N.06
Novembre/Dicembre 2009

«Abbiamo trovato il Messia… e lo condusse da Gesù» (Gv 1,41)

Vangelo e testimonianza

Leggendo il racconto del primo capitolo del Vangelo di Giovanni mi viene in mente una piccola poesia cinese di un poeta contemporaneo, Yu Kwang Chung:

Tu uccellino variopinto e luminoso,

amavi volare sopra la mia testa.

Ti contemplavo incantato

e un giorno, ti presi tra le mani;

tu invece te ne volasti via disinvolto,

lasciando cadere una piuma azzurra.

Mi chinai a prenderla e la misi sull’orlo del mio cappello.

Per la strada tutti mi guardavano incuriositi e meravigliati.

Ah! Come posso farti tornare intero?

Come posso mostrare alla gente quello che ho visto io?

 

Come condividere lo stupore? Come coinvolgere altri nell’esperienza della bellezza? O ancor di più, come trasmettere la percezione del divino? Come veicolare il fascino del mistero? Si tratta di permettere che siano affascinati altri da persone che sono state affascinate.

Questa è l’impressione globale che si ricava da una prima lettura della catena di testimonianza presentata abilmente da Giovanni. Questo è ciò che intende dire Giovanni Paolo II affermando che la pastorale vocazionale mira a presentare «il fascino della persona del Signore Gesù e la bellezza del totale dono di sé alla causa del Vangelo» (Vita consecrata, 64).

 

1. Attrazione a catena

Il Padre attira: andare a Gesù è per Giovanni prima di tutto frutto dell’attrazione dal parte del Padre. «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44), dirà Gesù. L’iniziativa del Padre non appare sempre in modo esplicito e diretto, ma è sempre reale e spesso sorprendente. Nicodemo, il fariseo dotto e nobile, va di notte da Gesù, perché percepisce in lui «un maestro venuto da Dio» (Gv 3,2). La presenza di Dio rivelata nei “segni” compiuti da Gesù lo affascina. Pur ancora impregnato della mentalità farisaica, è disposto a lasciarsi attirare e sorprendere. La samaritana va al pozzo senza alcun sospetto di un incontro che avrebbe cambiato la sua vita. È tranquilla nonostante il disordine nella sua esistenza, svolge le sue mansioni quotidiane senza grossi problemi o forti desideri. Indifferente, vuota, chiusa nei piccoli bisogni materiali, la donna non cerca nulla. Ma Gesù l’aspetta seduto al pozzo e le rivela che il Padre cerca i veri adoratori; il Padre la cerca, l’attira e opera in lei. Dio sa penetrare nell’intimo del cuore e della mente dell’uomo e li muove perché possano essere illuminati dalla luce di Cristo e credere in lui.

Gesù attira tutti a sé: il Padre, che nessuno vede, si rivela in Gesù e attira a sé tutte le sue creature per mezzo di Gesù, soprattutto per mezzo della suprema manifestazione d’amore, il dono totale di sé sulla croce. È Gesù stesso che dice: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Lungo la sua vita terrena, camminando per le vie d’Israele, egli attira con il suo essere, le sue parole e le sue opere tante persone aperte a Dio con sincerità di cuore. Egli li chiama espressamente, li invita a camminare con lui, a seguirlo diventando suoi amici, a condividere la sua missione, la sua sofferenza e la sua gioia, il suo destino di umiliazione e di gloria, di morte e risurrezione.

I discepoli attirano altri a Gesù: i discepoli, attratti da Gesù, si riempiono di gioia, danno testimonianza a Gesù e attirano a loro volta altri a lui. Vediamo come questo accade all’inizio del Vangelo di Giovanni. Giovanni Battista è descritto come il testimone, la cui esistenza ha lo scopo di «rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Gv 1,7). Di fatto, quando Gesù si presenta davanti a lui al fiume Giordano, Giovanni, con sicurezza e passione, lo proclama «agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (1,29), il Figlio di Dio, su cui è disceso e in cui rimane lo Spirito (1,33-34). La forza della sua testimonianza è coinvolgente e il suo entusiasmo contagiante. Due dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato il maestro, si mettono a seguire Gesù. Uno di loro, Andrea, felice della scoperta del Messia, chiama suo fratello Simone e lo conduce da Gesù. Il giorno dopo, Filippo, diventato discepolo di Gesù, cerca di coinvolgere Natanaele. Così, a catena, coloro che sono stati attratti da Gesù attirano altri, e la cerchia dei discepoli di Gesù si allarga sempre di più. Contempliamo più da vicino il racconto che l’autore del quarto Vangelo fa con bellezza e agilità di stile.

 

2. Il racconto della chiamata dei primi discepoli: Gv 1,35-51

Il racconto della vocazione dei primi discepoli, narrato da Giovanni, è assai diverso, per modalità, struttura e ambientazione, da quello trasmesso dai sinottici. Ricordiamo bene l’episodio del mare di Galilea, di Gesù che passa e si ferma, che chiama i fratelli Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, dicendo loro: «Seguitemi! Vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17; cf Mt 4,16-22; Lc 5,1-11). In Giovanni troviamo una scena diversa: non è sul lago di Galilea, ma sulla riva del Giordano, nella zona meridionale. I discepoli non vengono chiamati insieme, ma in momenti distinti. All’inizio sono due discepoli di Giovanni il Battista che seguono Gesù, vanno dietro a lui prima che lui li chiami.

Particolarmente interessante è la trama narrativa in cui è inserito l’episodio della chiamata dei primi discepoli. Il Vangelo di Giovanni si apre in una forma originale, con un prologo innologico solenne, dal ricco contenuto letterario e dottrinale (1,1-18). È come l’ouverture d’una sinfonia, in cui vengono annunciati, in un insieme armonico tutti i temi che verranno man mano svolti lungo l’esecuzione sinfonica: l’evangelista offre ai lettori una visione sintetica e profonda dell’identità di Gesù e della sua opera per la salvezza del mondo. Dopo una intensa contemplazione del mistero di Gesù l’autore invita i suoi lettori a seguire i fatti della storia, dell’azione del Figlio di Dio fatto uomo per raggiungere gli uomini suscitando nel loro cuore una risposta di fede. L’eterno si inserisce nel tempo, l’immenso prende dimora in uno spazio limitato. Si passa così dalla sfera trascendente allo scenario della storia umana, dall’estasi poetica alla narrazione dei fatti concreti.

Il brano 1,19-51 presenta i fatti che preparano e introducono alla prima rivelazione di Gesù al mondo, che si compirà a Cana (2,1-12). È strutturato in uno schema di 4+3 giorni scandito dalle indicazioni: “il giorno dopo” (1,29. 35. 43) e “tre giorni dopo” (2,1). Questi “giorni” sono stati notati con interesse dagli esegeti. Molti li hanno collegati ai sette giorni della creazione. Lo schema si presenta così:

Primo giorno (vv. 19-28): la testimonianza negativa del Battista – egli confessa di non essere lui il Messia e afferma la sua funzione preparatoria alla manifestazione del vero Messia.

Secondo giorno (vv. 43-51): la testimonianza positiva del Battista – egli testimonia che Gesù è l’Agnello di Dio e Figlio di Dio.

Terzo giorno (vv. 35-42): due discepoli del Battista seguono Gesù; uno di essi, Andrea, conduce al maestro il fratello Simone, al quale Gesù dà il nome Cefa.

Quarto giorno (vv. 43-51): Gesù prende l’iniziativa di chiamare Filippo, il quale poi guida Natanaele all’incontro con Gesù.

Tre giorni dopo (2,1): questi giorni raggiungono il culmine in 2,1 inizio della manifestazione della gloria di Gesù attraverso il primo “segno” operato alle nozze di Cana.

Le due scene del terzo e quarto giorno vengono dipinte dall’evangelista su due pannelli simmetrici. La prima mostra la sequela di tre discepoli: Andrea, un anonimo, compagno di Andrea, e Simone, fratello di Andrea; la seconda presenta la chiamata di Filippo e l’incontro di Natanaele con Gesù. Comune nelle due scene è la dinamica dell’attrazione a catena o la mediazione umana nella sequela di Cristo. Ci soffermiamo a riflettere su alcuni punti salienti di questa pericope.

 

3. Che cosa cercate?

Stimolati dalla testimonianza del Battista, Andrea e il suo compagno, entrambi discepoli del Precursore, seguono Gesù sulla via. Gesù percepisce i loro passi, reagisce con un gesto e una domanda: si gira a guardarli e chiede loro: «Che cosa cercate?» Lo sguardo è profondo e la domanda incisiva. È la prima parola che dice Gesù nel Vangelo di Giovanni ed è una domanda esigente, che spinge a chiarire le motivazioni più profonde. Gesù chiede: che cosa cercate venendo dietro a me, cosa cercate in me, chi sono io per voi, cosa vi aspettate da me?

Nei Vangeli Gesù è spesso cercato. Lo cercano molte persone, singolarmente o in gruppo, con motivazioni svariate e con intensità diverse. Lo cercano in molte circostanze e in molti luoghi. Lo cercano continuamente in tutte le fasi della sua vita. Alla sua nascita è cercato dai magi venuti da lontano per adorarlo, dai pastori invitati dal messaggero celeste e da Erode che lo voleva uccidere. Adolescente, a Gerusalemme, i suoi genitori lo cercano con ansia credendolo smarrito nella confusione dei pellegrini. Durante il suo ministero pubblico egli è cercato dalla folla curiosa, dai discepoli affascinati, dai parenti preoccupati, dai sofferenti desiderosi di aiuto e dagli avversari pronti a coglierlo in fallo. Verso la fine della sua vita è cercato dai sacerdoti e dagli scribi per eliminarlo, da Giuda per tradirlo, dai soldati per catturarlo. Anche dopo la morte lo cercano amici e nemici al suo sepolcro.

E Gesù si fa trovare? Non sempre. A chi lo cerca con la pretesa di trovarlo a modo proprio, Gesù reagisce sistematicamente con un rifiuto netto. Quando i discepoli, visto il desiderio pressante degli abitanti di Cafarnao, fanno notare a Gesù: «Tutti ti cercano!» egli risponde con determinazione: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là, per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,37-38). Egli evita di essere frainteso nella sua vera identità, si sottrae ad ogni ricerca captativa, rifiuta chi pretende di possederlo, di sistemarlo nei propri schemi mentali. Si oppone a chi vuol restringere l’orizzonte universale della sua missione riducendolo a una specie di guaritore a buon mercato, un taumaturgo del paese. Similmente egli risponde con parole taglienti alla folla che lo cerca dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani: «Voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato dei pani» (Gv 6,26). Gesù smaschera la falsa ricerca per scopo egoistico e meschino. Egli sa che la folla in realtà non cerca lui, ma il vantaggio che deriva nell’averlo a propria disposizione.

Alle volte Gesù frustra le attese immediate di coloro che lo cercano, non per rifiutarle in assoluto, ma per sollevarle, dilatarle, purificarle e trasformarle. Egli si fa trovare, ma altrove, su un altro piano, in un modo diverso. «Perché mi cercate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Con questa domanda ai suoi genitori Gesù riconosce la sincerità della ricerca, l’accoglie e la ricolloca su un piano più alto. Egli configura la loro ricerca di lui, alla sua continua ricerca delle cose del Padre, li associa nella tensione comune verso la stessa meta.

Durante la sua predicazione itinerante, quando gli viene fatto notare: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano», egli risponde in modo sorprendente: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,32-35). Gesù non rigetta i suoi familiari né disapprova la loro ricerca di lui, egli vuol far capire questo: la sua famiglia non è fondata sul legame di sangue, ma sulla comunione nella realizzazione della volontà di Dio; la sua casa non è circoscritta tra le mura, ma aperta a tutti. I familiari in ricerca di Gesù vengono così introdotti da lui in una grande famiglia in ricerca di Dio e della sua volontà.

Arrampicato su un albero Zaccheo “cerca di vedere” passare Gesù, ma Gesù lo soddisfa al di là della sua attesa e si fa trovare a casa sua. Le posizioni sono rovesciate: in realtà non è Zaccheo che cerca Gesù, ma è Gesù che lo cerca, perché è «venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). La donna emorroissa cerca timidamente di toccare di nascosto la veste di Gesù, ma riceve la guarigione e un elogio pubblico. Le donne al sepolcro cercano un corpo morto, trovano invece il vivente. La necessità di riorientare la ricerca viene sottolineata dalla domanda dell’angelo: «Perché cercate fra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5) e ancor più dalla domanda dello stesso Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15).

Ai suoi primi discepoli Gesù pone subito la domanda: «Che cosa cercate?», perché chiunque vuol andare da lui deve aver chiaro il senso ultimo della sequela, deve cercarlo impegnando tutto se stesso e aderendo totalmente ai suoi progetti. I discepoli rispondono con una domanda: «Rabbì, dove abiti?». Non gli chiedono solo l’indirizzo di casa, ma c’è qualcosa di più profondo: cercano Gesù e non “qualcosa” di lui; vogliono conoscere la sua persona, la sua vita, il suo mistero. Nel testo greco non domandano dove abita il maestro, ma c’è il verbo rimanere, che ha un profondo significato teologico in Giovanni (ricorre ben 67 volte nel suo Vangelo). In realtà i discepoli domandano: «Maestro, dove rimani?», dove e qual è il nucleo essenziale della tua vita? Il luogo dove “rimane” Gesù deve essere il luogo dove rimangono i discepoli; anzi, Gesù deve diventare la loro dimora. Seguire Gesù non è un movimento esterno, ma è un dinamismo interiore, un rimanere in lui in una comunione di vita e d’amore. Gesù esorterà più tardi: «Rimanete in me e io in voi » (Gv 15,4-5).

Al desiderio dei discepoli di entrare in comunione con lui, Gesù risponde con l’invito: «Venite e vedrete». È un invito a fare esperienza personale con lui, ascoltarlo, contemplarlo, dialogare con lui, lasciarsi amare e ammaestrare da lui, entrare gradualmente nel suo mistero, per sintonizzarsi con il suo cuore e la sua mente, per arrivare a quello che dirà Paolo: «Avere il pensiero di Cristo» (1Cor 2,26), «Avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo» (Fil 2,5). I discepoli accettano di iniziare questo processo e Giovanni conclude così questo primo incontro: «Andarono a vedere dove rimaneva e quel giorno rimasero presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,38-39). Egli ha tracciato in modo meraviglioso l’itinerario del discepolo di Gesù, dal fascino iniziale alla ricerca, dall’andare timidamente dietro a Gesù a rimanere in lui. Tutto questo cammino è guidato da Gesù. È lui che attira, dialoga, aiuta a chiarire le motivazioni, invita a fare esperienza, ad entrare nella comunione intima con lui.

 

4. Abbiamo trovato il Messia

Nella descrizione che fa Giovanni, Andrea e Filippo appaiono di carattere socievole. Sono uomini dal cuore grande, generosi, zelanti, premurosi nel portare gli altri a Gesù. Quando scoprono qualcosa di buono e di bello, s’affrettano a condividerlo subito con gli altri.

Nella scena della moltiplicazione dei pani è stato Andrea a scoprire e a portare da Gesù il ragazzo con cinque pani e due pesci, contribuendo così al miracolo (cf Gv 6,8-9). Quando un gruppo di greci volevano vedere Gesù, è stato Andrea, insieme con Filippo, a facilitare l’incontro (cf Gv 12,20-22). Il loro primo incontro con Gesù li ha riempiti di gioia, non potevano tenere un dono così grande per sé. Andrea annuncia al fratello Simone dicendo: «Abbiamo trovato il Messia» e lo conduce da Gesù. Filippo incontra Natanaele e gli dice: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Il loro annuncio è la partecipazione di una certezza: Gesù è il Messia annunciato da Dio nell’Antico Testamento. È una testimonianza di fede, una condivisione gioiosa della bella scoperta, un racconto di esperienza personale, una comunicazione appassionata e coinvolgente.

La testimonianza però, non incontra automaticamente accoglienza pronta. All’annuncio gioioso di Filippo, Natanaele reagisce con freddezza, scetticismo e sospetto. Chiuso nel suo pregiudizio, egli non riesce a capire come da Nazaret, una città insignificante, possa venire qualcosa di buono, quindi questo Gesù non gli interessa. Siamo di fronte allo scandalo non insolito. Molti, soprattutto quelli che si ritengono sicuri di sé e delle proprie idee, all’impatto con l’annuncio di Gesù si bloccano davanti ad un Dio che si fa piccolo, un Dio umile e nascosto. È il mistero nascosto ai dotti e ai sapienti. È la sapienza della croce che appare stoltezza. Filippo non tenta di chiarire o risolvere il dubbio di Natanaele, ma cerca di invitarlo ad un’esperienza personale con Gesù, la stessa da lui vissuta in precedenza e che ha cambiato la sua vita. Egli rivolge all’amico un invito cordiale: «Vieni e vedi» (Gv 1,46). L’ha imparato da Gesù a farlo, perché queste sono le parole precise con cui Gesù si è rivolto ai primi due discepoli, attratti da lui (cf 1,39).

Non solo Andrea e Filippo, anche altri hanno sentito il bisogno di raccontare e di condividere la loro esperienza con Gesù. Un esempio è la Samaritana. Dopo essere stata guidata da Gesù alla scoperta della sua identità e alla fede, lascia la brocca, dimentica l’acqua e il motivo per cui era andata al pozzo, corre in città invitando la gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?» (Gv 4,29). Anche qui l’invito è quello di andare e vedere, fare esperienza personale con Gesù. E la gente si lascia attirare, esce dalla città per andare da Gesù.

Dio ama servirsi della mediazione umana per comunicare la sua presenza, la sua parola e i suoi doni. Il suo messaggio corre di bocca in bocca, di vita in vita, da cuore a cuore creando una comunità di credenti. Non solo le singole persone, ma tutta la comunità testimonia, racconta, attira altri a Gesù. La fede convinta diventa un bene che si comunica. Così scriverà Giovanni: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,3). Dopo la morte di Gesù la testimonianza e la predicazione che proviene dalla fede e dall’esperienza cristiana saranno la normale “metodologia” per portare la gente a Gesù. E Dio vuole questa mediazione, povera e limitata che sia, vuole salvare gli uomini «mediante la stoltezza della predicazione» (1Cor 1,21b).

La testimonianza e la predicazione della comunità ha la forza di attirare nuovi membri alla fede in Gesù e riesce a tenere uniti a Gesù quelli che già lo seguono. Ancor oggi la fede e la sequela di Cristo si trasmettono e si alimentano come un fuoco che accende l’altro per divampare insieme. «La fede si rafforza donandola!» dice Giovanni Paolo II (Redemptoris misso, 2).

 

5. Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto

La mediazione della testimonianza ha un ruolo importante, ma l’attrazione parte sempre da Dio, il poter seguire Cristo è una grazia divina e non frutto di sforzo umano. Camminare dietro a Gesù non significa automaticamente essere suoi discepoli, occorre che Gesù si volti ed avvii il dialogo. L’essere stimolato da altri ad andare da Gesù non significa subito entrare in rapporto profondo con lui, occorre che Gesù fissi su di lui lo sguardo e cambi il suo nome conferendogli una nuova identità e una nuova missione, come ha fatto a Simone diventato Pietro.

Nel caso di Natanaele, mentre egli cerca di “venire” e “vedere” su invito di Filippo, è Gesù che lo “vede” e gli “viene incontro”. Gesù lo precede, lo previene, prende per primo l’iniziativa di parlare a lui. Prima che Natanaele abbia avuto la possibilità di vederlo e di conoscerlo, è visto, conosciuto ed amato da lui. Alla freddezza di Natanaele, Gesù risponde con l’accoglienza cordiale. Mentre Natanaele, al primo sguardo curioso, coglie l’esterno dell’uomo di Nazareth, Gesù gli legge nel cuore; mentre Natanaele è pronto a rilevare il negativo, Gesù è particolarmente sensibile al lato positivo dell’uomo. Allo scettico Natanaele egli fa il regalo di uno dei suoi migliori elogi: «Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». Anche se con dei pregiudizi e con l’indifferenza apparente, questo giovane ha una qualità umana fondamentale: la sincerità. È schietto, trasparente. Più tardi, di fronte al giovane ricco, incerto ma non privo di buona volontà, Gesù ugualmente fa leva sulla sua rettitudine, apprezza il suo sforzo di ricerca e gli fa la proposta di lanciarsi in alto (cf Mt 19,16-22). Basandosi sui suoi discepoli, uomini buoni ma impreparati e non esenti da difetti anche grossi, egli tesse i sogni più grandi per la sua Chiesa. Egli si fida di loro e affida loro il compito singolare di prolungare la sua stessa missione di salvezza in tutto il mondo e in tutta la storia.

Un proverbio cinese dice: «Chi ha il cielo nel cuore vede il cielo dappertutto». Gesù vede quel pezzo di cielo che ogni uomo e ogni donna porta dentro di sé, lo rende manifesto e ci lavora sopra perché diventi sempre più grande, più luminoso. Egli riconosce su ogni volto umano il riflesso della sua stessa immagine. Ha una forte solidarietà e una grande passione per ogni persona, di tutti egli è fratello maggiore e modello perfetto. Egli sa scoprire i semi nascosti di bontà, evidenziare le risorse latenti, cogliere i desideri inespressi, comprendere i timidi segni d’amore e capire il linguaggio del cuore.

Colpito dalla parola di Gesù, Natanaele domanda con stupore: «Come mi consoci?» E Gesù gli risponde: «Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto il fico». Gesù vede “prima” e vede in profondità, vede l’uomo nel suo contesto preciso (“sotto il fico”), non gli sfugge nessun dettaglio. Tutto è importante e prezioso per lui. Paolo confessa con commozione di fronte all’amore preveniente di Dio: «…Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani» (Gal 1,15); Gesù Cristo, il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). E l’autore del Sal 139: «Tu mi scruti e mi conosci… Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta». È lo stupore di scoprirsi conosciuto ed amato molto più di quello che uno può immaginare e desiderare.

«Come mi conosci?» molti contemporanei di Gesù avranno ripetuto questa domanda di Natanaele. La povera vedova al tesoro del tempio si sarà chiesta: «Come mai mi ha vista? E come ha fatto capire che i due spiccioli sono tutto quello che ho?»; similmente la donna emorroissa: «Come ha fatto sapere che io ho toccato il suo mantello e come mai conosce il motivo per cui cercavo di toccarlo?». La Samaritana si sarà chiesta: «Come è possibile che conosce la mia vita? Perché mi ha aspettato al pozzo?» Zaccheo non saprà spiegarsi: «Come mai ha scelto di venire proprio a casa mia?». Così anche gli apostoli, chissà quante volte si saranno domandati: «Come mai ha chiamato proprio me? Perché si fida di me? Cosa vede di buono in me?» Sono domande che si prolungano nella storia di generazione in generazione in coloro che seguono Gesù.

Ognuno di noi avrà posto a Gesù almeno una volta la domanda di meraviglia: «Come mi conosci? Perché hai chiamato me?» La sua risposta, ancor oggi, suona come quella che ha dato a tante persone, un ritornello ripetuto tante volte, ma sempre nuovo e personale: «Ti ho visto e ti ho attratto, prima che il tuo “Filippo” ti chiamasse. Ti conosco e ti amo da sempre».

Fiorire – è il fine…

Colmare il bocciolo – combattere il verme –

ottenere quanta rugiada gli spetta –

regolare il calore – eludere il vento –

sfuggire all’ape ladruncola –

 non deludere la natura grande che l’attende proprio quel giorno –

essere un fiore, è profonda responsabilità.

(Emily Dickinson)