Dal buio alla luce
“Ad Astra” di James Gray con Brad Pitt, viaggio nelle pieghe del cosmo per trovare se stessi e superare la frattura dell’abbandono paterno
Silenzio assordante, buio a perdita d’occhio. Lì, nello spazio, c’è solo il suono del proprio respiro, lì l’uomo indaga le pieghe del cosmo e nel mentre scandaglia il proprio animo in cerca di sé. Un viaggio dal buio alla luce, verso la riconciliazione. È il film “Ad Astra” di James Gray, in concorso alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2019).
La storia: Stati Uniti. Roy McBride (Brad Pitt) è un militare abituato a missioni aspre e solitarie. Non ha paura, perché tiene tutto a distanza, emozioni e sentimenti compresi. Il suo matrimonio rischia di naufragare e la sua famiglia si è pressoché dissolta, quando il padre Clifford McBride (Tommy Lee Jones) è scomparso in una precedente missione. Solo e senza aspettative, Roy accetta di guidare un team verso i confini dell’universo conosciuto…
James Gray esplora il rapporto finito-infinito, uomo-Mistero, ispirandosi alla narrativa di Arthur C. Clarke e al cinema di Stanley Kubrick (“2001: Odissea nello spazio”); non mancano però richiami anche ai più recenti “Gravity” (2013) di Alfonso Cuarón oppure “The Tree of Life” (2011) di Terrence Malick.
Al di là della cornice da thriller avventuroso, infatti, il film si ammanta della metafora del viaggio esistenziale, del percorso di affrancamento dal dolore, dalla perdita del padre, per abbracciare una vita adulta, risolta, in grado di amare e di lasciarsi amare. Il militare Roy percorre la superficie lunare e le ingombranti, infinite, distese dello spazio come i terreni dell’animo umano, i sentieri tortuosi di un cuore ferito dall’abbandono. Roy vuole fare ordine e dare senso alla propria vita; e in questo viaggio si spinge quindi lontano, quasi al punto di non ritorno, ma sul crinale dell’abbandono capisce. Capisce che la vita non è un’esistenza da giocare in solitaria; la vita trova senso, compimento, solo se condivisa, nella prossimità.
Con movimenti di macchina suggestivi e un accurato lavoro visivo, cromatico, che riflette gli snodi del viaggio e gli stati d’animo, passaggi sottolineati anche dalle intese musiche di Max Richter, “Ad Astra” si rivela un’opera coinvolgente e incisiva, anche se non sempre compatta. Dal punto di vista pastorale, la Commissione nazionale valutazione film CEI (www.cnvf.it) valuta il film consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Schermi paralleli. Ancora sul tema del viaggio, della ricerca di sé, c’è “Tracks. Attraverso il deserto” (2013) di John Curran con Mia Wasikowska, avventurosa traversata nel deserto australiano dal racconto di Robyn Davidson. Esistenziale.