N.03
Maggio/Giugno 2007

Pedagogia della preghiera e maturazione vocazionale

Non è mai troppo facile parlare della preghiera, perché essa costituisce una bella realtà di cui non è scontato parlare, ma semmai invitare a pregare, esortare, consigliare. Incominciamo allora con una preghiera tratta da un bel testo del cardinal Martini di alcuni anni fa, dedicato alla preghiera:

“Signore, tu sai che non so pregare, e allora come posso parlare agli altri della preghiera? Come posso insegnare ad altri qualcosa sulla preghiera? Tu solo, Signore, sai pregare. Tu hai pregato sulla montagna, nella notte. Tu hai pregato nelle pianure della Palestina. Tu hai pregato nel giardino della tua ago­nia. Tu hai pregato nella croce. Tu solo, Signore, sei il Maestro della preghiera. E tu hai dato a ciascuno di noi, come maestro personale, lo Spirito Santo. Ebbe­ne, soltanto nella fiducia in te, maestro di preghiera, adoratore del Padre in spirito e verità, soltanto con la fiducia nello Spirito che vive in noi, possiamo cercare di dire qualcosa, di esortarci a vicenda, per scambiarci qualche dono rispetto a questa meravigliosa realtà. La preghiera è la possibilità che abbiamo di parlare con te, Signore Gesù, nostro Salvatore, di parlare con il Padre tuo e con lo Spirito e di parlarne con semplicità e verità. Madre nostra Maria, mae­stra della preghiera, aiutaci, illuminaci, guidaci in questo cammino che anche tu hai percorso prima di noi, conoscendo Dio Padre e la sua volontà”[1].

 

Una premessa antropologica

Per affrontare questo tema, ho necessità di  premettere innanzitutto qual­che nota di antropologia teologica che ci aiuti a comprendere la dottrina agostiniana sulla preghiera, in grado di indicarci una pedagogia della medesi­ma, finalizzata alla risposta responsabile della persona umana al Dio-Trinità.

Certamente un punto obbligato di tale antropologia è costituito dall’affermazione biblica dell’uomo creato ad immagine di Dio. Nel De Trinitate si leg­ge infatti: “Il vero onore dell’uomo consiste nell’essere l’immagine e la somi­glianza di Dio”[2]. Essa consiste nella capacità dell’uomo di conoscere e di ade­rire a Dio e risiede “in quella parte dello spirito umano che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene”[3]. Si tratta di un’acquisizione costitutiva dell’uomo, in modo tale che neppure il disordine delle passioni può danneggia­re questa immagine di Dio incisa nell’anima umana. La somiglianza dell’uomo a Dio, cioè la capacità di stare in rapporto e dialogare con lui, dipende dalla vicinanza a lui e la dissomiglianza dall’allontanamento da lui, in modo tale che la somiglianza sarà perfetta solo quando sarà perfetta la visione che unirà l’uomo a Dio.

Da questa prima verità sulla natura e vocazione dell’uomo ne scaturisce un’altra sul piano esistenziale: l’uomo capax Dei è anche indigens Deo. È aperto a Dio strutturalmente e proprio per questo ha bisogno di lui e nessuna cosa creata può soddisfare la sua indigenza. Da qui l’inquietudine radicale che sem­pre l’accompagna finché non riposerà in Dio e che lo pone in uno stato di pe­renne ricerca, tanto da far assomigliare la vita presente ad un’autentica peregrinatio.

Ma non tutti sono consapevoli di questa dimensione itinerante della pro­pria vita e comunque non tutti conoscono la via che conduce alla meta. “Ogni uomo che ancora non crede a Cristo, non è neppure sulla via; va errando alla ricerca della patria, ma ignora per quale via vi si giunga e dove sia. Perché dico che cerca una patria? Ogni anima cerca riposo, cerca la felicità; nessuno, inter­rogato se vuole essere felice, risponde negativamente, ma come arrivare alla felicità e dove essa si trovi, gli uomini lo ignorano e per questo vanno errando”[4]. Tutti sarebbero nella condizione di erranti, se non fosse venuto Cristo a cercare e a salvare. La necessità della mediazione di Cristo non si limita al richiamo e all’indicazione della strada da percorrere. “Noi fummo capaci di sfigurare in noi l’immagine di Dio, non siamo in grado di restaurarla. E poiché il genere umano venne a trovarsi in uno stato di distrazione da Dio, come per esistere avemmo bisogno del Creatore, così per rinascere ci fu necessario il Salvatore”[5].

L’uomo immagine di Dio, la vita come cammino e la mediazione insostituibile di Cristo redentore sono tre capisaldi irrinunciabili dell’antropologia agostiniana.

Per questo Agostino definisce l’orante come un “mendicante di Dio” per­ché per tutta la vita deve essere sempre nell’atteggiamento di chi sempre cerca, bussa e chiede. “Se vuoi avere la giustizia, devi essere il mendicante di Dio, il quale ti esorta a chiedere, a cercare, a bussare”[6].

“Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia: perché beati? Hanno fame e sete e sono beati? Quando mai la miseria è beata? Non sono beati perché hanno fame e sete, ma perché saranno saziati. La felicità sarà nella sazietà, non già nella fame. Ma la fame deve precedere la sazietà, affinché la nausea non ci allontani dal prendere il cibo”[7].

 

Definiamo che cos’è la preghiera

“L’usignolo canta perché è fatto così, perché cantare è conforme alla sua natura”. Evagrio, un autore cristiano del IV secolo (è morto nel 399) scrive che è proprio della mente umana pregare, perché è conforme alla sua natura occu­parsi di ciò che è più bello, cioè di Dio. I Padri della Chiesa descrivono la necessità di pregare con tantissime metafore.

San Giovanni Crisostomo scrive che la preghiera è per il cristiano quello che è “il muro per la città, la spada per il soldato, il porto nella tempesta, l’ancora dei naufraghi, il bastone per quelli che zoppicano, il tesoro dei pove­ri… rifugio nei mali, fonte di ardore, causa di gioia, madre della filosofia.

E se nel Paradiso ogni cosa cresceva grazie ad un’abbondante sorgente d’acqua, nella vita spirituale questa sorgente che irriga e fa crescere tutte le virtù è proprio la preghiera”[8].

Si può chiamare la preghiera, la respirazione dello spirito. Come per respirare i polmoni si dilatano e attirano gli elementi vivificanti dell’aria, così durante la preghiera le profondità del nostro cuore si aprono e dilatano e il nostro spirito si eleva verso Dio per ricevere il dono che gli permette di unirsi a lui. E come l’ossigeno ricevuto dal sangue è poi trasportato nel corpo intero per vivificarlo, così il dono ricevuto da Dio penetra tutto ciò che è in noi e vivifica tutto il nostro intimo. In un certo senso potremmo dire che la preghiera è il barometro spirituale che permette di conoscere se stessi. Ecco perché la pre­ghiera, in quanto colloquio con Dio, è “saggezza” tipicamente cristiana.

Dunque la preghiera è la cosa più spontanea, più congeniale alla persona umana, perché nasce dal cuore. Il bambino non ha bisogno di studio né di sfor­zo quando ha da chiedere aiuto alla mamma, quando ne ha bisogno o per dire alla stessa che le vuol bene. Così è per la preghiera. Essa costituisce il respiro dell’anima: splendida metafora che ci dice quanto la preghiera sia profonda­mente congeniale all’uomo.

La preghiera è la risposta immediata che ci sale dentro il cuore quando ci mettiamo di fronte alla verità dell’essere. Quando, cioè, attraverso situazioni che impegnano il nostro vissuto quotidiano, viviamo l’autenticità della nostra esistenza, ne tocchiamo la profondità anche nella sua drammaticità e bellezza. E questo può avvenire in tanti modi, che saranno diversi per ciascuno. Situazio­ni che ci distaccano per un momento dalla schiavitù delle invadenze quotidia­ne, che troppo spesso ci disperdono e ci distraggono, per essere ricondotti all’essenziale della vita, alla sua semplicità. “Sei nell’abbondanza e sei nel bisogno: sei ricco di beni temporali, ma hai bisogno di quelli eterni. Tu senti la voce di un mendicante, ma tu stesso sei mendicante di Dio. Si chiede a te, ma chiedi anche tu. Come ti comporterai con chi chiede a te, così anche Dio si comporterà con chi chiede a lui”[9].

Dunque l’esperienza della preghiera appartiene al DNA della persona uma­na, fa parte delle sue fibre più intime; eppure tale esperienza ha bisogno di essere accompagnata, guidata, sostenuta in modo da entrarvi con quella gra­dualità che rispetta la storia di ciascun uomo e donna che vogliono aprirsi al rapporto amante di Dio e da esso lasciarsi conquistare. «Qualcuno era venuto a chiedere ad un solitario di accettarlo come discepolo. “Di che cosa hai bisogno, fratello?” gli domanda il solitario. E l’altro gli risponde: “È per la preghiera che io vengo, padre”. Abba Agatone diceva: “Niente è più fati­coso della preghiera. Se nella pratica delle virtù, vi è un momento di riposo, la preghiera, fino all’ultimo respiro dell’uomo, non ne autorizza nessuno”»[10].

 

La preghiera: pedagogia del desiderio di Dio

Nella vicenda di Riccardo abbiamo visto che il momento in cui ha avver­tito la necessità di aprirsi ad una forma di preghiera è stata l’esperienza di un abbandono, di una sofferenza. Molteplici, certo, possono essere i motivi che spingono un giovane a tuffarsi in qualche modo nella preghiera. Domanda, bi­sogno, ricerca di senso, grido, ma anche gioia grande e felicità sono solo alcuni dei possibili motivi che aprono all’esperienza della preghiera. Una cosa è certa: la preghiera favorisce quelle condizioni che mettono la persona in uno stato di autenticità, ossia in una situazione di pausa da tutto e da tutti, che si apre alla ricerca della verità di se stesso in rapporto ad un tu, ge­nerando, con gradualità, nel cuore della persona, la sana nostalgia di Dio.

Da dove cominciare tale ricerca per ricondurre l’uomo alla verità di se stesso in relazione a Dio?

Con Agostino dovremmo dire che il punto di partenza della preghiera è costituito dal desiderio. In un certo senso potremmo dire: dimmi ciò che desi­deri e ti dirò come preghi. Perché?

Il desiderio crea nello spirito movimento, la tensione e l’estensione che si dirigono verso una meta. Il desiderio è la sete dell’anima (“ipsum desiderium sitis est animae”[11]); è il seno del cuore (“desiderium sinus cordis est” [12]). Esso è nella costituzione stessa dell’anima razionale, fatta per la verità assoluta e il bene assoluto. Il desiderio produce due effetti preziosi nell’animo:

-Rende più dolce, quando sia ottenuto, ciò che è stato lungamente desiderato.

-Allarga le capacità dell’anima, affinché riceva in misura più grande ciò che ha più arden­temente desiderato. Non è la gioia che dilata le capacità dell’anima, ma il desiderio.

 

Identità tra desiderio e preghiera

Per Agostino, la preghiera è essenzialmente il nostro desiderio. Il nostro desiderio è la nostra preghiera. Principio, questo, che potremmo definire l’interiorità della preghiera. Un principio stupendo che presuppone però la volontà di desiderare e di dirigere il desiderio verso colui che è la sorgente della vita beata.Ma il problema si pone se il desiderio o i desideri che sono nel cuore dell’uomo hanno subito una vera e propria “era glaciale”; se si sono, cioè, raf­freddati.

“I desideri sono un indice quanto mai significativo, essi segnano il livello della tensione di libertà. La qualità e l’estensione del desiderio effettivo dicono il grado di libertà di un individuo. E allora se scarso è il raggio di estensione del desiderio e povero il suo contenuto qualitativo, scarsa e povera sarà pure la libertà del nostro giovane. Da un lato egli sembrerà cercare libertà, pretendere spazi d’autogestione, sognare autonomia e possibilità di… fare quel che gli pare e piace; ma, in realtà, egli ha paura di ritrovarsi solo dinanzi alle opzioni etiche, o libero di dare un senso alla vita o di cercare con la sua testa la verità delle cose e di se stesso. A volte avrà l’impressione trionfante di poter final­mente fare quel che vuole, ma non s’accorgerà che quel che vuole, o che gli pare e piace, è di qualità molto mediocre, indica gusti piuttosto limitati e aspi­razioni tutto sommato modeste; indica un uomo piccolo e meschino anche nei sogni, e primitivo ed elementare nei desideri; insomma si accontenta di molto poco, anche se si affatica e si affanna, novello don Chisciotte o Rambo, per una battaglia in fondo inutile e frustrante. Mentre non si accorge che più fa quel che gli piace, meno gli piace quel che fa…”[13].

È, dunque, urgente che colui/colei che si trova ad accompagnare un giova­ne nel suo cammino di discernimento compia un’opera di ri-evangelizzazione dei suoi desideri, provocandone di più grandi, allargandone gli orizzonti, per­ché la persona (il giovane) ricominci a sognare la felicità non in limiti ristretti e caduchi, ma aprendosi alla novità mai programmata, alla meraviglia feconda di umiltà, alla gratitudine che genera la gratuità e, dunque, alla relazione con Dio in Gesù Cristo per la forza dello Spirito Santo, fino ad una scelta duratura. “L’uomo, questo essere limitato dalle aspirazioni illimitate, è un individuo in perenne ricerca. Cerca se stesso, innanzitutto, e se ha il coraggio di scoprire la sua identità avverte immediatamente il bisogno di spingere oltre la sua ricerca…Verso quell’Essere che è la fonte della sua stessa identità…..Già S. Ireneo, d’altronde, diceva che conoscere se stessi significa riconoscere e riscoprire in sé l’immagine di Dio, Dio stesso. Ecco perché il desiderio di Dio e di conoscerlo è desiderio radicale e universale, leggibile sullo sfondo d’ogni desiderio di sapere da parte dell’uomo… Se il suo desiderio è ardente e la ricer­ca costante, Dio non può sottrarsi. È lui stesso infatti che gli ha messo nel cuore quel desiderio e quella costanza. Se davvero l’uomo cerca il suo Dio non c’è dubbio che lo troverà, perché Dio stesso gli andrà incontro…”[14].

Occorre recuperare il desiderio. Ma come?

 

Lo spazio intermedio o interiore

Per avere delle aspirazioni occorre crearsi uno spazio intermedio dove l’attività simbolica e il lavoro creativo trovano il loro ambiente naturale.

L’artista, ad esempio, è tale perché è capace di crearsi uno spazio interiore dove riceve l’intuizione e poi, guidato da questa, plasma la materia bruta finché non appaia visivamente la sua intuizione… L’opera finale è una fusione di ma­teria e di senso. “Per capire la realtà bisogna distaccarsene. Se vediamo troppo da vicino, la prospettiva è troppo stretta. Senza uno spazio intermedio mancano le categorie di interpretazione, di senso. Tale spazio non è formulato né dagli elementi del mondo immediato (come se la realtà fosse lei a decidere che cosa ha senso e che cosa non ha senso) né dal proprio io attuale e quindi da una prospettiva egocentrica: io al centro del mondo e misura di tutta la realtà. Ma allora qual è il contenuto di questo spazio? È il mondo dei desideri, è lo spazio delle aspirazioni. Il suo contenuto è dato dalle risposte a domande come queste: a cosa aspiro? Cosa mi sta a cuore? Verso cosa tendo? In una parola: cosa desi­dero? Se queste domande trovano risposta, ecco che la realtà incomincia a co­lorarsi, diventa intelligibile e con essa incomincia uno scambio affettivo… Con la realtà incomincia un rapporto passionale. Si prova gioia e dolore, entusiasmo e avvilimento, stupore e ribrezzo, felicità e nostalgia… l’uomo si rende capace di passionalità: coglie il bello delle cose e quindi può gioirne e amarle”[15]. Solo uno spazio interiore dà la possibilità di riscoprire la capacità di desiderare. “L’uomo è sconosciuto a se stesso. Per conoscersi ha bisogno di una grande consue­tudine di ritiro dai sensi e di raccoglimento spirituale per restare in se stesso”[16]. “Non esser vana anima mia, non assordare l’orecchio del tuo cuore nel tumulto delle tue vanità. Ascolta anche tu il Verbo in persona che ti grida: ritorna! In lui v’è un luogo di pace imperturbabile”[17]. “Qui parliamo della interiorità della preghiera che non è un fatto di alti pensieri o di molte parole, ma essenzialmente un fatto affettivo. A Dio si va con gli affetti, non con i piedi, e Dio si prega con il cuore e non con le parole”[18]. “Si prega con l’affetto, si prega con l’amore, si prega con il desiderio. Cioè, la preghiera per Agostino, non è un fatto di parole e nemmeno una que­stione di pensiero. La preghiera è essenzialmente una questione di affetto. Pre­ghi sempre se desideri sempre. La preghiera continua è il tuo desiderio, per cui il silenzio dell’anima è il freddo della carità; il grido dell’anima è il fervore della carità”[19].

“La preghiera è il desiderio di Dio che nasce dalla fede, dalla speranza e dalla carità. La fede è il presupposto dell’amore e del desiderio, perché non può essere oggetto di amore e di desiderio, se non ciò che è creduto”[20]. “L’amore di Dio quaggiù si traduce necessariamente in desiderio, perché l’oggetto dell’amore non si possiede nella pienezza e nella sazietà”[21]. “La preghiera, pertanto, come grido del cuore a Dio, restituisce ai desideri una direzione, una meta a cui tendere. Ci sia, in chi prega, l’affetto e ci sarà l’effetto di chi esaudisce”[22].

 

Il desiderio dilata le capacità dell’anima

Dice sant’Agostino: Se tu vai ad attingere l’acqua che ti serve o vino o un’altra cosa preziosa che ti interessa, hai tutta l’attenzione di prendere il vaso più grande che puoi, perché se vai alla fonte con un vaso piccolo porti con te poca acqua e se vai alla botte con un bicchiere piccolo porti via poco vino. Quanto più grande è il tuo vaso, tanto maggiore è la quantità di liquido che tu puoi prendere. Di conseguenza, se tu desideri proprio di avere una quantità abbondante di vino o di acqua, devi procurarti un vaso di capacità maggiore. Il vaso dalle varie dimensioni è la nostra anima, a seconda che abbia un desiderio maggiore o minore. Quanto più grande è il desiderio tanto più le capacità dell’anima si dilatano e di conseguenza siamo maggiormente in grado di ricevere in misura maggiore i beni di Dio. “In ogni tribolazione, in ogni timore, in ogni occasione di letizia pregate Dio che vi conceda quanto sa egli stesso possa giovarvi…la ricompensa non viene negata, ma è messo alla prova il desiderio. Dilatiamo il nostro desiderio, perché è grande ciò che riceveremo”[23]. “Allenati dunque per accogliere Dio! Desidera a lungo il bene che avrai da possedere per sempre”[24]. “Il desiderio prega sempre, anche se tace la lingua… Quando la preghiera dormicchia? Quando si raffredda il desiderio”[25].

“La preghiera serve prima di tutto per farci coscienti dei bisogni che abbiamo, poi per disporre il nostro spirito a riceverli, poi, terza ragione, per dilatare le nostre capacità recettive. L’insistenza nella preghiera non dipende dal gusto di Dio, che amerebbe sentirci strillare; l’insistenza nella preghiera è un modo di dilatare le ca­pacità spirituali dell’anima, di accrescere in noi il desiderio, il sentimento del biso­gno. Quando giunge la grazia, giungerà in una maniera più piena, più alta, perché abbiamo chiesto con più fervore, con più fede, con più amore, con più insistenza”[26].

 

Il desiderio è la misura della nobiltà e della grandezza dell’anima umana

L’uomo, definito da Agostino, è capax Dei, cioè capace di Dio. L’uomo creato a immagine di Dio ha la capacità di possedere Dio nella sua infinita perfezione: l’uomo è un essere finito fatto per l’infinito. Dimenticando questo principio fondamentale dell’uomo, si dimentica l’aspetto più profondo e più stu­pendo della grandezza e dignità della persona umana e cristiana. La grazia di Dio è una ricchezza che si inserisce nelle capacità naturali della nostra anima. La grazia ci dà la forza di arrivare là dove siamo destinati, cioè ci dà la forza di accogliere Dio in noi. Questa capacità è costitutiva essenziale della nostra dignità umana. Allora il desiderio di Dio è segno di questa costituzione fondamentale dello spirito umano.

 

La preghiera: cammino di riconciliazione con Dio

Per Riccardo un passaggio ulteriore è costituito proprio da un colloquio con un sacerdote. Lui stesso dice: «cominciai a sentire Dio sempre più Signore di una vita che faticosamente consegnavo alle sue mani e mi sembrava che la mia preghiera cominciasse ad essere più sincera. Il brano della Parola a me più caro, dal quel momento in poi, è stato “senza di me non potete far nulla”».

Nonostante la sua preghiera, si accorge che le sue richieste e i suoi deside­ri non sono esauditi.

“Potrebbe far meraviglia che agisca così colui che conosce ciò che è ne­cessario prima che glielo chiediamo, se non comprendessimo che il Signore Dio nostro non desidera che noi gli facciamo conoscere qual è il nostro volere, ch’egli non può non conoscere, ma desidera che nelle preghiere si eserciti il nostro desiderio, onde diventiamo capaci di prendere ciò che prepara di darci”[27]. Ma questo Riccardo non lo sa proprio.

 

– Perché lamentarci di non essere esauditi?

Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi:

“Dio non dà a chi non chiede, per non dare a chi non è in grado di ricevere”[28].

“Dio vuole che gli chiediamo le cose di cui abbiamo bisogno, perché desidera che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, onde diventiamo capaci di ricevere quello che si prepara a darci… E il desiderio, quanto più è profondo e vivo, tanto più dilata la capacità dell’anima e la rende disposta a ricevere in maggior misura i doni di Dio”[29].

“Egli è il Salvatore non soltanto quando esaudisce ciò che gli si chiede, ma anche quando non esaudisce la nostra preghiera: perché quando vede che la nostra richiesta è contraria alla nostra salvezza, si dimostra Salvatore appunto non ascoltandoci”[30]. A volte chiediamo ciò che non conviene, perché sappiamo cosa desideriamo, ma Dio solo sa che cosa ci giova.

 

– In che modo la nostra preghiera è efficace?

La preghiera cristiana è cooperazione alla provvidenza di Dio, al suo dise­gno di amore per gli uomini. In san Paolo questa fiducia è audace, fondata sulla preghiera dello Spirito in noi e sull’amore fedele del Padre che ci ha donato il suo unico Figlio. La trasformazione del cuore che prega è la risposta all’efficacia della nostra preghiera. La preghiera di Gesù fa della preghiera cristiana una domanda efficace. Egli ne è il modello, egli prega in noi e con noi. Poiché il cuore del Figlio non cerca se non ciò che piace al Padre, come il cuore dei figli di adozione potrebbe attaccarsi ai doni piuttosto che al Donatore? Gesù prega anche per noi, al nostro posto e in nostro favore. Tutte le nostre domande sono state raccolte una volta per sempre nel suo grido sulla croce ed esaudite dal Padre nella sua risurrezio­ne, ed è per questo che egli non cessa di intercedere per noi presso il Padre. Se la nostra preghiera è risolutamente unita a quella di Gesù, nella fiducia e nell’audacia filiale, noi otteniamo tutto ciò che chiediamo nel suo nome; ben più di questa o quella cosa: lo stesso Spirito Santo, che comprende tutti i doni. Lo Spirito Santo è l’oggetto privilegiato della preghiera cristiana. “…è lo stesso Spirito Santo che dobbiamo desiderare di ricevere: in virtù di lui gridiamo: Abbà Padre; è lui che ci dà la facoltà di chiedere e di bussare; è lui la mèta a cui ci sforziamo di pervenire”[31].

Ma torniamo a Riccardo, al quale la sua preghiera sembra fin troppo di comodo. Eppure da quel colloquio qualcosa si è aperto: la riscoperta del volto di Dio ora comincia a passare attraverso il volto concreto di una guida spiritua­le. “Chiedete, cercate, bussate: riceverete, troverete, vi sarà aperto. Ma non dovete chiedere, cercare e bussare solo con le parole, ma con tutto il vostro comportamento: fate le opere buone, senza le quali non si deve affatto vivere questa vita”[32].

 

La conversione

La preghiera che eleva e insegna Agostino, poiché richiede l’unificazione di se stessi nel desiderio in Dio, svela nel cuore dell’uomo una sana inquietudi­ne che spinge alla ricerca della verità di se stessi in rapporto al tu divino. Mai la preghiera è fatto puramente personale, nel senso che è vissuta in senso intimistico e solitario: essa è, per sua natura, relazionale. Mette due esseri a confronto: l’uomo e Dio. Da tale relazione scaturisce il bisogno di “fare qualcosa”, di “lasciare qualcosa”, di “fare spazio” a qualcuno che fino a poco prima era lon­tano, sconosciuto, forse ingombrante, certo non necessario.

Da ciò nasce il bisogno, ormai sentito, percepito e condiviso, di una radi­cale conversione dell’Io, del cuore quale centro profondo della persona, libe­randolo da ogni attaccamento di natura idolatrica e da ogni ripiegamento solipsistico, per aprirlo alla comunione e alla condivisione. La conversione del cuore è un girarsi verso Dio per stabilire un colloquio, un dialogo, un rapporto con lui, sperimentando un esodo da se stessi, necessario per poter poi ritornare e ri-abitare in modo nuovo e autentico se stessi.

Allora la preghiera è essenzialmente una relazione con un tu che attende da sempre un ritorno della persona alla sorgente. Perché questo si realizzi oc­corre passare attraverso la purificazione dell’occhio interiore.

 

La purificazione

Che cos’è tale purificazione?

Scopo di questa purificazione è rendere possibile alla pupilla dell’occhio inte­riore, cioè della nostra mente, di sopportare la luce soprannaturale, che è la luce di Dio; e non solo sopportarla, ma abitare in quella luce con ineffabile gaudio.

Inoltre, la purificazione del cuore è un percorso obbligatorio e necessario. È nella misura in cui ci sforziamo di purificare il nostro cuore dalle tenebre del peccato, che diventiamo capaci di accogliere la verità. Il cuore rappresenta, per i Padri, il centro dell’essere umano visto nella sua totalità. Esso è il centro delle facoltà, delle capacità dell’intelligenza, del discernimento, della volontà della sapienza e del giudizio.

Il cuore diviene come l’interprete della situazione in cui vive l’uomo. “L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo, dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Lc 6,45).

La purificazione del cuore avviene attraverso tre operazioni fondamentali, che possiamo tutte ritrovare nella splendida preghiera del Salmo 51: il cuore dell’uomo peccatore e contrito; l’uomo interamente lavato dall’interno; l’uomo riceve lo Spirito Santo. Solo Dio può creare un cuore nuovo e puro nell’uomo, ma tale azione è intimamente unita al percorso di purificazione del nostro cuore attraverso la fede e la conversione, con la quale diveniamo capaci di accogliere l’opera di Dio in noi stessi.

“Qual è il segno che un uomo ha raggiunto la purezza del cuore? È vera­mente puro nel proprio cuore, quando ritiene che tutti gli uomini siano buoni e nessuno di essi appare ai suoi occhi come impuro o contaminato. Come si com­pirebbe altrimenti la parola dell’Apostolo, che dice che, quando uno si levi in ogni virtù, reputa tutti gli esseri superiori a sé, nel cuore e in verità (Fil 2,2-3), senza parlar del profeta che dice: l’occhio buono non vede il male (Ab 1,13)?”[33].

Una tale purificazione conduce pian piano a ritornare in se stessi. “Non andare al di fuori di te, rientra in te stesso, nell’uomo interiore abita la verità, e quando ti sarai accorto che anche tu sei mutevole, trascendi te stes­so; ma ricordati, che quando trascendi te stesso, tu trascendi un’anima che ra­giona, tendi dunque là dove si accende la luce della tua ragione”[34].

 

La tentazione: lotta interiore

Ecco che la preghiera conduce a discendere nei propri inferi, a scontrarsi con il proprio limite, il proprio peccato; a fare esperienza più lucida e chiara della tentazione. Così la persona ritorna là dove c’era solo apparente vuoto e silenzio sordo, là dove ora è chiamata a confrontarsi con il volto, l’immagine di un Dio che interpella, che domanda: chi è Dio per te? Una domanda fondamen­tale che esige una risposta, una “responsorialità”.

“Nel cammino spirituale, chi si sta formando dovrà imparare a sopportare, o meglio a stare e attraversare le frustrazioni e il vuoto che emergono, a volte, quando si inizia un’esperienza di silenzio e di preghiera profonda… Senza abi­tare con se stessi, senza recuperare la propria interiorità, si rischia di fraintende­re i messaggi che vengono dal proprio cuore o dallo Spirito che ci conduce”[35].

La preghiera è un dono della grazia e da parte nostra una decisa risposta. Presuppone sempre uno sforzo. I grandi oranti dell’Antica Alleanza prima di Cristo, come pure la Madre di Dio e i santi con lei ce lo insegnano: la preghiera è una lotta. Contro chi? Contro noi stessi e contro le astuzie del tentatore che fa di tutto per distogliere l’uomo dalla preghiera, dall’unione con il suo Dio. Si prega come si vive, perché si vive come si prega. Se non si vuole abitualmente agire secondo lo Spirito di Cristo, non si può nemmeno abitualmente pregare nel suo nome. Il «combattimento spirituale» della vita nuova del cristiano è inseparabile dal combattimento della preghiera.

La preghiera, rendendo sensibili e uniti a Dio, introduce nell’esperienza consapevole della tentazione e della prova e ne costituisce la chiave di lettura, l’ermeneutica cristologica.

Per i Padri, non si può parlare di autentica vita interiore finché si confonde la spontaneità con la bontà, cioè non è affatto vero che il bene sia più spontaneo del male. La preghiera ha una sua disciplina, che diviene il fondamento di ogni discrezione. La lotta è, dunque, interiore. Il cristiano può combattere perché ha come modello supremo Cristo, il quale si è fatto tentare proprio per insegnare all’uomo come vincere contro le tentazioni. Non c’è vittoria senza lotta e non c’è lotta senza tentazione.

“Leggevamo ora nel Vangelo che il  Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto. Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Così, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne ripor­tassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo. Ti preoc­cupi perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato”[36].

Agostino ha ben chiaro che la tentazione stessa ha un valore pedagogico, che permette all’uomo di conoscere se stesso. L’uomo non sarà mai tentato al di sopra delle proprie forze, nella misura in cui a lui sarà utile per progredire nella via del bene. Un’esperienza, questa, vissuta dallo stesso Pietro: “ciascuno in­fatti conosce se stesso nella tentazione, come se [da essa] fosse interrogato; così Pietro certamente non sapeva quali forze avesse la sua fede, quando disse al Signo­re: Sarò con te fino alla morte. Ma il Signore, che lo conosceva, predisse quando sarebbe venuto meno, preannunziandogli la sua debolezza come se gli avesse toc­cato una vena del suo cuore. Ne consegue che Pietro, il quale, prima della tentazio­ne, aveva presunto di se stesso, nella tentazione imparò a conoscersi”[37].

 

«Non c’è quindi alcuna tentazione che ecceda la gravità fissata dal Signo­re. Lascia dunque che vengano le tentazioni e le prove anche più acerbe! Ne uscirai perfezionato, non logorato. Guarda un po’ se non giovino le tentazioni! Senti l’Apostolo: “Dio è fedele, e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze; anzi, con la tentazione, vi troverà anche la via di uscita, affinché possiate sopportarla”. Non dice: “Dio non permetterà in maniera as­soluta che voi siate tentati”. Pertanto evitare la tentazione vorrebbe dire non accettare nemmeno la [conseguente] rifinitura. Ma occorre che tu sia rifinito e, fintantoché vieni rifinito, sei in mano dell’artista. Qualcosa ti toglie, qualcosa ti raddrizza, qualcosa ti squadra, qualcosa ti ripulisce. Ti lavora, insomma, con certi suoi attrezzi (per così dire). Ecco cosa sono gli scandali di questo mondo. L’importante è che tu non cada di mano all’artista. Non ci saranno tentazioni che vadano oltre le tue forze; e quelle che tu hai, Dio le permette per tua utilità perché tu ne tragga profitto»[38].

 

La preghiera: relazione che diviene discernimento

Riccardo vive, nel momento dell’Eucaristia, un’esperienza consolante, l’esperienza dell’incontro con la persona di Gesù, dalla quale sente emergere un interrogativo: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

“L’Eucaristia ci dice che se la vita di ciascuno di noi è un teorema di ardua soluzione, una cosa è sicura: l’amore di Dio è fedele, e proprio per questo, risana… L’Eucaristia ci dice che l’amore del Signore non ci abbandona nell’inferno delle ferite, seppure ne permette l’attraversamento, Egli conosce le nostre angosce e pro­prio accompagnandoci in esse, pian piano, ci introduce nella cella eucaristica… conoscendo le nostre ferite e attraversandole con il suo amore fedele e saldo, il Signore se ne serve per introdurci nel mistero del sangue versato e per ordinare in noi l’amore, per fare del nostro cuore una costruzione armonica”[39].

L’Eucaristia non è solo l’incontro con il volto incarnato di Dio, che è Gesù Cristo, ma il coinvolgimento radicale della nostra vita nel suo atto oblativo.

«Gesù ci ha così lasciato il compito di entrare nella sua ora: “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione”. Egli “ci attira dentro di sé”. La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di “fissione nucleare”, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cf 1 Cor 15,28) »[40].

La preghiera di adorazione alla quale si apre non può che essere una pre­ghiera cristologia: è Cristo la verità che lui sta cercando, la via che gli si sta svelando, la vita che gli si dona.

La preghiera, consumata nel rapporto con il Corpo di Cristo, lo innesta come un tralcio alla sua vite, nella comunione ecclesiale. Cioè, «la preghiera del cristiano non è mai la voce di un uomo isolato, ma la voce di tutto un corpo, che è la Chiesa. “Se cantiamo, cantiamo nella speranza, uniti, tutti insieme, omnes in unum collecti. Essendo infatti rivestiti di Cristo, noi siamo Cristo, insieme col nostro capo….Risulta pertanto chiaramente che noi apparteniamo a Cristo e, siccome, siamo membra e corpo di lui, insieme a lui formiamo un solo uomo”… Le conclusioni pratiche che si possono tirare da una tale dottrina sono diverse. La prima: “soltanto colui che prega nella pace della Chiesa, nell’unità del corpo di Cristo, prega nel tempio di Dio… prega in spirito e verità”; la seconda conclusione pratica: “se apparteniamo al corpo di Cristo, dobbiamo ascoltare le voci del corpo di Cristo”»[41].

Riccardo rientra nel circolo vitale e generativo della Chiesa. Si accosta al sacramento della Riconciliazione, pur essendo ancora incerto e goffo, non an­cora totalmente disarmato davanti al desiderio d’amore di Dio. L’amore all’Eucaristia lo porterà ad apprezzare sempre più anche il sacramento della Riconci­liazione. “…la relazione tra Eucaristia e Riconciliazione ci ricorda che il pecca­to non è mai una realtà esclusivamente individuale; esso comporta sempre an­che una ferita all’interno della comunione ecclesiale, nella quale siamo inseriti grazie al Battesimo”[42].

La preghiera, grido dell’anima a Dio, desiderio di felicità, dialogo sanante e salvante, testimonianza di una comunione ecclesiale, spinge dentro la grotta più intima del cuore e chiede di fare una discrezione, una separazione, un di­scernimento. Non si può essere più superficiali e neppure il proprio peccato rimane nascosto allo sguardo interiore.

“Così quando qualcuno si mette a pregare, non solo lo Spirito è all’opera in lui, ma l’ha addirittura preceduto nella preghiera. Lo stesso Paolo dice espres­samente: Noi non sappiamo pregare come si deve, ma è lui, lo Spirito, che di persona, intercede per noi con gemiti inesprimibili (Rm 8,26)”[43].

La preghiera stessa è come un discernimento in atto, dal momento che consiste essenzialmente nell’abbandonarsi progressivamente alla preghiera dello Spirito in noi ogniqualvolta, a poco a poco, questa affiora nella nostra coscienza.

La relazione vissuta tra Dio e l’uomo nella preghiera o conduce alla neces­sità di aprirsi ad un dialogo ecclesiale, cioè di mediazione generativa che per­metta di fare chiarezza sul proprio vissuto e su ciò che Dio, in Gesù Cristo, sta domandando alla sua persona, oppure rischia di rimanere un dialogo infecon­do, auto-bastante, non liberante.

La preghiera ha gradualmente ri-consegnato Riccardo al grembo materno della Chiesa, perché fosse nuovamente generato alla vita dei figli di Dio. Ora Riccardo può iniziare un tempo di direzione spirituale più convinto e più vero.

“Il discernimento fa parte dunque della relazione vissuta tra Dio e l’uomo – quindi è contenuto e custodito dalla preghiera stessa che ne diviene sorgente e norma – anzi è proprio uno spazio in cui l’uomo sperimenta il rapporto con Dio come esperienza di libertà, addirittura come possibilità di crearsi. Nel di­scernimento l’uomo sperimenta la sua identità come creatore della propria per­sona. In questo senso è l’arte in cui l’uomo dischiude se stesso nella creatività della storia e crea la storia creando se stesso. Il discernimento è quindi una realtà relazionale, come lo è la fede stessa – come lo è la preghiera. La fede cristiana è infatti una realtà relazionale, perché il Dio che ci si rivela si comuni­ca come amore, e l’amore presuppone il riconoscimento di un tu… perciò l’esperienza della relazione che l’uomo sperimenta nel discernimento – e dunque nella preghiera – non è mai solo relazione tra uomo e Dio, ma include la relazione tra uomo-uomo e addirittura tra uomo-creato, dal momento che entrare in una relazione autentica con Dio significa entrare in quell’ottica d’amore che è una relazione vivificante con tutto ciò che esiste… Il discernimento è allora l’arte di comprendere se stessi tenendo conto di questa struttura coesiva, dell’insieme, vedersi nell’unità perché si vede con l’occhio di Dio che vede l’unità di vita”[44].

In tal senso, la nostra conoscenza di Dio non è teorica, ma comunicativa, cioè Dio si comunica in modo personale nella sua relazione libera con ciascuno di noi. In tale relazione Dio comunica all’uomo la sua somiglianza, cioè l’amore.

“L’uomo si serve della sua intelligenza nella maniera più completa e totale solo quando tutte le sue capacità conoscitive convergono in un intelletto illumi­nato, aperto e guidato dallo Spirito Santo. L’uomo contemplativo, orante, è colui che guarda attraverso la sua intelligenza con l’occhio luminoso dello Spi­rito Santo… La via dello Spirito non passa mai dal giovedì della settimana santa alla domenica, saltando venerdì e sabato. Ma, per comprendere questo, ci vuole una vera contemplazione e una grande arte di discernere”[45].

 

La preghiera educa alla verità dell’amore: da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi

Riccardo ha iniziato il suo cammino di discernimento. La sua preghiera è diventata una necessità quotidiana che lo invita ad amare la Chiesa e a starci dentro senza limiti. Sempre più forte vibra dentro di lui la domanda inquietante sulla possibilità disarmante di vivere totalmente per lui. Sente e riconosce di essere amato così come è, di essere oggetto di una misericordia che con fedeltà sostiene il peso del suo cuore e gli genera dentro la voglia di vivere per lui. “Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericor­dia. Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Ci comandi la continenza e qualcuno disse: conscio che nessuno può essere continente se Dio non lo con­cede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono. La continenza, in verità, ci raccoglie e ci riconduce a quell’unità che abbiamo lasciato disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua. O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami. Comandi la continen­za. Ebbene da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi”[46].

“Dio non comanda l’impossibile, ma comandando ti ammonisce di fare quello che puoi, di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi e ti aiuta perché tu possa”[47]. Cioè, Dio non comanda l’impossibile, ma co­mandando ti ammonisce di fare ciò che puoi (ecco la nostra cooperazione, libera cooperazione dell’azione della grazia), di chiedere ciò che non puoi (ecco la preghiera), e ti aiuta perché tu possa (ecco la grazia). “Non ti senti attratto? Prega per essere attratto”[48].Si deve chiedere al Signore di darci quello che ci comanda di avere, di raddrizzare la volontà. “Quando il Signore ci dice: convertitevi a me, perché io mi converta a voi, che altro ci dice se non: fa ciò che ti coman­do? E quando noi diciamo al Signore: convertici a te, o Signore, e noi ci convertiremo, che altro diciamo al Signore se non: dacci di fare ciò che comandi?”[49].

La preghiera diviene incessante richiesta di aderire alla verità dell’amore, che si concretizza nel dono di sé a Dio. Rispondere a questa ri­chiesta non lascia più indifferenti. Riccardo ha, oggi, una nuova sensibi­lità interiore che lo rende più attento al desiderio di Dio. L’attenzione è un aspetto costitutivo della preghiera. Un suo frutto prezioso.

 

Che cos’è l’attenzione?

“L’attenzione è un atteggiamento del nostro spirito, ma non dello spi­rito che tende, bensì dello spirito che ha consapevolezza della presenza. Quindi attenzione vuol dire presenza dello spirito a se stesso e a Dio (me­moria sui e memoria Dei). Il contemplativo raggiunge il culmine dell’attenzione… Per poter pregare occorre questa condizione: il silenzio inte­riore, il raccoglimento di tutte le energie del nostro spirito, della memo­ria, della fantasia, dell’intelligenza, del cuore, della volontà… Il contra­rio dell’attenzione è la distrazione (etimologicamente la parola significa: tirare da diverse parti; quando siamo distratti, siamo tirati e quindi lacera­ti). L’attenzione serve a raccoglierci, a tenere insieme tutto il nostro esse­re, affinché non dimentichiamo davanti a chi stiamo e davanti a chi siamo prostrati… L’attenzione, dunque, raccoglie e unisce tutto il nostro essere attraverso la forza dell’amore”[50].

Ma, per divenire viva, la preghiera ha bisogno di un elemento sem­plicissimo ma fondamentale: “l’intenzione”. Cosa significa? È tensione verso un punto determinato. Intendere vuol dire tendere in; in indica la direzione del movimento significato dalla parola tendere… Così intenzio­ne è sinonimo di opzione fondamentale, come oggi si dice: cioè una scelta di fondo che dia l’orientamento totale al nostro spirito verso Dio. Trovia­mo qui il concetto essenziale del cuore, cioè l’amore. Che cos’è l’amore?… è un movimento della persona che ama verso la persona amata: e se è un movimento è una tensione e se è una tensione questa si chiarisce e si fissa per mezzo dell’intenzione… L’amore è dunque un movimento verso l’assimilazione piena e totale con la cosa amata… La preghiera è dunque un movimento, una comunione che comincia con la conoscenza e termina e si perfeziona con l’amore. E perché movimento, è un desiderio; e perché desiderio, è una ricerca; e perché ricerca è una tensione. Dove manca la consapevolezza e la forza di questa tensione, manca la molla della pre­ghiera, perché non c’è tensione verso Dio. È la presenza di Dio in noi che ci spinge alla ricerca di Dio”[51].

“Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi”: questo è l’amore, cioè tendere così fortemente a colui che ami da chiedergli di donarti ciò che lui stesso vuole. Per Riccardo la scoperta di essere amato da Dio costituisce la verità della sua vita, della sua storia presente e futura. E questo amore spinge a diventare amanti, poiché l’amore conquista, con la sua bellezza, colui che ne è toccato.

“La verità manifestata è l’amore. L’amore realizzato è la bellezza” (P. Florensky).“La bellezza è quindi la forma sensibile del bene e della giusta veri­tà… La bellezza rappresenta così un mondo incarnato, penetrato dall’amore che è la verità. La verità è l’amore. La comunione delle santissime Perso­ne, Padre, Figlio e Spirito Santo, tanto trasparenti e amanti da essere un unico Dio, è la verità. Solo questo amore può essere la verità, perché è l’unica realtà che è indistruttibile, che rimane sempre, che è assolutamen­te fedele, che è comunione eterna, incrollabile… Il cammino verso la bel­lezza è allora il cammino ascetico della divinizzazione, il cammino in cui l’uomo si lascia penetrare dall’amore divino fino a giungere alla piena maturità di risposta, alla continenza. La bellezza è la vita assunta nell’amore, la vita salvata, la vita che diviene scelta. Perciò nella bellezza si cela la sapienza della vera vita, quella che rimane.

Chi è questa bellezza? “Il Verbo si è fatto carne, grande bellezza… Bello Dio, il Verbo pres­so Dio; bello nell’utero verginale… bello nato bambino… bello quindi nel cielo, bello sulla terra… bello nell’utero, bello nelle mani dei genitori, bello nei miracoli, bello nei flagelli, bello quando invitava alla vita, bello quando la riprendeva, bello quando non era incurante della morte, bello quando deponeva la sua anima, bello quando la riprendeva, bello sul le­gno della croce, bello nel sepolcro, bello in cielo… L’infermità della car­ne non distolga i vostri occhi dallo splendore della bellezza. O somma e vera bellezza”[52].

Questa è la bellezza pregata, cercata, contemplata, adorata. Questa è la bellezza che attende una risposta da parte di Riccardo, perché possa realizzare ciò che essa comanda. Tale bellezza diviene per Agostino un itinerario che lo conduce alla incontaminata verginità delle origini, dove Bellezza-Verità e Vita sono UNO. In questa bellezza è il segreto delle pace dell’essere di Dio e, quindi, dell’essere dell’uomo. È questo il Dio della ricerca agostiniana, rivelato in Gesù Cristo. Ricerca appassionata, che è in realtà dialogo-sospiro ontologico di due esseri che si cercano come modello e immagine, somiglianza di bellezza e di amore.

Ecco, allora, che la preghiera con la Chiesa, nella e per la Chiesa vuole ridestare e rinnovare nella persona la capacità di leggere con gli occhi della fede la propria storia, maturando con responsabilità scelte de­finitive che la inseriscano in una realtà ecclesiale nella quale essere parte viva e consapevole. Per capire l’uomo, c’è dunque bisogno di capire quel­la che è la sua vocazione. Essa è quella strada nella storia nella quale l’amore di Dio passa attraverso di noi in modo più radicale, più totale, più globale. Questa strada non è la stessa per ognuno. Dove uno brucia il suo egoismo, un altro riesce a liberarsene.

“La formazione spirituale è un cammino che aiuta le persone a non fare resistenza a questa penetrazione dell’amore di Dio, è insegnare l’arte di agevolare questo passaggio. Tanti santi hanno espressioni in cui si met­tono a disposizione perché Dio possa fare qualcosa tramite loro, e spesso concludono: Dammi il tuo amore e questo mi basta. Se infatti l’amore ci penetra, è tutto: siamo salvati e abbiamo portato il Signore nel mondo. Solo quella realtà che viene assunta dall’amore, che è penetrata dallo Spi­rito Santo, è strappata dalla morte, perché solo l’amore rimane in eterno, tutto il resto passa”[53].

“Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi” diviene allora l’atto orante di chi non oppone più resistenza, non intende più indugiare, non può più rinunciare ad un amore che si fa carne nella Chiesa e “…la Chiesa è perfetta non perché è composta di perfetti, che non commettono mai uno sbaglio, ma perché i cosiddetti forti riescono felicemente a vivere con i deboli, che ogni giorno peccano settanta volte sette. E quelli che sono veramente forti sentono di essere peccatori ancora più grandi. Perché, più si avanza nella via spirituale, più fitta è la luce e più si vede la polvere in aria”[54].

Sì, la preghiera conduce ad una vera risposta d’amore, che non sia puro sentimentalismo, ma una risposta connotata da un tono di tristezza e di gioia, di Pasqua e di Pentecoste, e provoca la persona a una risposta libera, responsabile; alla coscienza di chi siamo senza Dio e di chi siamo con Dio.

“Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi”.

 

Note

[1] CARLO MARIA MARTINI, Itinerario di preghiera, EP, Roma 1984, pp. 15-16.

[2] SANT’AGOSTINO, De Trinitate, XII,11,16.

[3] Ibidem, XII,7, 12.

[4] SANT’AGOSTINO, Serm. XII,1, “Miscellanea agostiniana”, 285.

[5] Ibidem, 43,1.

[6] Ibidem, 61,4,4.

[7] Ibidem, 61,6,7.

[8] TOMÁS SPIDLÍK, Pregare nel cuore. Iniziazione alla preghiera, Lipa, Roma 1996, p. 7.

[9] SANT’AGOSTINO, Serm. 53,5,5.

[10] TOMÁS SPIDLÍK, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa, Roma 2002,p.60.

[11] SANT’AGOSTINO, Enarr. In ps. 62,5.

[12] IDEM, In Io. Ev. tr. 41,10.

[13] AMEDEO CENCINI, Vocazioni. Dalla nostalgia alla profezia, EDB, Bologna 1989, p. 270.

[14] IDEM, Amerai il Signore Dio tuo. Psicologia dell’incontro con Dio, EDB, Bologna 1987, p. 68.

[15] Cf A.MANENTI, Vivere gli ideali. Fra paura e desiderio, EDB, Bologna 1988, pp. 191-202.

[16] SANT’AGOSTINO, De Ordine,1, 1, 3.

[17] IDEM, Conf. IV, 11, 16.

[18] Cf IDEM, Conf. I, 18, 28.

[19] IDEM, Enarr.in ps. 37, 14.

[20] IDEM, Comm. V. Giov., 68, 3.

[21] Ibidem, 86, 3.

[22] IDEM, Serm. 56, 4, 5.

[23] Ibidem 360/C, 8.

[24] IDEM, Enarr. In ps. 83, 3.

[25] IDEM, Serm., 80, 7.

[26] AGOSTINO TRAPE’, Sant’Agostino uomo e maestro di preghiera, Città Nuova, Roma 1995, p. 85.

[27] SANT’AGOSTINO, Ep. 130, 8, 17.

[28] Ibidem 130,17.

[29] IDEM, Enarr. In ps., 102, 10.

[30] IDEM, Comm. Vang. Giov. 73, 3.

[31] IDEM, Enarr. In Ps., 118, 14, 2.

[32] IDEM, Serm. 77/A, 7.

[33] ISACCO IL SIRO, Serm. Asc 35.

[34] SANT’AGOSTINO, De vera rel. 39, 72.

[35] G. SALONIA, Kairós, EDB, Bologna 2002, pp. 62-63.

[36] SANT’AGOSTINO, Enarr. In ps., 60, 3.

[37] Ibidem, 36, 1, 1.

[38] Ibidem, 94, 9.

[39] AA. VV, CISM, L’Eucaristia guarigione del nostro amore, Il Calamo, Roma 2006, pp. 69-70 .

[40] BENEDETTO XVI, Sacramentum caritatis, 11.

[41] N. CIPRIANI, La pedagogia della preghiera in Sant’Agostino, ed. Augustinus, Palermo-Rocca 1984, pp. 39-40.

[42] BENEDETTO XVI, Sacramentum caritatis, 20.

[43] A. LOUF, Generati dallo Spirito, ed. Qiqajon, Magnano 1994, p. 32.

[44] M. I. RUPNIK, Il discernimento, ed. Lipa, Roma 2004, pp. 13-14.

[45] Ibidem, p. 25.

[46] SANT’AGOSTINO, Conf. X, 29, 40.

[47] IDEM, De nat. et gr., 43, 50.

[48] IDEM, Comm. Vang. Giov., 26, 2.

[49] IDEM, Dal castigo e perdono dei peccati, 2, 5. 5.

[50] AGOSTINO TRAPE’, Op. cit., p. 59.

[51] Ibidem, pp. 52-53.

[52] SANT’AGOSTINO, En. In Ps. 44, 3.

[53] TOMÁS SPIDLÍK-MARKO I. RUPNIK, Teologia pastorale. A partire dalla bellezza, ed Lipa 2005, p. 480.

[54] Ibidem, pp. 487-488.