Il Giubileo: un’occasione vocazionale?
Non è certamente la prima volta che ‘Vocazioni’ interviene su temi legati alla celebrazione giubilare. Ma un numero intero sull’argomento consente di sviluppare, a profondità altrimenti impossibili, un rapporto per molti aspetti strettissimo.
Di fonte al terzo millennio
“Grazie, Padre buono, per il dono dell’Anno giubilare; fa’ che esso sia tempo favorevole, anno di grande ritorno alla casa paterna, dove tu, pieno di amore attendi i tuoi figli smarriti per dar loro l’abbraccio del perdono e accoglierli alla tua mensa, rivestiti dell’abito di festa… Padre giusto, il grande Giubileo sia occasione propizia perché tutti i cattolici riscoprano la gioia di vivere nell’ascolto della tua parola e nell’abbandono alla tua volontà…”. Così il Papa nella preghiera composta per l’ultimo anno di preparazione al Giubileo del 2000. Che cosa chiede – a nome di tutti noi – il santo Padre? Principalmente due cose che toccano da vicino i nostri interessi “vocazionali”: innanzi tutto un “ritorno a casa” come conseguenza della percezione di un senso di smarrimento che deriva dall’aver perso la dimensione vocazionale della vita e come conseguenza di un coraggioso “rientrare in se stessi”, alzarsi… andare… confessargli… fare l’esperienza dell’abbraccio benedicente; e poi – mi sembra di cogliere nella preghiera del Papa – la riscoperta forte e sicura che è proprio nello “stare di casa”, ovvero nel vivere come lui ci vuole, ovvero nel fare della nostra vita una risposta di amore al suo amore che l’uomo vive anche questa avventura, questo pellegrinaggio, al massimo delle sue possibilità e nella certezza che il cammino apre una strada e che questa strada va verso la meta sicura di quell’abbraccio benedicente che è la ragione stessa di tutta la vita.
Ecco perché si può parlare do occasione vocazionalmente molto significativa. Perché i valori vocazionali in gioco ci sono e sono espliciti. Ma vanno accompagnati.
Passaggi critici e ritardi preoccupanti
Non un’occasione “comunque”. A certe condizioni sarà un’occasione preziosa.
La prima di queste condizioni è data dalla percezione del discorso “penitenziale” che verrà messo in gioco. “Convertitevi” dice Pietro nel discorso sgorgato dalla Pentecoste dopo aver “dichiarato” la grandezza di Gesù per ogni vocazione umana. “Si sentirono trafiggere il cuore… che cosa dobbiamo fare?…”. “Siete sulla strada che non porta alla meta… tornate indietro e ripartite da capo per la strada giusta…” – sembra dire Pietro che di queste cose se ne intendeva…
Bene. Pastorale vocazionale sulla spinta dell’emergenza… Impegno per le vocazioni come attenzione alle chiamate speciali… Tutto bene. Sono fasi del nostro cammino. Ma non portano da nessuna parte. Qualche numero messo a posto… ma quante preoccupazioni ci danno – insieme a tanti motivi di gioia e di consolazione – le vocazioni che abbiamo! La questione vocazionale è stata intrapresa – con tutta la buona fede possibile – su spinte necessariamente esterne, qualche volta emotive, forse non sempre, comprensibilmente, con la dovuta circospezione e discernimento degli obiettivi, contenuti e metodi.
“Convertitevi”. La vocazione all’amore è una. Ed è necessariamente “verginale” perché in essa si manifesta il primato assoluto della storia di amore con Dio di fronte alla quale niente può esserci di più importante…
Dentro a questa storia d’amore le vie dell’amore. Coniugale e verginale. Consacrato per la missione, per la laicità o per la comunità religiosa. Sacerdotale nelle vie presbiterale e diaconale. Ma è vocazione all’amore. Ovvero sempre e comunque risposta ad una chiamata e non decisione autonoma! L’autonomia della libertà c’è perché non c’è amore senza libertà! Abbiamo la libertà per rispondere all’amore con l’amore. Ma la nostra piena realizzazione umana sta solamente nel rispondere sì a Dio. Non è indifferente il sì o il no… Solo nel sì – sempre e comunque – la libertà si fa vita, cammino, gioia… La risposta radicale del credente a questo amore crea il presupposto necessario perché nessuna vocazione sia mai considerata “straordinaria”, “speciale”, “particolare”. Tutte sono personali, e quindi mai ordinarie, mai dozzinali, mai banali… Ma tutte sono modalità diverse, complementari, reciproche e quindi vie d’accesso all’unica vocazione alla comunione eterna con Dio… Al credente potrà e dovrà sembrare addirittura indifferente se sposarsi, diventare prete, frate, suora, missionario, laico consacrato… nel momento in cui si abbandona alla volontà del Signore e non chiede di meglio che conoscerla, amarla e servirla… Tutto il resto è interpretazione distorta della dignità dell’uomo come se essa potesse essere “autonoma” rispetto al rapporto con Dio per il quale esistiamo e per il quale siamo stati pensati prima della creazione del mondo…
La grande scommessa del terzo millennio
Ma nella nostra comunità cristiana è questo l’annuncio della fede e della carità che Gesù ci ha consegnato perché ce ne facessimo interpreti, testimoni e araldi? È di questo amore che parliamo ai nostri bambini, ai nostri ragazzi, ai nostri giovani? È questo l’amore che testimoniamo con i nostri sposi, le nostre comunità consacrate? È questo ciò che vedono i nostri laici nella vita di noi preti? È questa la catechesi che sappiamo condividere con gli anziani, gli ammalati? È di questo amore che sappiamo parlare ad un funerale?
Saper dire l’amore. Saper testimoniare l’amore. Saper far crescere l’amore come condizione unica ed indispensabile per una nuova fioritura vocazionale. L’amore sempre verginale talvolta casto-povero-obbediente più spesso ancora coniugale. Ma sempre interpretazione esistenziale dell’amore tra Dio e la sua creatura che risponde all’amore con l’amore. Ce la faremo? Chiediamo alla Mamma di assisterci e proteggerci in questa avventura che la vede madre, modello, tipo.