N.05
Settembre/Ottobre 2020

La messe e gli operai, perché le vocazioni sono preziose

All’origine delle vocazioni c’è Paolo VI. Insomma, non proprio in quel senso, ma se siamo qui a parlarne è anche per lui. Correva l’anno 1964: il Concilio Vaticano II era in pieno svolgimento, il Nobel per la pace andava a Martin Luther King, il presidente degli Usa Lyndon Johnson e quello dell’Urss Nikita Krushchev si accordavano per un taglio alla produzione di materiale nucleare. Non poca roba. Del resto, che l’anno sarebbe stato straordinario lo si capì subito: il 5 gennaio a Gerusalemme dopo 400 anni Pietro ritrova Andrea, Paolo VI abbraccia Atenagora I e si scrive una pagina di Storia, non solo della Chiesa. Un altro si sarebbe riposato un attimo e invece, il tempo di tornare e il papa comunica alla Curia romana l’istituzione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, fissata per il 12 aprile di quell’anno. Perché arrivi a tutti e il più lontano possibile, papa Montini il primo Messaggio lo affida alla radio: «“Pregate il padrone della messe, affinché mandi operai” per la sua Chiesa (cf. Mt 9,38). Lanciando lo sguardo ansioso sulla sterminata distesa di campi spirituali verdeggianti, che in tutto il mondo attendono mani sacerdotali, sgorga dall’animo l’accorata invocazione al Signore, secondo l’invito di Cristo». Al di là dello stile del tempo, intenerisce quell’ansia nel guardare in cui si legge l’apprensione di un padre che vede in pericolo un raccolto prezioso, non solo spirituale. Che Paolo VI avesse a cuore la vocazione e il sacerdozio era chiaro fin dalla sua giovinezza. Ordinato prete esattamente cento anni fa – era il 29 maggio 1920 – confidava a un amico: “Durante la mia gioventù mi pareva di avere molteplici vocazioni, che erano richiami alla vita laica… Come realizzare quelle vocazioni numerose, contrarie e divergenti? Trovai la soluzione: …farmi prete!”. E proprio perché era ben consapevole di quanto potessero essere inestimabili tutte le vocazioni, il suo orizzonte sapeva elevarsi oltre le mura del seminario e includere i laici, i giovani che hanno in mano l’avvenire, e le donne, cui affidò la responsabilità di salvare la pace nel mondo. Nell’ultimo Messaggio (1978), infine, trovò il modo di lasciarci la brugola universale per costruire un’esistenza compiuta: «Per comprendere il senso e il valore di ogni vocazione, occorre appunto fissare la mente e il cuore su queste due realtà: Cristo e la Chiesa. Qui sta la luce per accogliere, e il sostegno per perseverare nella vocazione profondamente compresa, liberamente scelta, fortemente amata». È il trittico finale che emoziona: se si parlasse della persona con cui passare tutta la vita, non vorremmo che i criteri, reciprocamente, fossero questi? La vocazione è amore vero.