Il Centro Diocesano Vocazioni e la cultura del “dono di sé”
Don Narciso raccolse le ultime locandine che gli erano rimaste sul sedile posteriore dell’auto, come poté le mise sotto il braccio e, salendo verso casa, andò ripensando alla serata.
Un tipo di Direttore
L’incontro di animazione voca-zionale per la diocesi lo aveva soddisfatto, l’aveva preparato a dovere. I testi, presi dai sussidi del Centro Nazionale li aveva integrati a suo gusto; il momento di preghiera era stato guidato secondo lo schema, i canti li avevano eseguiti rispettando il ritmo. Gli apprezzamenti finali da parte di tutti gli facevano pensare che quello non era stato uno dei soliti barbosi incontri diocesani e che l’impostazione della pastorale vocazionale aveva imboccato la via giusta. Era contento di aver organizzato a puntino ed aver pensato a tutto; soddisfatto pure del funzionamento dello scanner, che, all’ultimo momento, gli aveva permesso di riprodurre in miniatura il logo della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Per un attimo gli balenò in mente che, se non fosse stato per lui, la serata non sarebbe riuscita; fu solo un istante e poi prese a riesaminare i diversi momenti, come per goderseli: i testi biblici, i tre che avevano offerto la loro testimonianza, le pause di silenzio, il giusto rilievo dei canti in risposta alla Parola. Tutto gli sembrò brillante. Davanti al televisore si fermò per un po’ di zapping, ma sfuggitegli le notizie principali del telegiornale, continuò a far scorrere i canali uno dietro l’altro e poi lasciò correre. Un appagamento generale gli invadeva la mente e gli suggerì di scrivere due righe di cronaca per il giornale diocesano, così da non sentir più affermare che per le vocazioni in diocesi non si stava facendo nulla. Di lì a poco cominciò già a cercare un titolo ad effetto per il suo articolo. Poi si avviò per la Compieta.
E un tipo di collaborazione
Dall’altra parte della città, anche Suor Narcisa era contenta. Nel rientrare si era fermata un attimo in refettorio, prima di ritirarsi in camera, cercava un po’ di frutta mentre pensava che di incontri così se ne sarebbero dovuti fare di più, poiché con loro due, lei e don Narciso, finalmente funzionava il Centro Diocesano Vocazioni. Disse a se stessa che di fronte a una serata così, le ragazze, non potevano non interrogarsi sul loro futuro e avviarsi ad entrare in Congregazione per un periodo di prova. La sua soddisfazione cresceva al pensiero di essere riuscita ad inserirsi nel CDV. Si sentiva forte, perché, con l’aiuto del nuovo Direttore, sarebbe stato un gioco far conoscere l’Istituto e il carisma al maggior numero possibile di ragazze. Le tornarono in mente quelle altre due suore della stessa zona pastorale, che pure erano disponibili a collaborare, ma che non si erano fatte più vive. Chissà perché, pensò, ma non andò a fondo con i suoi pensieri e le sembrò anche giusto che a quel posto ci fosse proprio lei. Si ricordò, fra l’altro, che in un ritiro di religiose, quelle due avevano assicurato che le rispettive Congregazioni raccoglievano tante vocazioni all’estero.
Andò avanti con i suoi pensieri e giunse a domandarsi: che bisogno potevano avere loro, di unirsi alla pastorale vocazionale della diocesi? Di far conoscere lì, nelle parrocchie, il loro carisma? Vocazioni non ne avevano già abbastanza? Anzi, la loro partecipazione non avrebbe fatto altro che allontanare ragazze dai campi vocazionali che si stavano programmando in Provincia. Considerate queste cose, concluse che tutto era un dono della Provvidenza, per il bene dell’Istituto naturalmente, compresa l’assenza di quelle due suore. Il CDV si rivelò segretamente come un complice che le offriva una grande opportunità: partecipare agli incontri vocazionali, facendole sentire una fierezza da privilegiati, per presentare il suo Istituto e le iniziative vocazionali in atto. Radunò le bucce della frutta che aveva piluccato, fece scorrere un po’ d’acqua fra le dita e si avviò al secondo piano, verso la camera. La pastorale vocazionale fatta in quel modo le sembrò per un momento l’unica cosa per cui valeva la pena svegliarsi il giorno dopo. Vuotando le tasche tirò fuori il ticket del tram, sul retro, un’oretta prima, aveva preso un appuntino; lo guardò compiaciuta, disse a se stessa che quella ragazza non doveva perdersela, poiché le sembrava adatta alla vita consacrata, e si propose di telefonare la mattina seguente alla Responsabile Provinciale, per informarla che alle iscrizioni per i campi vocazionali se ne aggiungeva una nuova! Procurare vocazioni le sembrò un gioco. Spense la luce, dopo le preghiere della Congregazione, e si affrettò a prendere sonno, così che l’indomani s’affrettasse ad arrivare.
Un piccolo test
1. Vi ha stupito questo racconto?
2. Vi è sembrato consono al vostro metodo?
Se la vostra risposta è 1), e il test vi ha sorpresi perché quanto è narrato, seppure in parabola, non si può chiamare pastorale vocazionale, allora non è necessario che andiate avanti a leggere; se, invece, la vostra risposta è 2), e i fatti narrati vi sembrano normali e appropriati, il proseguimento della lettura si rende necessario per chiarire le idee e condurvi ad una certa autocritica.
Il CDV e la PdV oggi
Ci sono stati, negli ultimi decenni, convegni, raduni, seminari di studio e addirittura un Simposio per fare il punto sulla pastorale vocazionale. Si sono riunite Commissioni Episcopali, italiane ed europee, sono stati pubblicati, diffusi e approfonditi i documenti finali, ma il tipo di pastorale vocazionale narrato – che celiando, con reminiscenze di diritto romano, potremmo chiamare la pastorale vocazionale della “gens Narcisa” – non è stato proposto da nessuna parte.
Al contrario, in questi anni si è detto che sono maturi i tempi per una pastorale unitaria; che accaparramento vocazionale e reclutamento sono la preistoria della pastorale vocazionale; che l’antagonismo fra istituti religiosi deve interrompersi; che la ricerca delle risposte vocazionali deve indirizzarsi nei luoghi ecclesiali dove la vita spirituale è curata stabilmente; che il soggetto della pastorale vocazionale sono le comunità vive, nella loro interezza; che un prete, una suora, un incontro, una chitarra, non assicurano nulla della consistenza vocazionale di un ragazzo o di una ragazza che dice di “avere la vocazione”.
Il Centro Nazionale Vocazioni sostiene da anni che senza un progetto, senza itinerari, non si approda a nulla. Lo stesso CNV ne propone ai direttori diocesani il metodo, progettando per tempo i temi delle Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni, senza affidarli al caso, con respiro decennale, di pari passo di volta in volta con il cammino della Chiesa italiana negli anni ‘80, negli anni ‘90. Proprio negli anni di “Evangelizzazione e Testimonianza della Carità” si è arrivati a riconoscere che l’uomo porta con sé una “costitutiva risonanza vocazionale” che fa di lui un candidato al Regno, e non un numero per rimpiazzo di preti o per la sopravvivenza di istituti religiosi sia maschili che femminili. Il CNV si è posto perciò anche a fianco dei direttori di vita spirituale, offrendo loro un Seminario annuale che li sostenga nella preziosa opera dell’accompagnamento vocazionale, dopo le fasi dell’annuncio, prima, e proposta personale, dopo.
Non ripiegamento compiaciuto
Ormai che siamo usciti dalla metafora, guardiamoci intorno e, forse, scopriremo che il modello di pastorale vocazionale ripiegata su se stessa, dei CDV con don Narciso, suor Narcisa & C., della pastorale che si consuma in una sera, che punta sulle emozioni intense, che mira a “prendere” vocazioni, è ancora in atto. Come addetti ai lavori, ci domandiamo: dove sono finite le sollecitazioni del CNV? Chi fa tesoro del metodo, del cammino, dei contenuti, degli obiettivi suggeriti dal Centro Nazionale? Per rispondere, dovremmo dire: non certo i parroci, che non hanno un canale diretto per comunicare con il CNV, se non attraverso la mediazione dell’incaricato diocesano. Tanto meno tutti quei catechisti e catechiste che, salvo rari casi, neanche immaginano quanto sia ricco il filone della dimensione vocazionale nei catechismi. E neanche possono farne tesoro tutti quei papà e mamme che, pur nella semplicità della loro fede e nella ferialità della vita domestica, con un po’ di aiuto potrebbero trasmettere nel cuore dei figli, a poco a poco, il senso creaturale della vita per rimetterla a servizio del Creatore.
Ne dovrebbero usufruire, invece, i CDV i cui direttori e collaboratori hanno numerosi e diversi appuntamenti predisposti dal CNV.
Ma dono generoso di sé
Stiamo parlando del Centro Diocesano Vocazioni che è nato all’indomani del Concilio Vaticano II, per superare le vecchie difficoltà di apostolato e passare dal raccogliere vocazioni alla animazione in senso vocazionale di tutte e singole le realtà particolari. Oggi il CDV si presenta come un soggetto unitario e molteplice – per le varie categorie vocazionali che lo compongono – che, spendendosi concretamente nella Chiesa locale, si adopera per la diffusione della cultura del dono di sé, con paziente umiltà e nello stile che gli è proprio: animare, favorire l’incontro con Dio (con l’Assoluto, non con don Tizio o suor Caia), e mettersi da parte. Dove è ancora sogno e dove è già realtà, che un CDV, con l’Ufficio di Pastorale Familiare o con l’Ufficio Liturgico, con l’Ufficio Catechistico o l’Ufficio Scuola, con il Centro di Pastorale Giovanile, s’impegni a diffondere all’interno della Chiesa particolare la cultura del “dono di sé”?
Dove è già realtà che l’“IO” del Centro Diocesano Vocazioni sia il risultato di tanti “TU”? Un CDV che per te Ufficio della Famiglia o della Liturgia, con te Ufficio Catechistico, Ufficio Scuola, con te e per te Pastorale Giovanile, per voi parroci e rispettive comunità, per voi e con voi religiosi e religiose, si metta disinteressatamente a servizio della relativa individuale vocazione? Un Centro Diocesano Vocazioni che opera così, realizza il gioioso compito di risvegliare nei parroci come negli animatori, nelle comunità come nei singoli, in un ufficio pastorale come in una comunità di vita consacrata, il senso costitutivo del dono personale, dell’offerta di sé. In una parola, il CDV alla lunga può conferire alla diocesi uno stile che aiuti il cristiano a realizzare se stesso in un atteggiamento concreto e permanente di donazione e comunicazione, con Dio, con i fratelli e con il mondo.
Ognuno vede che agendo in questa direzione non si dà luogo all’attuazione di un piano programmatico qualunque, ma si apre la strada al fine vero per cui l’uomo è stato creato, la sua vocazione.