Accompagnamento
I rischi e la bellezza
La lettera di Giacomo si apre con un’esortazione a chiedere a Dio la Sapienza. L’accento è messo sul modo in cui tale richiesta va fatta: «Con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così… è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni» (Gc 1,6-8). L’accento sull’indecisione torna nel cap. 4: «Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi… uomini dall’animo indeciso santificate i vostri cuori» (Gc 4,8).
Questi versetti della lettera di Giacomo possono scoraggiare, eppure sembra che colgano un aspetto di verità oggi nel popolo di Dio, almeno in quanti desiderano prendere sul serio il proprio cammino spirituale alla sequela del Signore Gesù. Nell’esperienza quotidiana, si ha l’impressione di incontrare persone disorientate, ossia, in termini più pastorali (ed esistenziali), la tendenza a una certa fuga dalle responsabilità, o delega della capacità di decidere, e decidersi. Il riferimento a Gc 4,8 coglie una situazione personale (psicologica e spirituale) forse più attuale di quella espressa nell’Apocalisse, nell’apostrofe alla Chiesa di Laodicea: «Tu non sei né freddo né caldo… sei tiepido» (Ap 3,15). In effetti può capitare di incontrare persone fervorose senz’altro, quindi non tiepide, ma che, non riuscendo a decidere e decidersi, tendono a fuggire le responsabilità e a delegare le decisioni.
È comprensibile che una persona disorientata possa chiedere, o le venga proposto, un accompagnamento. Si tratta di qualcuno (un sacerdote, un religioso\a e oggi, grazie a Dio, sempre più laici formati) che si metta a fianco nel cammino, aiuti a rileggere la propria situazione, anche andando in profondità nel cuore e nella storia della persona, la aiuti a prendere coscienza del proprio vissuto per assumerlo, in modo da conquistare libertà per proseguire il proprio cammino. L’icona di tale stile di accompagnamento è il Signore Gesù stesso, che ha fatto tutto questo sempre: è un esempio lampante l’episodio di Emmaus (Lc 24,13-35). Questo stile è essenziale e, compreso attraverso quei pochi elementi, l’accompagnamento può dare aiuto a chi lo cerca. Deve rimanere chiaro che tale aiuto ha l’obiettivo finale di (ri)mettere in grado la persona di camminare con le proprie gambe. In altri termini, un buon accompagnatore deve riuscire a… sparire dalla vista (Lc 24,31).
Alcuni stili di accompagnamento, d’altra parte, possono essere molto gratificanti, ma in realtà inefficaci e, al limite, pericolosi. L’accompagnatore non può prendere il posto dell’accompagnato nelle decisioni che questi deve affrontare. Il principio è chiaro, ma spesso offuscato da elementi affettivi che entrano in gioco da una parte e dall’altra.
Per l’accompagnato, è bello sapere che può rimettersi alla sapienza e al consiglio dell’altro; è tranquillizzante far leva persino su una certa obbedienza e così lasciarsi aperta la porta dello scarica-barile; infine, tuttavia, questa dinamica innesca dipendenza nella relazione e l’obiettivo di raggiungere l’autonomia si perde di nuovo, proprio a causa del mezzo che si era scelto per raggiungerlo. Il paradosso è evidente. Si incorre nel rischio, espresso in almeno due occasioni da papa Francesco [1], di neopelagianesimo: la persona rimette la sua fiducia non in Dio, ma nell’altro, e cerca sicurezza nella delega che gli ha fatto. Più che accompagnatore, l’altro è diventato il personal trainer spirituale. Un accompagnamento così durerà molto, ma non porterà lontano.
Ma anche per l’accompagnatore, è gratificante sapere che l’altro lo ascolta, ne apprezza i consigli, lo stima. È un rischio, poi, riuscire ad anticipare il successivo tema o problema che porterà la persona. È surreale, infine, convincersi che si sta veicolando all’altro la stessa volontà di Dio. Al di là dei casi, purtroppo non assenti, di plagio, occorre sempre restare vigili e autocritici, e chiedersi se in qualche modo non si stia innescando una dipendenza proprio da parte dell’accompagnatore. Anche lui/lei infatti deve saper fare i conti con la sua solitudine.
A tali aspetti non sono estranei gli Esercizi spirituali ignaziani. La pedagogia degli Esercizi tende nella Quarta settimana ad aiutare la persona a cercare e trovare Dio in tutte le cose, per rimanere nel Suo amore (Gv 15).
Sin dall’inizio, gli Esercizi sono articolati nella dinamica tra colui che li dà e colui che li riceve, e chiariscono che «colui che li dà non propenda né si inclini verso l’una o l’altra parte; ma, stando nel mezzo, come una bilancia, lasci immediatamente operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore» (Esercizi, n. 15). In sé, la Quarta settimana è un punto di arrivo. Infatti gli Esercizi sono un cammino di libertà che passa attraverso un cammino di liberazione. Se la “facilità” di trovare Dio in tutte le cose è il dono di grazia di quella tappa del cammino, a ricevere tale dono l’esercitante si dispone con l’aiuto di Dio più tipico delle tappe precedenti, ed in particolare della Prima settimana.Si tratta di un tempo in cui l’esercitante è chiamato a confrontarsi col peccato, e con i propri peccati particolari.
Dopo aver pregato sul progetto di Dio, sintetizzato nel Principio e Fondamento (Esercizi, n. 23), la persona è invitata a osservare da vicino ciò che ha stravolto quel progetto di dono d’amore. È difficile questa tappa degli Esercizi: entrano in gioco molte resistenze. È difficile guardare in faccia il proprio peccato e rimanere in piedi. Ma gli Esercizi fanno fare l’esperienza di guardarlo in quanto già vinto da Colui che per amore ha dato la sua vita per me (Gal 2,20): il Signore Gesù crocifisso e risorto, e questo è davvero molto liberante. Così, nella Prima settimana, il ruolo di chi dà gli Esercizi può essere più significativo (mostra gli ostacoli, svela i passi falsi, smaschera le trappole…), ma gradualmente deve diminuire, con obiettivi reciproci: per la persona, conquistare spazi di libertà, lasciare che per amore possa scegliere di camminare alla sequela di Cristo e giungere, sospinta intimamente dalla grazia, in Quarta settimana; per la guida, non innescare quella paralizzante dinamica di sostituzione.
Concludendo, se l’accompagnamento comporta dei rischi e gli Esercizi ignaziani propongono una pedagogia, è chiaro che l’accompagnamento spirituale resta un tesoro nella Chiesa, di cui farsi carico. Possiamo pensare almeno altre tre vie dove la persona può trovare nutrimento per il proprio cuore, che sia combustibile per il suo cammino.
L’accompagnamento personale resta al primo posto, ma con l’intesa di favorire cammini di liberazione. Anche ecclesialmente assistiamo a come lo Spirito stia suscitando cammini di liberazione, perché la Chiesa possa seguire il Signore suo Sposo con quella trasparenza che libera forza, esprime bellezza e restituisce credibilità.
È da valorizzare poi quella forma di accompagnamento che possono offrire i gruppi di ascolto della Parola. Abbiamo celebrato per la prima volta la domenica della Parola di Dio, voluta da Papa Francesco; l’ascolto della Parola in gruppi o comunità, siano letture tematiche o la Lectio continua di un Vangelo o un altro libro biblico, può ben gettare nei nostri cuori semi che accompagnano nel cammino.
Infine, ma è il più importante, è da riscoprire quel valore originario di accompagnamento umile e saldo che ogni domenica offre la Chiesa, nella sua maternità, a tutti coloro che desiderano nutrirsi alla mensa della Parola e del Pane e rinfrancarsi nel sacramento della Riconciliazione.
[1] Ci si riferisce al Discorso tenuto a Firenze il 10 novembre 2015 e all’Esortazione apostolica Gaudete et exultate del 19 marzo 2018.