Rispondere all’amore…si può
Vorrei immaginare come un momento di dialogo intimo e profondo, il messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI rivolge a tutte le comunità cristiane in occasione della prossima GMPV 2012, affermando con incisività: «Scolpitelo con forza dentro il vostro cuore: tutte le vocazioni sono dono della Carità, cioè dell’Amore gratuito di Dio».
Il Papa ci annuncia questo messaggio attraverso un breve ma intenso excursus biblico sulla tenerezza di Dio, che sa prendersi a cuore la realtà di ogni esperienza umana per darle un fine, un significato, un orizzonte verso il quale incamminarsi con semplicità e con coraggio.
«La fonte di ogni dono perfetto è Dio Amore: Deus caritas est. “Chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16)».
Noi siamo amati da Dio “prima” ancora di venire all’esistenza! Mosso esclusivamente dal suo amore incondizionato, Egli ci ha “creati dal nulla” (cf 2Mac 7,28) per condurci alla piena comunione con Sé.
La verità profonda della nostra esistenza è, dunque, racchiusa in questo sorprendente mistero: ogni creatura, in particolare ogni persona umana, è frutto di un pensiero e di un atto di amore di Dio, amore immenso, fedele, eterno (cf Ger 31,3).
La scoperta di questa realtà è ciò che cambia veramente la nostra vita nel profondo.
Occorre riannunciare, specialmente alle nuove generazioni, la bellezza invitante di questo amore divino, che precede e accompagna: esso è la molla segreta, è la motivazione che non viene meno, anche nelle circostanze più difficili.
Alla priora del monastero di Segovia, in pena per la drammatica situazione di sospensione in cui egli si trovava in quegli anni, San Giovanni della Croce così risponde: «Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio; e dove non c’è amore, metta amore e raccoglierà amore» (Epistolario, 26).
Sono questi alcuni passaggi di una prima parte del dialogo, con cui papa Benedetto ci interpella in maniera diretta e provocante. Di fronte a questo invito alla consapevolezza che ogni vita chiamata, ogni annuncio di beatitudine vocazionale è generato dall’ Amore luminoso di Dio, vorremmo trovare il coraggio di dire a noi stessi e all’uomo senza vocazione del nostro tempo, che si aggira smarrito, spaesato e dislocato: «Non temere, rispondere all’ Amore si può».
E questa sarà anche la strada della nostra armonia e serenità interiore.
- Le chiavi per dischiudere la porta dell’Amore
Nel rivisitare il tema proposto per questa Giornata – “Rispondere all’ Amore si può” – trovo significativa e pregnante una parabola del Vescovo di Aquisgrana, Klaus Hemmerle: essa ci invita ad individuare una sorta di key-pass, con cui dischiudere la porta dell’Amore.
«Sarebbe bello che ognuno di noi avesse quattro chiavi. Una chiave per la porta che dà sul retro: il Signore viene, dove e come non lo sappiamo. Viene in coloro che non ardiscono accostarsi alla grande porta maestra. Una chiave per la porta che dà verso l’interno: il Signore ci è più intimo del più profondo dell’anima nostra. Da lì egli entra nella casa della nostra vita. Una chiave per la porta di comunicazione che è stata murata, ricoperta con l’intonaco. Quella che dà su ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono più prossimi, che sono anche coloro che più ci sono estranei. Il signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta principale, il portale. Su quella soglia Gesù, con Maria e Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciar-lo decisamente entrare nella nostra vita, nel nostro mondo! Sapremo essere oggi, la sua Betlemme?».
- La porta della vigilanza: nel capitolo 12 del Vangelo di Luca ci sono delle micro-parabole che ci invitano a cogliere il senso del passaggio improvviso e repentino del Signore, vicino alle nostre vite. Non possiamo vivere in maniera distratta e indifferente; occorre essere tesi, pronti a scattare verso l’orizzonte che sta per schiudersi di fronte, uscendo dall’appannamento e dalla pesantezza del sonno: «Tenetevi pronti». L’accento delle parabole è posto sull’evento inaspettato, repentino ed improvviso. In particolare, la terza parabola parla di un padrone che “tarda a venire”. Il messaggio è in profonda sintonia con i tempi che stiamo vivendo: alla speranza e alla tensione nella fede e nell’amore dei primi tempi, stanno subentrando la freddezza, l’indifferenza gretta e pesante, il rimando di ogni impegno di vita e di scelta ad un “dopo”, che sembra essere divenuto lo slogan tipico del nostro modo di vivere. Ciascuno di noi è chiamato ad essere una “sentinella dell’aurora”: è importante ritrovare il senso dell’attesa, fatta di un misto di certezza e di stupore, di fortezza e di speranza.
- La porta della interiorità: rientrare in se stessi è essenziale, non è un optional, è costitutivo della stessa persona umana, per ritrovare il senso del proprio essere e del proprio andare. Ma dobbiamo fare i conti con una duplice spinta che c’è in noi: una forza centripeta, che ci riporta a contatto con il nostro nucleo interiore, più profondo e forse anche più fragile; ed una forza centrifuga, che ci sposta continuamente con il baricentro fuori da noi stessi, in una costante dinamica di allontanamento, fuga ed evasione. Noi tendiamo a privilegiare la forza centrifuga. Ci troviamo di fronte all’uomo “impaurito”, smarrito e confuso dei nostri giorni, intriso delle sue paure e delle sue fobie, incapace di guardarsi dentro e attorno. È un uomo “in fuga”, che scappa, che ha paura di se stesso, della sua zona d’ombra, di tutto quello che gli ricorda la propria fragilità e vulnerabilità.
- La porta della prossimità: per accogliere gli altri, occorre aver maturato una profonda capacità di accettazione di se stessi. L’accoglienza dell’altro deve passare attraverso la rinuncia delle mie aspettative nei suoi confronti. L’accoglienza dell’altro significa sperimentare momenti di profonda impotenza, fragilità e colpa, nel non essere all’altezza di come si vorrebbe essere nei suoi confronti. L’accoglienza dell’altro è uno sforzo per creare in lui e attorno a lui non un contesto di giudizio o di costante allarme, ma uno sottofondo di positività e pacatezza, che permetta ad una relazione di calarsi in profondità e di vivere il dono della intimità.
- Gesù, porta dell’Amore: il culmine della simbologia della porta è assunto da Gesù stesso, che si autodefinisce: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,7ss.). Risuonano, nell’Apocalisse, le parole dell’Angelo alla Chiesa di Laodicea: «Ecco, sto alla porta e busso» (Apoc 3,20). E ancora nell’Apocalisse (21,21), la Gerusalemme del cielo ha dodici porte e ciascuna è formata da una sola perla: la preziosità di questo passaggio. La porta della Chiesa, ma anche di ogni chiamata vocazionale nella vita, è Gesù stesso, che si definisce “la porta delle pecore” (Gv 10,7).
L’invito a rispondere all’amore significa, in concreto, una consapevolezza nuova ed una scelta di vivere il passaggio per ciascuna di queste “quattro porte”, vitali per la nostra esistenza.
È uno Stargate, una porta delle stelle che ci permette di impostare la vita stessa come una nuova chiamata: da figli della notte a figli della luce, da schiavi a liberi, da servi ad amici.
Da una vita complicata ad una vita essenzializzata, da una vita banale ad una vita significativa; da una vita inquieta ad una vita riconciliata; da una vita spaesata ad una vita che trova, finalmente, il suo punto di riferimento chiaro, cristallino e luminoso.
Un mistico sufita, la corrente monastica e contemplativa dell’Islam, Gialal Ed-Din Rumi, scrive:
«Il Signore ha bisbigliato qualcosa all’orecchio della rosa ed eccola aprirsi al sorriso; il Signore ha mormorato qualcosa al sasso ed eccolo divenire gemma preziosa, scintillante nella miniera; il Signore ha detto qualcosa all’orecchio del sole ed ecco la guancia del sole coprirsi di mille eclissi. Ma che cosa avrà mai bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo, perché egli solo sia capace di amare e di amarlo? Ha bisbigliato una sola parola: AMORE».