N.04
Luglio/Agosto 1998

Una diocesi forma il catechista-animatore dei giovani all’animazione vocazionale

“Essere catechisti di qualità, ecco ciò a cui deve aspirare chi oggi si impegna in questo importante compito”. È stato questo l’obiettivo che il Papa ha dato alla Chiesa italiana al convegno nazionale dei catechisti nell’ aprile del 1988.

 

 

Catechisti di qualità!

Queste parole del Papa hanno dato maggiore impulso nelle nostre diocesi a tutta una serie di convegni, scuole di formazione, incontri di studio per aiutare i catechisti a fare quel salto di qualità che Giovanni Paolo II auspicava. Dobbiamo però constatare che un po’ tutti, con un pizzico di orgoglio, vogliamo ad ogni costo essere originali attingendo a piene mani dal “pozzo” della nostra fantasia, trascurando quell’enorme ricchezza di riflessioni ed esperienze racchiuse nei Documenti. E, a proposito della formazione dei catechisti, il mio pensiero va immediatamente al documento dell’Ufficio Catechistico Nazionale dell’aprile del 1991: “Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti”[1]. Ho l’impressione che questo documento non sia stato del tutto valorizzato e che sia scivolato rapidamente negli scaffali delle nostre biblioteche, senza lasciare alcun segno di vita.

Forse perché serpeggia ancora nelle nostre comunità un istintivo rifiuto per tutto ciò che riguarda la programmazione e gli itinerari educativi. Anche le nostre comunità subiscono gli assalti mortali del virus “tutto e subito”, che circola nella nostra società. C’è stato, invece, chi non ha lasciato cadere nel nulla i suggerimenti proposti in quel Documento e, mettendo insieme le forze del CDV e dell’Ufficio Catechistico Diocesano, ha ipotizzato delle tappe di formazione per i catechisti della diocesi.

 

 

Due errori da evitare

L’impegno della formazione richiede che le comunità non si preoccupino di far quadrare l’organigramma dei catechisti, reclutando persone all’ultimo minuto, senza badare eccessivamente se in essi siano presenti o meno i requisiti richiesti. Non potrà mai diventare “un animatore vocazionale” quel catechista che è stato afferrato per i capelli solo perché non si è trovato nessun altro. La condizione necessaria perché un catechista dei giovani diventi animatore vocazionale è che egli per primo viva il suo impegno come una particolare chiamata ad accompagnare i giovani nel loro cammino di fede.

Se questo pericolo, oggi, credo che non sia per fortuna frequente, ve n’è un altro che sembra diffondersi a macchia d’olio: il pensare che la formazione consista esclusivamente nell’acquisizione di conoscenze. Questo comporta che si spendano enormi energie perché i catechisti arricchiscano il loro sapere (antropologico, sociologico, teologico, ecclesiologico, biblico, liturgico…) dimenticando che tutto questo non sarà efficace se non sarà supportato da una autentica testimonianza di vita cristiana.

A questi due pericoli accenna brevemente, ma con chiarezza il Documento[2]. I criteri che ispirano la scelta dei catechisti e il tipo di formazione che la comunità offre loro diventano così un indice che rivela la qualità della vita della comunità. Come sempre, l’impegno di formare alcuni, non può che trasformarsi in occasione di crescita per tutta la comunità.

 

 

Esperienze di spiritualità

Il CDV e l’UCD si sono impegnati nell’offrire ai catechisti tutti quegli strumenti necessari per il loro servizio: fornire le coordinate per aiutarli a leggere e interpretare la realtà giovanile, con particolare attenzione al proprio territorio; decodificare i messaggi per percepire i bisogni e le invocazioni che provengono dal cuore di ogni giovane; condurre i giovani ad incontrarsi con Cristo nella Parola, nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti e nella testimonianza della canta, conoscere e saper presentare la ricchezza e la specificità di ogni vocazione; sollecitare i giovani a raggiungere la piena realizzazione della loro vita “nel dono sincero di sé”…

Tutto questo attraverso incontri con “esperti” e “testimoni”. Ma consapevoli che il catechista è chiamato ad essere non solo un “maestro”, ma soprattutto un testimone, si è puntato decisamente su alcune esperienze di spiritualità:

– Lectio divina: per offrire loro l’opportunità di mettersi a confronto con la Parola di Dio, lasciandosi interpellare da essa, per evitare che “diventi vano predicatore della Parola di Dio all’esterno, chi non l’ascolta interiormente” (S. Agostino);

– Ritiri, Esercizi Spirituali…: occasioni privilegiate per mettersi in ascolto degli appelli dello Spirito e rendersi disponibili a lasciarsi condurre da Lui; per tenere, inoltre, sempre viva la consapevolezza che nell’accompagnamento dei giovani alla maturità di fede non tutto dipende dal catechista, ma molto dipende dalla loro capacità e da quella dei giovani di percepire e obbedire alla voce dello Spirito;

– Direzione spirituale: per evitare che il fare prevalga sull’essere e per accompagnarli a vivere con fedeltà la loro vocazione personale.

Ci sembra essere vincente la scelta di puntare decisamente sulla proposta di forti esperienze di spiritualità, confortati in questo anche dalle indicazioni del Documento[3]. Del resto come potrebbe un catechista aiutare un giovane a discernere ciò che lo Spirito gli chiede, se egli per primo non è abituato a mettersi in ascolto dello Spirito e a comprenderne la voce?

 

 

Esperienze di comunione nella Chiesa

Se ci limitiamo anche solo a dare uno sguardo superficiale alla nostra società vediamo come tante famiglie, anche giovanissime, si sfasciano per i motivi più disparati mentre sono in aumento i “single” o gli scapoloni. Tutto questo ci dice della difficoltà a saper vivere insieme. Anche nelle nostre comunità, nonostante i programmi pastorali e i pronunciamenti del Magistero, si nota una certa fatica a saper lavorare insieme. Prevale l’individualismo.

Ma un catechista se vuole essere un animatore vocazionale non può non diventare una persona di comunione! Una comunione che deve sapersi tradurre in atteggiamenti concreti:

– nella partecipazione attiva e responsabile alla vita della comunità, perché “prima di essere incaricato di un compito specifico ogni cristiano è fratello nella comunità, si alimenta alle sue sorgenti e a sua volta ne promuove la fecondità”[4];

– nella disponibilità a lavorare nella “coralità”, sapendo che la complessità odierna “non può tramutarsi in un aumento indefinito di compiti e di competenze dei catechisti, né nella pretesa di approdare a una unica figura-tipo di catechista. Occorre invece far posto a figure diverse e complementari che sanno integrarsi tra di loro e con gli altri ministeri attivi nella comunità cristiana”[5];

– nella stima e nell’accoglienza delle diverse vocazioni, nella convinzione che “la viva esperienza della ordinata complementarità carismatica e ministeriale propria della Chiesa condurrà quasi spontaneamente i catechisti a comprendere e a mettere in atto la dimensione vocazionale della catechesi”[6];

– nell’impegno a farsi voce della Parola che interpella ogni giovane a fare della propria vita un dono di Dio per i fratelli, impegnandosi a farsi “attenti al progressivo affiorare dei doni di ciascuno ed eventualmente a orientarli verso persone e ambienti idonei a un saggio discernimento e alla formazione corrispettiva”[7];

Queste piccole note di viaggio sono nate dalla convinzione che solo una solida spiritualità e una forte esperienza di comunione ecclesiale genereranno “questa apertura e capacità vocazionale della catechesi, correttamente intesa, ossia non come proselitismo o reclutamento vocazionale, ma come fiorire della vita cristiana, che è certo uno dei segni della sua maturità ed ecclesialità. Essa ricorda anche a ogni azione di promozione vocazionale che senza solido ancoramento a un valido itinerario di catechesi, rischierebbe di essere un tentativo senza radici”[8].

 

 

Conclusione

Mi piace concludere questi suggerimenti per formare dei catechisti animatori dei giovani all’animazione vocazionale, riportando una frase della Lettera di riconsegna del Documento di Base: “Una chiesa non la si organizza, ma la si genera con la fecondità dei carismi. E, fra tutti i carismi, quello della santità è il più fecondo. Al vigore del linguaggio, alla forza degli argomenti, alle efficienza delle strutture, la sensibilità dell’uomo contemporaneo può anche opporre resistenza: ma si arrende facilmente ai segni della santità” (n. 14).

 

 

 

 

 

Note

[1] Citeremo questo Documento con la sigla OIFC.

[2] “Va dunque evitato sia il funzionalismo che tenderebbe a reclutare i catechisti come prestatori d’opera sotto la pressione dei bisogni della comunità, sia il professionalismo per il quale varrebbe la competenza individuale, quasi autonoma rispetto alla comunità” (OIFC, II, 1).

[3] “La competenza propria dei catechisti nella chiesa e della chiesa si misura dunque su questo obiettivo: assecondare l’azione dello Spirito che si prende cura di ogni uomo, dall’interno della sua coscienza e della sua libertà, per promuovere in lui la capacità della decisione di fede in Cristo Signore e la sua maturità, nelle e secondo le diverse età e condizioni della vita” (OIFC, III, 2).

[4] OIFC, II, 1.

[5] OIFC, II, 3.

[6] Ibidem, II, 4.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.