La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena
Se il Dio dei filosofi appare come il motore immobile, chiuso e distaccato nell’inaccessibilità del suo cielo, non è così del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo: un Dio palpitante che gioisce e soffre per le sue creature, che entra in relazione con gli uomini a partire dalla sua parola e dalle sue azioni nella storia. La Bibbia rivela il volto del Dio che è Amore e che, in quanto tale, è effusivo di gioia. In questo articolo vogliamo vedere come la gioia non sia un sentimento estraneo a Dio e di conseguenza come entri nelle sue parole rivolte agli uomini e nelle azioni da lui compiute per il suo popolo.
Dio gioisce
Già il racconto della creazione ci parla di Dio che si compiace delle sue opere, tanto che il racconto sacerdotale di Gn 1 è ritmato dalla sottolineatura della compiacenza divina che accompagnava il comparire dei vari elementi del mondo. “E Dio vide che era cosa buona” è il ritornello del poema creazionale che in un crescendo giunge all’uomo che è la “cosa molto buona”. Il tema della gioia del Dio che crea compare anche nel salmo 104, racconto delle origini del mondo che si fa preghiera del salmista stupito di fronte allo splendore dell’opera divina, tanto da arrivare a dire “gioisca il Signore delle sue opere” (Sal 104,31).
Dio gioisce della gioia delle sue creature ed essa è l’armoniosa risposta di amore al loro Creatore, così come scrive il profeta Baruc a proposito delle stelle: “egli le chiama ed esse rispondono: Eccoci! e brillano di gioia per colui che le ha create” (Bar 3,34-35).
La liberazione dalla schiavitù dell’Egitto con il passaggio del mare e il vagare nel deserto furono ugualmente accompagnati da un sentimento di gioia da parte di Dio, tanto che nel riassumere tutta la vicenda esodale Mosè arriva a dire che “Dio gioiva nel beneficarvi” (Dt 28,63). L’eco delle gesta del Dio d’Israele la si trova nel salmo 68, dove il rallegrarsi dei prigionieri diventa implicitamente la gioia del Liberatore (cfr. Sal 68,7).
Così un po’ tutto il Salterio lo si può considerare il libro che racconta e celebra la gioia di Dio mentre essa si fa nella storia motivo di giubilo per Israele. E che dire dei bellissimi primi tre versetti del c. 61 del profeta Isaia? Sono il proclama di uno che sa di essere inviato da Dio e reso idoneo ad annunziare il messaggio della gioia salvifica. È Dio che dà “l’olio della gioia” e del suo popolo (Is 61,1-3). Così pure l’invocazione a Dio del poeta “fammi sentire gioia e letizia” è la supplica di chi sa che l’origine della gioia sta nel Signore (Sal 51,10). Tanto che si può far festa attorno al banchetto ben imbandito poiché “la gioia del Signore è la vostra forza” (Ne 8,10).
L’uomo gioisce
Dal momento che l’atto creativo di Dio ha prodotto “cose buone”, l’AT ha molto in considerazione le gioie terrene, ritenute dall’autore del Qoèlet un “dono” di Dio per fugare la malinconia e l’inquietudine a causa della caducità dei beni terreni (cfr. Qo 2,24-26; 8,15). È una visione positiva del creato; le meraviglie che esso contiene sono un continuo rimando alla gloria ineffabile del Creatore e alla sua benedizione. L’uomo gioisce per il frutto del suo lavoro, per l’abbondante raccolta di grano e d’uva, dei frutti, per la fecondità e per la nascita di un figlio, per la vittoria militare, per la consacrazione del re, per il ritorno degli esiliati, per l’armonia familiare, per una moglie virtuosa, per il dono della Legge, per il peccato perdonato. Queste gioie sono un premio offerto da Dio a chi è fedele agli impegni dell’alleanza stretta con lui (cfr. Dt 28,3-6).
La fonte della gioia è in Dio. Il credente, infatti, sa che Dio è il nome proprio della gioia che può colmare la fame e la sete del cuore umano. Il Tempio, per il pio israelita, è lo “spazio” del rallegramento, dove la gioia del singolo credente diventa coinvolgente fino ad essere di tutta l’assemblea radunata alla presenza di Dio. Si va verso la “casa” di Dio pellegrinando in festa, cantando i salmi dove è tradotto in poesia e in preghiera il sentimento gioioso di Israele per il suo Signore. Nel Tempio si offrono i sacrifici come manifestazione di gioia condivisa con tutti, anche con gli schiavi (cfr. Dt 12,11-12). Il Sabato è il “tempo” in cui Israele si delizia dell’incontro con il suo Signore; è “il giorno che il Signore ha fatto per la sua gioia e la sua letizia” (Sal 118,24). È il giorno santo in cui non è lecito affliggersi, né fare lutto poiché Dio gioisce (cfr. Ne 8,9-11).
Il culto del Sabato e la liturgia del Tempio ricordavano ad Israele le grandi azioni compiute da Dio in suo favore, alimentando così la speranza nel nuovo esodo nel quale si rivelerà il Dio senza uguali, salvatore universale, così come annunzia particolarmente il profeta Isaia (cfr. Is 45,5-8). Allora sarà la nuova gioia, la gioia messianica (9,2), accompagnata dal creato esultante: il deserto fiorirà (35,1); dinanzi all’azione di Dio i cieli gronderanno gioia e la terra sussulterà nel giubilo (44,23), mentre i prigionieri liberati, e finalmente giunti sulla via santa di Sion, non potranno trattenere le urla di gioia (35,10). I servi di Dio canteranno, con la gioia nel cuore, in una creazione rinnovata; poiché Dio farà di Gerusalemme “gioia” e del suo popolo “letizia” (65,14.18).
L’artefice di questa opera di salvezza sarà il re messia che viene a Sion nell’umiltà; l’accolga essa nell’esultanza! (Zc 9,9). Il messia promesso farà scomparire per sempre l’angoscia e la tristezza mortificante introdotte nel mondo dal peccato originale e che nascondono allo sguardo dell’uomo il volto gioioso del suo Creatore e Padre. Egli veramente “tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (Is 25,8).
Gesù Cristo: gioia di Dio, gioia dell’uomo
Attraverso le tappe di un lungo cammino, prima di un uomo, poi di una tribù, poi di un popolo, si arriverà al momento stabilito per l’apparizione nel mondo dell’Uomo che ha il volto gioioso di Dio. Egli è il Figlio dell’Uomo che viene a ristabilire la gioia di Dio nel creato. Come Abramo che esulta pensandovi (cfr. Gv 8,56), già da lontano i patriarchi contemplano l’approssimarsi del Salvatore e al suo nascere – ci racconta l’evangelista Luca che più degli altri è sensibile al tema del gioire (cfr. Lc 1-2) – sarà davvero annunziato come “una gioia grande” per tutto il popolo (Lc 2,10).L’imminenza dei tempi nuovi è avvertita dai profeti come una linfa primaverile che preme dietro la scorza del ramo spoglio. Persino Giovanni il Battista, l’“ultimo dei profeti”, ancor prima di nascere sussulta di gioia nel seno materno (cfr. Lc 1,41.44). L’anelito alla gioia si concentra in Maria di Nazareth, salutata da Gabriele con l’invito a gioire (cfr. Lc 1,28). Su questo lembo di terra verginale Dio, come nella prima creazione, può davvero posare il suo sguardo e gioire esclamando: “è cosa molto buona”. Nel grembo di Maria fiorisce la gioia divina, il Salvatore, colui che viene a guarire l’uomo dalla tristezza del peccato. Il sì di Maria, è il sì alla felicità eterna del genere umano chiamato a corrispondere al disegno di Dio. Il suo canto del Magnificat è un’esplosione di esultanza per il compimento delle promesse salvifiche fatte agli antichi padri d’Israele (cfr. Lc 1,46-55), che ora si fa carne in lei.
Il Regno di Dio si rende presente in Gesù (cfr. Mc 1,45 par; Lc 17,21). Al suo apparire sulla scena della vita pubblica, il primo a percepire il suo divino mistero di gioia è ancora il Battista. Egli è l’amico dello sposo alla cui voce, segno della sua presenza che non permette ai discepoli di digiunare (cfr. Lc 5,34 par), si riempie di gioia (cfr. Gv 3,29). Non potrebbe essere altrimenti, poiché Gesù è l’inviato ad “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Sempre nel terzo Vangelo, si legge: “Gesù esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,21). È un’espressione unica nel NT. La gioia di Gesù è la gioia del Figlio che, si compiace nel Padre al quale piace rivelare i misteri del Regno ai “piccoli”. Essa è costitutiva della sua vocazione e della sua missione. Non è semplicemente una reazione emotiva ma è uno stato festivo dello spirito, una mozione dello Spirito Santo. Gesù esulta perché è ripieno di Spirito di Dio. E tra i frutti dello Spirito c’è la gioia (cfr. Gal 5,21).
Gesù dice che la sua gioia è di essere uno con il Padre e di fare tutto ciò che piace al Padre. Questa perfetta intesa è segno dell’amore che li unisce e li fa reciproco dono. La gioia di Gesù consiste proprio nel rivelare il Padre agli uomini che egli ama, per far loro conoscere il valore della vita e il segreto della felicità (cfr. Lc 10,2). Eppure, non tutti coloro che lo incontrarono si lasciarono attrarre da lui. Per introdurre gli uomini nella gioia del Padre, Gesù ha dovuto farsi dolore, passando attraverso la notte oscura dell’angoscia e poi della morte. In tal modo, egli insegna all’uomo a far scaturire la gioia dentro di sé vivendo il comandamento dell’amore e attraversando il cammino della purificazione e dell’obbedienza. La sua predicazione si inaugura con la proclamazione delle beatitudini (cfr. Lc 6,20-23; Mt 5,1-12). È un discorso paradossale che annunzia una gioia presente nel dolore. È impossibile gustare la gioia senza bere il calice dell’amarezza che Gesù stesso è venuto a bere con noi e per noi (cfr. Lc 9,18-26 par). Per ricostituire il genere umano nella sua vocazione originaria- cioè la gioia della vita – Gesù accetta di patire e di marcire come seme nella terra. Sempre si semina nel pianto, dando la semente alla morte, ma in vista di una grande gioia (cfr. Sal 126,5-6). E la gioia grande arriva e sarà sempre presente perché finalmente il Crocifisso genera attraverso la sua Croce l’umanità nuova che vive nell’amore e nella speranza, dal momento che è ristabilita nel rapporto vitale con la sua fonte: Dio. E se prima la gioia divina rimaneva velata nella debolezza della carne, adesso nel corpo glorioso del Risorto essa risplende in tutto il suo fulgore. Pasqua è “la gioia piena” a cui il progetto salvifico di Dio vuol condurci.
I discepoli saranno colmati di gioia dal Risorto quando li saluterà con “Pace” (cfr. Gv 20,19-21) ed essi comprenderanno, attraverso l’opera del Paraclito, quello che Gesù ha rivelato, una comprensione che impegna il loro modo di vivere la sequela. La connessione tra comprensione per mezzo dello Spirito e gioia è espressa in 1 Gv 1,4 dove l’autore dice che egli scrive di ciò che ha visto e udito di Gesù perché “la nostra gioia sia perfetta”. La vocazione di ogni discepolo che si mette alla sequela del Cristo, è di arrivare al compimento della gioia. L’evangelista Giovanni scrive: “la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11) e in questo versetto accenna brevemente a ciò che ha detto di passaggio in 14,28 e poi trattato a lungo in 16, 20-24.1 discepoli sono predisposti dal Signore a ricevere la “sua” gioia che diverrà per loro piena e perfetta. Quella di Gesù è una gioia che l’evangelista caratterizza con l’aggettivo possessivo “mia”. Tale aggettivo “mia” conferisce al tema della gioia un’intensa concentrazione cristologica, e poiché nella totalità dei passi in cui ricorre il possessivo è menzionato sempre anche Dio Padre, tale aggettivo assume anche una concentrazione teologica, così che la gioia propria di Gesù si realizza in riferimento al Padre. Essa scaturisce dall’unione di Gesù con il Padre che trova espressione nell’obbedienza e nell’amore (cfr. Gv 14,31).
L’obbedienza e l’amore a cui Gesù a sua volta invita i discepoli costituiscono ed insieme testimoniano la loro unione con lui; e proprio questa unione sarà la fonte della loro gioia. Così “la mia gioia”, come “la mia pace”, è un dono salvifico. Spesso il quarto evangelista associa nel suo Vangelo la “gioia” all’opera salvifica di Gesù (cfr. Gv 3,29; 4,36; 8;56;11,15; 14,28). Quindi, anche nel caso presente, se la gioia scaturisce dall’unione con il Padre – essa arriverà a compimento quando gli stessi discepoli continueranno la missione del Cristo nel mondo e porteranno frutto (cfr. Gv 15,4). I discepoli, con la gioia perfetta del Signore Risorto, condurranno alla luce della fede e alla salvezza gli altri uomini, radunandoli nell’unità della comunione agapica. Questo è il loro ministero di gioia, che fa di essi degli uomini di “perfetta letizia”.
La rivelazione della gioia di Gesù, che i testi neotestamentari ci offrono, non riguarda evidentemente un sentimento psicologico, ma una realtà divina che emerge, si esprime e trabocca nell’umanità di Cristo assunta dal Figlio di Dio per la salvezza degli uomini, per la beatitudine dei credenti. Una gioia che continua a riempire gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo attraverso il ministero degli apostoli e la missione della Chiesa. Veramente Gesù è la gioia di Dio Padre e la gioia degli uomini!
La gioia di Gesù resta comunque un mistero; non già un mistero per la sua intensa, abbagliante luce, giacché la gioia era in Gesù l’emergere sul volto umano del mistero del Figlio di Dio generato e mandato dal Padre a donare la presenza consolante dello Spirito suscitatore di ogni carisma.