Contemplativi nell’azione
Voglio introdurre questa mia semplice comunicazione con due immagini bibliche per aiutarci a vivere nella freschezza e nella gioia del Signore risorto. I due discepoli di Emmaus camminano uno accanto all’altro, si scambiano perplessità e delusioni; il loro cuore e la loro mente si aprono quando Gesù si affianca svelando le Scritture, donando lo Spirito che li aiuta a comprendere ciò che hanno vissuto precedentemente, spezzando il pane. Il loro non è più un incedere stanco e triste, ma un andare sollecito a Gerusalemme. Il Signore è con noi nella sua Parola, nei segni sacramentali, e, con tutta la sua forza, sui nostri passi quotidiani.
Quante volte, come educatori ed accompagnatori spirituali, ci poniamo accanto ad un’altra persona non sempre coscienti e fiduciosi della presenza del Signore e Maestro in mezzo a noi, che non è sempre eclatante ed esplicita, ma così vera e forte che riscalda l’animo, apre gli occhi del cuore, stupisce e fa andare oltre le paure! E poi: il Signore ci ha affidato un servizio? Siamo mandati da Lui; da Lui abbiamo forza e grazia per rispondergli. Infatti…
Negli Atti degli Apostoli, al capitolo 9, incontriamo Saulo che sulla strada di Damasco viene avvolto da una luce dal cielo, cade a terra, è condotto a Damasco da un certo Anania. Questi acconsente a guidare i primi passi di Paolo incontro a Gesù. Risponde infatti: “Eccomi, Signore!”. Anania ha paura, è titubante; questo avviene per ciascuno di noi, quando si mette al fianco di una persona per accompagnarla come guida ed educatore. Al di là delle incertezze e delle difficoltà che s’incontrano davanti ad ogni persona, che è mistero, è salutare una capacità di autocritica, che rimanda all’unico vero e grande Maestro. Il primato o la signoria è di un Altro. Anania va da Paolo, ubbidisce dicendo: “Mi ha mandato a te il Signore perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo!” (At 9,17).
Ecco, il nostro lavoro è quello di aiutare a vedere l’opera dello Spirito Santo nella vita quotidiana. Si stabilisce tra noi e chi accompagniamo una relazione, un rapporto di rivelazione. La nostra identità cresce solo nell’incontro con l’altro, nello stare in relazione: all’inizio, infatti, sta l’alterità di Dio, che mi è venuto incontro donandomi la vita e la libertà.
Il cammino educativo non è mai in solitudine: io e il ragazzo, io e il giovane, io e l’accompagnato. L’accompagnamento educativo avviene necessariamente in un contesto comunitario: della classe, della comunità vocazionale, della Chiesa. La dimensione sociale è condizione indispensabile per una crescita umana in cui possa maturare il cammino di fede. È nell’ordine delle cose che io non sia un’isolata: siamo in stretta relazione con gli altri.
Il nostro parlare ed il nostro accompagnare sono tanto più efficaci, quanto più ci nutriamo della Parola che dà sostanza, fondamento e solidità alla vita tutta, e quanto meno diciamo, pur in modo compito e ineccepibile, parole nostre. Oggi ci troviamo di fronte a giovani che spesso non provengono da un’iniziazione cristiana tradizionale e compiuta, ma che hanno fatto diverse e discontinue esperienze. Ebbene, accanto ad un serio e sistematico cammino di formazione è bene avvicinarli ad un ascolto attento della Parola di Dio attraverso la lectio.
“Ordinariamente” – come afferma il Card. Martini – “uno dei modi più efficaci per scoprire la propria vocazione è quello di dedicarsi fin dalla giovane età alla lectio divina: nella contemplazione del progetto di Dio sull’umanità e nelle chiamate che Dio fa a impegni definitivi per il suo popolo, ciascuno sentirà lo stimolo a quella chiamata definitiva che è destinata a caratterizzare il suo futuro”. La Parola oggi è offerta con grande abbondanza e può essere ascoltata o rifiutata; non va scelta in modo utilitaristico, perché la Parola è sempre donata e la Chiesa è il luogo dove l’ascolto avviene nella sua autenticità. La Parola accompagna e fa crescere i figli di Dio, irrobustisce la comunione, illumina il passo, unifica la vita, è sorgente di missione. Ascoltando la Parola si acquisisce una buona docilità alle ispirazioni dello Spirito santo, che rivela progressivamente la volontà di Dio. Ispirazioni che è sempre bene verificare con la guida spirituale.
La parola si fa preghiera
L’intenso ritmo dell’azione, la presenza del peccato in noi e nella realtà, l’ambiguità degli avvenimenti logorano l’attenzione allo Spirito che prega in noi. È necessario rigenerarci continuamente alle fonti della vita e predisporre un programma in cui siano previsti spazi e tempi, responsabilmente cercati, da dedicare alla preghiera.
Tutta l’opera di La Pira, infatti, prima come costituente e poi come sindaco di Firenze, fu sostenuta e nutrita da un’intensa preghiera e da lunghe meditazioni. Nella partecipazione alla celebrazione eucaristica, fonte e culmine della vita della Chiesa, ciascuno trova l’alimento e la forza perché tutta la vita diventi pane spezzato e donato. Dalla celebrazione frequente del sacramento della Riconciliazione si trae vigore per proseguire nel cammino di conversione. Da esso si riceve il perdono di Dio e la capacità di perdonare; si ottiene il dono di un cuore compassionevole e pacifico. È importantissimo per me santificare il tempo, vivendo la preghiera comunitaria e i tempi liturgici predisposti con sapienza dalla Chiesa e cercando, alla luce del mistero dell’Incarnazione, forme di preghiera e di contemplazione che rispondano alle esigenze della condizione secolare. In questo modo sono impegnata a ricercare la presenza di Dio nella vita quotidiana e partecipo del sacerdozio di Cristo, facendo di me stessa e di tutte le creature un’offerta a Dio; partecipo alla lode che da tutto il creato sale a Dio, in fraternità con tutti gli uomini e con le cose; in spirito di povertà valorizzo quei tempi liberi, anche brevissimi, che le varie situazioni e gli impegni mi offrono nel corso della giornata, accogliendoli come invito del Signore.
L’esperienza della preghiera vissuta sulle strade del mondo mi fa desiderare spazi più lunghi di adorazione, di contemplazione e di silenzio. La fede si esplicita nelle opere: l’Amore che incontro e contemplo nella preghiera, lo comunico e lo vivo con le persone del mio tempo. La contemplazione si fa azione, l’azione si fa azione “divina”.
Ascoltando la Parola di Dio, guardando alla Parola di Dio fatta carne, a Gesù, che è passato sanando e beneficando molti, lavorando umilmente, incontrando molte persone, assumo con responsabilità e passione la vita del mondo, rivelando davanti al creato e ad ogni uomo il mistero pasquale che li abita. La Pira non ha vissuto certamente una fede intimistica, ma ha pensato e vissuto un cristianesimo autentico che, traendo la sua forza dalla contemplazione e dalla meditazione, lo impegnava concretamente. La sua giornata iniziava e terminava con una preghiera; la riflessione mattutina sui fatti era puntuale e la concludeva con una domanda: io che cosa posso fare? La coerenza con la fede si univa alla conoscenza delle esigenze reali; si impegnò affinché le risposte ai problemi emergenti avessero un’incarnazione storica, perché si godesse di un “nuovo umanesimo” che tutto ricapitola in Cristo. Diceva infatti: “Il cristiano è nel mondo per realizzare una missione di testimonianza, per vivere una speranza da comunicare agli altri, per annunciare ai poveri e agli ultimi che Dio è vicino e non rimane indifferente davanti ai drammi dell’umanità”. Un cristianesimo che non diventa servizio e rimane lontano dai problemi non è vero cristianesimo. “Se siamo membri del corpo di Cristo” – diceva ancora – “come possiamo restare estranei o anche dormienti rispetto ai grandi problemi di quel corpo sociale attraverso il quale il corpo mistico si dilata?”.
La dimensione missionaria della vita cristiana è un modo di essere più che di operare e pertanto nessuna condizione di vita, età, malattia, emarginazione o situazione difficile potrà impedirmi di esser fedele alla mia vocazione cristiana. La mia risposta a Dio, che mi chiama ad essere sua discepola, non è tanto una questione ideale o astratta, ma si incarna nelle situazioni della vita quotidiana (famiglia, lavoro, salute, condizioni ambientali, avvenimenti) e nelle situazioni storiche (contesto socio-politico, difficoltà economiche, trasformazioni culturali…). Stare con il Signore ci fa stare nelle situazioni a volte difficili della vita; ci spinge a discernere ciò che ci capita e a leggere i bisogni del momento presente.
Lavorando, condivido la fatica di ogni uomo e di ogni donna per il proprio sostentamento. Considero il lavoro come grazia (“con fedeltà e devozione”), missione e collaborazione all’opera creatrice di Dio, svolgendolo con competenza, restituendo a Dio i talenti ricevuti, condividendo con i fratelli e le sorelle sia le difficoltà e le umiliazioni che le responsabilità. È importante che per svolgere bene il proprio lavoro ciascuno si prepari adeguatamente, studiando e migliorando le sue competenze.
Facendo bene attenzione, mi accorgo che Dio dispone sul mio cammino persone, occasioni e situazioni che mi appassionano alla vita dell’uomo e comprendo sempre più che il nostro tempo non è una minaccia, ma una sfida; una sfida per vivere il Battesimo e un’opportunità che mi viene data ora e che devo accogliere con prontezza e gioia. Tenendo conto delle mie capacità e possibilità ricerco il mio modo di essere presente nell’ambito familiare, professionale, sociale, nella pastorale della Chiesa, nelle varie forme di volontariato, privilegiando i fratelli più poveri. Il povero rivela Dio e avvicinandomi al povero scopro il mistero della croce, il mistero della salvezza. La Pira tanta importanza dava ai suoi poveri, che la domenica faceva sempre in modo di essere presente alla Messa alla Badia fiorentina, a costo di abbandonare un’importante riunione. Per me condividere significa mettere a disposizione degli altri – persone e istituzioni – i beni di cui dispongo (tempo, energie, cultura, competenze…), per realizzare insieme giustizia e carità.
Per La Pira, tutto nel mondo portava la divina impronta di Dio, che l’uomo ha il dovere di scoprire e di cogliere per orientare a lui la storia. Egli passava infatti dalla contemplazione del mistero alla necessità di svelarlo al mondo, imprimendo in esso la grande speranza in Cristo Risorto. Spem contra spem. La grande speranza espressa in questo motto ed il suo ottimismo davanti ai problemi, mai frutto di ingenuità, hanno all’origine una vita fecondata dalla fede, come testimoniano queste sue parole: “Il cristianesimo è Cristo risorto, è Cristo crocifisso e risorto! Ecco il fatto che condiziona tutti i fatti degli uomini (dei singoli e delle nazioni); da questo fatto dipendono il cielo e la terra; da questo fatto dipende la storia intera del cosmo e degli uomini”. Mi pare importante che noi, come cristiani adulti, trasmettiamo alle giovani generazioni la simpatia per il mondo, che ha certamente limiti e difetti, ma è anche il luogo dove si realizza la salvezza, nella certezza della presenza di Colui che non è più tra i morti, ma è vivo e cammina con noi. Vogliamo vivere dentro questo mondo, non prenderne le distanze. Questo mondo sta diventando un “villaggio globale”; la comunicazione accorcia le distanze e ci rende consapevoli della vita di molti altri milioni di persone. Come entrare in questa dimensione così ampia, portando il nostro contributo, per non essere solo spettatori, ma anche protagonisti, con tutti gli uomini di buona volontà, della scena mondiale? Alcune indicazioni fra le tante possibili:
– Conoscere la storia in cui viviamo, senza estraniarci con indifferenza o passività.
– Assumere un impegno serio per la giustizia, soprattutto nei rapporti tra nord e sud del mondo e nella questione del debito internazionale.
– Avere un’apertura intelligente alle altre religioni, nella consapevolezza che non possiamo in nessun modo avallare uno scontro tra le culture.
– Essere attenti alla salvaguardia dell’ambiente, che è patrimonio comune di tutta l’umanità e non può diventare proprietà privata di qualcuno.
– Purificare le strutture mentali (giudizi, pregiudizi, tradizioni… anche religiose).
– Purificare il linguaggio.
– Non ridurre l’altro al nostro o al suo bisogno.
– Conoscere i bisogni urlati e nascosti del prossimo. La Pira diceva: “combattiamo l’ingiustizia, difendiamo gli oppressi, tuteliamo il pane dei deboli, sventiamo le insidie dei potenti”.
– Imparare dall’altro.
– Osare il dialogo.
– Valorizzare la diversità.
– Vivere una fraternità disarmata.
– Accorgerci dell’altro. La Pira conosceva per nome tutti quelli che frequentavano il dormitorio pubblico, li prendeva sul serio, li trattava non diversamente dai capi di stato.
– Educarci ed educare alla democrazia
– Far attenzione ai consumi.
– Fare scelte a favore dello sviluppo sostenibile.
– Far discernimento comunitario sui nuovi contesti che si aprono in ambito economico, culturale, sociale, politico e le conseguenti implicazioni sul piano della giustizia e sul piano etico.
– Farci prossimo.
– Annunciare senza paura il Signore.
– Essere persone di gratuità e di servizio.
Attraverso il servizio e la condivisione si impara a fare a meno di tante cose; si impara ad essere sobri, meno comodi, più liberi. La vicinanza al dolore degli uomini rende più acuto il bisogno della salvezza e conduce i giovani ad abbracciare con vigore scelte radicali di vita. S. Francesco, dopo avere incontrato e baciato il lebbroso, cambiò totalmente vita. È opportuno guidare i giovani, oltre che a fondare il proprio impegno missionario nel costante rapporto con Dio, a verificare spesso le motivazioni del proprio servizio.
Siamo consapevoli che ciascuno di noi non può cambiare il mondo, ma può cambiare se stesso.
Difficoltà e… non solo dell’accompagnatore
Il secondo riferimento biblico cui vorrei rifarmi è la figura di Eli, sacerdote di Silo, che conduce il piccolo Samuele a riconoscere la voce di Dio (1Sam 3, 2-9). Eli si lascia disturbare: deve svegliarsi tre volte. Non si misurano le fatiche, quando ti sta a cuore la persona di cui sei responsabile. A volte non si capisce l’altro, si sbaglia: non siamo dei maghi. Accettiamo umilmente il fallimento, rimuovendo quelli che dipendono dalla nostra negligenza o sconsideratezza.
Le delusioni attendono ogni educatore; passando attraverso le prove si acquisisce quella maternità o paternità spirituale che ci fa assomigliare un po’ al Padre che è nei cieli.
È importante vigilare su noi stessi: non occorre essere santi o dotti, ma è indispensabile conoscere i propri limiti, essere puri di cuore per vedere Dio, cioè vedere in profondità l’altro, mettere in dubbio, porre domande, contraddire, considerare l’altro nella sua totalità, senza fermarsi all’aspetto spirituale e senza dare eccessive norme. Non sempre ciò che è stato utile per me lo è anche per gli altri: non proponiamoci mai come riferimento. Noi siamo un’espressio-ne della missione educativa della Chiesa, che è madre e maestra. È importante accompagnare i giovani ad una vera conoscenza di sé (doti e limiti), facendo loro riconoscere che le aspirazioni sono illimitate, ma la nostra e la loro capacità di comprensione è limitata. Ed è importante guidarli ad essere responsabili delle proprie scelte. Spesso il giovane è solo, o con pochi altri, ad esprimere o a vivere parole di Vangelo, a porre gesti di perdono, a condividere il linguaggio di tutti senza essere ambiguo. Ci dobbiamo sostenere a vicenda nel vivere in un contesto di grande libertà che richiede fatica, autonomia, capacità di rispondere di sé, senza essere sempre organizzato da un altro. È bello mettere ogni giorno le persone che accompagniamo davanti al Signore, nella preghiera, e intercedere sempre per loro. Questo ci impedisce di essere demotivati e delusi, perché non siamo impenetrabili: certi limiti degli altri ci soverchiano. È bene ricordarci sempre che la Guida e il Maestro è il Signore; perciò, come S. Paolo agli anziani di Efeso, anche noi diciamo di fronte ad ogni accompagnato:“Vi affido al Signore e alla sua grazia” (At 20,32). Una missione educativa che educa con infinito rispetto dell’accompagnato (rispetto che è segno di non appropriazione, di apertura all’esito vocazionale di chi abbiamo davanti) dice ricerca del suo bene, che è lontano da ogni gelosia.
In un rapporto educativo non c’è solo chi dà e chi riceve. Esiste una reciprocità formativa: accompagnare qualcuno è una grazia che ti cambia la vita e ti converte. È un contesto di libertà, che ci fa rifiutare di anteporci o sostituirci a Dio.
Francesco ebbe un giorno a dire a frate Leone: “Frate Leone, frate Francesco tuo ti dà salute e pace. Così dico a te, figlio mio, come una madre, che tutte le parole che abbiamo dette in via, brevemente in questa frase riassumo a modo di consiglio; e dopo non ti sarà necessario venire da me per consigliarti, poiché così ti dico. In qualunque maniera ti sembra meglio di piacere al Signore Iddio e di seguire i suoi passi e la sua povertà, fallo con la benedizione di Dio e con la mia obbedienza. E se credi necessario per il bene della tua anima, o per averne conforto, vieni da me; se lo vuoi, o Leone, vieni”.
Per intercessione di S. Francesco, chiediamo allora al Signore di costruire con chi guidiamo un rapporto di verità e di libertà.