N.03
Maggio/Giugno 1997

Comunicazione e vocazioni

L’idea del presente numero di ‘Vocazioni’ tematizzato su “Comunicazione e vocazioni”, è nata da alcuni interrogativi che stanno passando nel cuore di non pochi educatori alla fede: come comunicare, annunciare il “Vangelo della vocazione” all’uomo, specificamente ai giovani di oggi, formati dalla cultura dei media? Ed ancora come utilizzare i moderni mezzi della comunicazione sociale per l’annuncio vocazionale? Questi interrogativi – che rivelano la naturale passione degli animatori vocazionali perché il giovane credente si apra a vivere la “vita di vocazione” e si renda disponibile a discernere la propria “vocazione personale” – porta con sé quattro “parole chiave”: vocazione, comunicazione, cultura, media. Da parte mia offro solo qualche suggestione introduttiva a tali interrogativi, focalizzando le quattro parole in questione.

 

 

 

1. Vocazione

In principio era la Comunicazione. Potrebbe dirsi anche così il primo versetto del prologo di Giovanni In principio era il Verbo

ha esordito la prof.ssa Paola Ricci Sindoni, nell’introduzione ai lavori del primo ambito su “La cultura e la comunicazione sociale” al Convegno Ecclesiale di Palermo. Ed ha aggiunto:

“Per tornare a comunicare, per guarire le parole non serve qualche invenzione linguistica né alcuna nuova idea, ma un ritorno consapevole all’origine di quella Parola uscita dal cuore di Dio, l’unica disposta a regalare il senso, lo spessore, la qualità, l’ampiezza, la profondità alle nostre tante parole” [1].

 

La vocazione è Parola di Dio: è comunicazione divina.

“Il comunicare di Dio con l’uomo, radice e immagine perfetta di ogni comunicare nel mondo, non è a senso unico (parola di Dio – ascolto dell’uomo). Esso suscita un circuito di risposta che è proprio di ogni comunicare autentico: parola-ascolto risposta. Dio richiede dall’uomo anzitutto l’ascolto e l’accoglienza fiduciosa della sua Parola: la fede. È la prima risposta che l’uomo dà con tutto se stesso a Dio che parla, ricevendo il suo messaggio e accogliendolo come principio e norma per la sua esistenza”[2].

 

Partendo dalla Bibbia, che si potrebbe definire il libro delle vocazioni, emerge una visione dell’uomo, un’antropologia soprannaturale, secondo la quale l’uomo si definisce essenzialmente perla sua capacità di essere interpellato da Dio e di rispondere all’appello di Dio. Ogni vocazione si situa tra grazia (l’amore di Dio che chiama) e libertà dell’uomo (che nell’amore risponde a Dio).

Partendo invece dalla visione dell’uomo, così come emerge dal pensiero contemporaneo, la filosofia moderna non parla di vocazione dell’uomo, ma di progetto.

Progetto è ciò che resta di vocazione, una volta eliminata ogni idea di grazia e di chiamata da parte di Qualcuno che sia al di fuori del soggetto.

Progetto – come categoria fondamentale con cui il pensiero filosofico moderno si sforza d’interpretare l’esistenza – è la vocazione in chiave secolarizzata, ridotta alla sola componente di libertà umana. L’uomo progetto è l’uomo che si programma autonomamente, che traccia da solo il corso della sua vita, come il fiume, avanzando, si scava da solo il suo letto. La vita dell’uomo, come vocazione, scorre invece tutta tra grazia e libertà[3]

Questo è il canale autentico della comunicazione tra Dio e l’uomo, il “chiamato” per eccellenza tra gli esseri viventi nella storia della salvezza.

 

 

 

2. Comunicazione

La storia dell’umanità – letta in chiave di comunicazione ovvero sotto il profilo del modo di comunicare – si può suddividere in tre ere.

La prima era – circa tre millenni, sino alla scoperta della scrittura – è quella pittografica, caratterizzata da una concezione ideogrammatica, tipicamente orientale.

La seconda era – altrettanti millenni caratterizzati dalla scrittura – è quella concettuale, rievocativa e simbolica, prevalentemente greco-romana, quindi occidentale, che arriva sino a noi.

La terza era – quella in cui ci troviamo immersi, seppure agli inizi – è la cosiddetta civiltà tecnica dell’immagine: “un’immagine che – presentandosi come rappresentazione e informazione – è però espressione di idee e, di più, tipica comunicazione”[4].

Il tempo postmoderno in cui ci stiamo introducendo è dunque propriamente caratterizzato dal mondo della comunicazione.

“La parola è l’utensile più antico che l’uomo si sia fabbricato, spinto dal bisogno di capire, farsi capire comunicare agli altri ciò che ha capito… Noi abitiamo la parola assai più che una patria. L’uomo dispone di un linguaggio, ma è pur vero che è il linguaggio a disporre dell’uomo. Parlare è inserirsi in schemi linguistici che preesistono, assimilarli, farne la propria cittadinanza, se si vuole essere legittimati ad esistere. La vita è un matrimonio con le parole. Camminiamo con loro dalla mattina alla sera, ci accompagnano come il respiro, sono il nostro respiro, fisico e spirituale. Nessuno può immaginare il livello di povertà sociale e culturale a cui ci troveremmo se non possedessimo la parola”[5].

    

Possiamo paradossalmente affermare – fermo restando il valore comunicativo della parola umana – che oggi la vita è un matrimonio con le immagini e che noi abitiamo le immagini assai più che una patria? Possiamo anche dire che nella comunicazione interpersonale e sociale le parole non bastano più? Mentre ci poniamo questi legittimi interrogativi, il credente non può prescindere dal “comunicare” nella Parola: la Parola di Dio. Ascoltare e contemplare: questo è essenzialmente comunicare nella Parola.

“A partire dalla prima pagina del primo libro della Bibbia, tutto è storia del comunicare divino all’umanità: Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”[6].

“Siamo quindi invitati ad ascoltare il `Vangelo della comunicazione”. Dio è comunicare e comunicazione: si comunica a noi e ci abilita a entrare in comunicazione gli uni con gli altri… Tutto il mistero creativo e redentivo è dunque un grande atto del comunicare divino… Ci si educa al comunicare sviluppando la ‘dimensione contemplativa della vita’. Ogni comunicare nasce dal silenzio, non però vuoto e triste, ma pieno della contemplazione delle meraviglie che Dio ha operato in favore del suo popolo”[7].

 

La Chiesa da parte sua, fedele alle origini della sua “storia di comunicazione”è consapevole che

“il linguaggio umano, per quanto veicoli il messaggio e il dono divini, non li esaurisce. Dio resta sempre più grande delle parole e dei gesti dell’uomo; i massmedia – pur nella loro migliore utilizzazione – hanno comunque una capacità relativa e limitata”[8].

 

La Chiesa è altresì consapevole che

“la comunicazione divina è interpersonale, fa appello all’altro, all’uomo che la riceve, affinché si metta in stato di attenzione, di accoglienza, d’ascolto.  Il Dio vivente fa appello all’uomo vivente”[9].

 

La Chiesa quindi fonda la propria comunicazione sulla relazione interpersonale e non sulla massa. È tuttavia consapevole d’essere di fronte alla seguente scommessa epocale: anche mediante i mass-media (che pure sono qualcosa di molto marginale rispetto alla profonda e originaria corrente del comunicare di Dio con l’uomo e degli uomini tra loro), anche mediante gli strumenti della massificazione dei messaggi, è possibile una vera comunicazione umanizzante e addirittura salvifica? È necessario favorire il processo di “uscita dalla massa”, perché le persone, dallo stato di fruitori anonimi dei messaggi e delle immagini massificate, entrino in un rapporto personale come recettori dialoganti, vigilanti e attivi.

“Ecco dunque la domanda a cui la presente lettera vuole aiutare a rispondere (scrive il Card. Martini, introducendo la Sua Lettera Pastorale per l’anno 1991-92, “Il Lembo del mantello”): come è possibile che, anche in presenza di strumenti che mandano messaggi in una sola direzione e a una massa anonima, non si ottunda la coscienza individuale, ma si aprano veri canali comunicativi nell’ambito della comunicazione interumana, della comunicazione tra Chiesa e società, della comunicazione tra le persone umane e il mistero divino? Come è possibile che mediante il mio televisore (inteso qui come simbolo di tutti gli altri mass-media), io entri in contatto addirittura con la forza salvifica di Gesù?”[10]

È uno degli interrogativi di fondo che ci riguarda da vicino mentre stiamo affrontando il rapporto “comunicazione e vocazioni”, ove la vocazione resta sempre “comunicazione della salvezza personale” da Dio all’uomo, pur nella necessaria mediazione della Chiesa.

 

 

 

3. Cultura

Mentre era ancora in bozze la Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Palermo facevo fatica a capire – in quella che era indicata come una delle “vie preferenziali” per la nuova evangelizzazione, La cultura e la comunicazione sociale[11]– lo stretto nesso o addirittura l’abbinamento proposto tra cultura e comunicazione. D’accordo infatti sulla priorità della evangelizzazione della cultura e della inculturazione della fede e del fecondo incontro tra la fede cristiana e la cultura cristiana, come già Giovanni Paolo II aveva ricordato nella sua meditazione in vista della grande preghiera per l’Italia[12] Ma perché questo stretto nesso tra cultura e comunicazione sociale e addirittura una vita preferenziale per la nuova evangelizzazione? È presto detto. Nell’annuncio del Vangelo – e specificamente per quanto ci riguarda da vicino in qualità di animatori vocazionali, del Vangelo della vocazione – è indiscusso il valore primario della comunicazione interpersonale:

“Le comunità cristiane riconoscono il grande valore della comunicazione, in tutte le sue forme, anche per il contributo che essa può offrire al processo di inculturazione della fede. Vengono comunque ritenute più validi ed efficaci, per la trasmissione del messaggio cristiano, le forme della comunicazione interpersonale”[13].

 

Non si può tuttavia oggi non prendere coscienza del ruolo primario assunto dai media nel plasmare e diffondere la cultura odierna, nonché del ruolo della cultura nella formazione della coscienza personale:

“Non si tratta infatti di semplici strumenti – come affermato anche nel ‘Documento dei Vescovi Italiani dopo Palermo’ – ma di nuovi linguaggi e processi di comunicazione, che trasformano le attitudini psicologiche, i modi di sentire e di pensare ecc.”[14].

 

Il servizio di evangelizzazione proprio della Chiesa si trova oggi a confrontarsi con questo nuovo aeròpago, d’importanza cruciale ai fini dell’inculturazione della fede e per l’annuncio vocazionale all’uomo di oggi e, specificamente, al giovane credente. La Chiesa è consapevole che l’uomo scopre il suo volto nel dialogo con Dio. Egli è naturalmente un chiamato ed ha bisogno di comunicare con Lui per comprendere se stesso e giungere alla sua maturità personale.

La Chiesa avverte la propria responsabilità di comunicare ai giovani, la vita come vocazione, quindi d’indicare la via volta a superare la frammentarietà e parzialità di modelli di vita che la cultura attuale propone ai giovani, per fare spazio ad altri, “integrali” e “totalizzanti”, come sono appunto le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. La situazione attuale, ovvero la nuova cultura massmediale, presenta in merito un cambiamento profondo in atto, operato dai mezzi di comunicazione di massa.

“Compito primario è certamente quello di studiare e di valorizzare fino in fondo le leggi e le agenzie che governano questa trasformazione… Ma c’è un lavoro culturale più a fondo, che va iniziato senza inquietudine né disorientamento, ma con la consapevolezza che oggi la logica massmediale non tende solo a mostrare, a rappresentare, a sintetizzare programmi, ma a creare il suo racconto, la sua verità, ad imporre dei significati che sono dentro il circuito del sistema. La comunicazione vera, invece, sia che si nutra di parole, di immagini, sia che si esprima attraverso segni informatici, ha il compito non di creare il significato di un evento, di una storia, ma di trasmettere un senso, che è senso della vita, della sua creaturalità, del suo desiderio di compassione e di partecipazione, senso che sta ‘oltre’ fuori la sola trasmissione comunicativa. Quell’oltre è dato per noi credenti non dal bisogno del dominio o dalla tentazione dell’efficienza, ma dalla verità di Dio, vivo e vicino… Non riesco a pensare un modo linguisticamente più semplice e più efficace per denominare il lavoro della cultura. ‘Fare’ la verità, non ‘dire’ la verità. Segno – questo – che la cultura non è una proclamazione di principi teorici, una costruzione astratta con cui interpretare il mondo, ma un lavorio comune che reciprocamente ci impone, come Chiesa comunità dei credenti, di ritessere la trama sfilata, usurata del nostro tessuto sociale con il filo robusto della verità che c’è già, ma che noi dobbiamo incarnare nella fedeltà e nell’impegno, diventando noi stessi legami nuovi, segni di sutura tra le falle della storia e il ‘di più’ del senso, ‘il di più’ che è la verità delle cose e degli eventi umani”[15].

 

Al centro della cultura quindi la verità dell’uomo. E a Palermo è emersa chiara la consapevolezza del ruolo che la cultura ha per la formazione della coscienza personale e del ruolo degli stessi media nella formazione della cultura. Ecco perché Cultura e Comunicazione sociale, in una cultura massmediale come la nostra, siano un binomio inscindibile. Tutto questo, nella pastorale ordinaria e particolarmente nella pastorale vocazionale, ci conduce a prendere coscienza di una vera e propria rivoluzione antropologica in atto: infatti “la cultura odierna, in Italia e nel mondo, è diffusa e plasmata dai media in misura così rilevante, che alcuni non esitano a parlare di rivoluzione antropologica[16].

A conferma di questa affermazione, che molte conseguenze ha sulla vita, la concezione della vita e il comportamento dei giovani, basti pensare come il

“linguaggio elettronico dei media non si rivolge anzitutto all’intelligenza bensì ai sensi e all’emotività, è eccitazione ben prima di essere concetto. I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. È il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi. Qualche anno fa, quando anche da noi comparvero i primi walk-man, molti si stupirono e si indignarono. Questi ragazzi che con la cuffia incollata agli orecchi ascoltano musica mentre vanno per la strada o in bicicletta, magari assumendo nell’andatura e nella positura del corpo il ritmo della musica, questi ragazzi non ascoltano musica, ma diventano musica. Il linguaggio eccitante, stimolante che ci avvolge, che cosa produce in noi, soprattutto nei nostri ragazzi?”[17].

 

La comunicazione attraverso la parola punta dritta al cervello, alla razionalità. La comunicazione attraverso l’immagine, quella di cui si servono i massmedia, scavalca di fatto il cervello e tende a conquistare l’emotività, i sentimenti.

“Lasciarci perciò permeare dalla nuova cultura di comunicazione per annunciarvi Cristo significa rendersi conto del cambiamento radicale di alcune realtà antropologiche: spazio, tempo, memoria, verità, decisione, modo di ragionare, comunicazione con tutta la persona, scala dei valori…”[18].

 

Un dato, con cui dobbiamo fare i conti noi educatori alla fede, nell’itinerario educativo con le giovani generazioni, è in definitiva il seguente: noi adulti siamo stati educati immersi in una “cultura della parola e del libro”; ma stiamo attenti a non creare contrapposizioni, più o meno consapevoli, con la “cultura dell’immagine” e “dell’audiovisivo” in cui sono immersi i nostri ragazzi oggi.

 

 

 

4. Mass media

Per noi educatori alla fede do come superata una certa diffidenza se non addirittura un possibile rifiuto dei media, considerati irrimediabilmente negativi su vari fronti e, in particolare, nella formazione della coscienza. È bene tuttavia ricordarci ed essere consapevoli che

“mass media sono mezzi e non fini, realtà strumentali, penultime e non ultime, che potrebbero nascondere e ostacolare la via del vero, ma, quand’anche fossero a essa aperti non la esaurirebbero del tutto”[19].

È quindi opportuno – in quanto offrono straordinarie opportunità per la comunicazione pubblica ed anche per l’evangelizzazione – accostare i media, nella varietà dei linguaggi da essi usati (verbale, per immagini, sonoro, gestuale, per vibrazioni ed emozioni, ecc.) e per porsi di fronte ad essi con un atteggiamento positivo.

Ci aiuta in questo la presente considerazione del Card. Martini:

“Sono ‘tende’ potenziali in cui il Verbo non disdegna di abitare, lembi del suo mantello attraverso cui può passare la sua potenza salvifica… Ogni mezzo creato di comunicazione può quindi essere scelto e utilizzato da Dio come sua via per giungere al cuore dell’uomo”[20].

      

Il quotidiano Avvenire, in un servizio dedicato al rapporto “comunicazione – vocazione” efficacemente titolava: “Quando la ‘chiamata’[21] viene dal video”. Altrettanto efficacemente ormai potremmo dire: “Quando la chiamata, naviga su internet, l’ultimo media, potente, appassionante e temibile insieme”. L’inarrestabile sviluppo delle tecnologie dell’informatica sta fornendo alla comunicazione possibilità sino a ieri impensate per la gestione dei dati e la loro messa in comune:

“Prolungamento del cervello umano il computer costituisce un punto di forza per la formazione delle reti culturali attraverso le quali la verità è raggiungibile non più solo attraverso una deduzione dogmatica ‘interna’ all’individuo e/o al sistema bensì attraverso un processo di condivisione e una ricerca d’insieme, ‘tra noi’, a carattere piuttosto induttivo”[22].

 

Ne consegue – e di questo si sono resi conto soprattutto coloro che nella Chiesa si sono da sempre adoperati per “usare” i mass media – che questi sono molto di più che uno strumento, sono un’altra cultura. “E adoperarli come semplici strumenti senza entrare nella loro cultura è come servirsi degli sci dove non c’è la neve: non si va lontano”[23].

Credo che, pur nelle inevitabili difficoltà che noi educatori alla fede stiamo incontrando a “entrare in comunicazione” con l’uomo formato dalla cultura dei media, non possiamo arrenderci di fronte al potere dei media e nemmeno temerli. Si tratta di rendersi conto che fra le meravigliose invenzioni tecniche che stanno caratterizzando questo scorcio del secondo millennio ci sono anche questi strumenti, i media appunto della comunicazione sociale, e accettare di entrare in dialogo con essi.

 

 

 

 

 

 

 

Note

[1] P.RICCI SINDONI, La Cultura e la Comunicazione sociale, in III Convegno Ecclesiale, Palermo 20-24 Novembre 1995; Il Vangelo della Carità per una nuova società in Italia, Testi fondamentali del Convegno e Nota Pastorale dei Vescovi, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1996, pag. 85.

[2] C.M. MARTINI, Effatà. Apriti, Centro Ambrosiano, Milano 1990, p. 57.

[3] Cfr. I. CASTELLANI, Ti ha dato se stesso… gratuitamente, ‘Vocazioni’ n. 1, 1994, p. 3.

[4] N. TADDEI, Pastorale e Mass Media, La pastorale come comunicazione nell’epoca dell’immagine, Dispensa del Corso “Pastorale della Comunicazione Sociale” presso la Pontificia Università Lateranense, CISCS, Roma 1980, p. 17.

[5] G. COLOMBERO, La comunicazione dimensione dell’essere umano, in AA.VV. Comunicazione e vita Consacrata, Supplemento a Consacrazione e Servizio, Centro Studi USMI, Roma 1990, p. 13.

[6] C.M. MARTINI, Effatà. Apriti, Centro Ambrosiano, Milano 1990, p. 49. 

[7] C.M. MARTINI, Ivi, p. 46-77.

[8] C.M. MARTINI, Il lembo del Mantello, Centro Ambrosiano, Milano 1991.

[9] C.M. MARTINI, Ivi, p. 56.

[10] C.M. MARTINI, Ivi p. 11.

[11] Cfr. CEI, Io faccio nuove tutte le cose, Traccia di riflessione in preparazione al Convegno di Palermo, Roma, Dicembre 1994, n. 28.

[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, La grande preghiera per l’Italia e con l’Italia, 15 Marzo 1994. 

[13] CEI Io faccio nuove tutte le cose. Il contributo delle Diocesi e degli Organismi ecclesiali, III Convegno Ecclesiale di Palermo, 1995, p. 19.

[14] CEI, Il Vangelo della Carità per una nuova società in Italia, Testi fondamentali del Convegno e Nota Pastorale dei Vescovi; 1996, p. 238 

[15] RICCI SINDONI, o.c. pp. 88 ss.

[16] CEI, Il Vangelo della Carità per una nuova società in Italia, o.c., p. 238.

[17] C.M. MARTINI, Il Lembo del Mantello, o.c. p. 34-35.

[18] P. BUSTAFFA, Il prete protagonista di comunicazione, in Orientamenti Pastorali, n. 5/96, p.42.

[19] C.M. MARTINI, Il Lembo del Mantello, o.c. p. 16.

[20] C.M. MARTINI, Ivi p. 16.

[21] R. SALERNO, Quando la chiamata viene dal video, in Avvenire, 10 Agosto 1996.

[22] G. ZIZOLA, Mass Media e Cultura, in AA.VV., Comunicazione e Vita Consacrata, Centro Studi USMI, Roma 1996, p. 22.

[23] T. LASCONI, Nuova evangelizzazione e mass media, in AA.VV., Comunicazione e Vita Consacrata, o.c., p. 101.