati e la possibilità di evitarli successivamente. E poi la stupenda parte finale dell’inno, dove non solo si chiede che il Signore consideri il canto del nostro pentimento come la chiave per aprirci di nuovo il paradiso, ma che nel farlo possa far dire agli angeli: quanto questo canto deve essere dolce all’Onnipotente, se in virtù di esso Egli perdona loro…!
L’azione della processione e del bussare fuori dalla chiesa, concordate alle parole dell’inno, rendono questa, come tutte le altre azioni liturgiche, una vera esperienza di guarigione.