N.02
Marzo/Aprile 2011

Film: Departures

Il regista – Yojiro Takita è nato il 4 dicembre 1955 e ha cominciato a lavorare per Hiroshi Mukai’s Shishi Productions come assistente alla regia nel 1976. Il suo debutto alla regia avviene nel 1981 con Chikan Onna Kyoshi. Realizza poi una ventina di film fino ad arrivare alla notorietà in campo internazionale. Le sue ultime opere sono Ashura (2005) e The Battery (2007). Departures, oltre al premio Oscar 2009, ha vinto l’Audience Award al Far East Film Festival di Udine nel 2009.

 La vicenda – Daigo Kobayashi, un giovane violoncellista rimasto senza lavoro dopo lo scioglimento della sua orchestra, è costretto a tornare nella sua città natale, Yamagata, con la moglie Mika. I due vanno ad abitare nella casa della madre di Daigo, morta da due anni. Il padre del giovane, invece, è sparito da casa quando Daigo aveva sei anni e di lui non si è più saputo niente. Mika lavora come web-designer e Daigo cerca un nuovo lavoro.

Un giorno Daigo trova sul giornale una strana offerta in cui si dice: «Assistiamo coloro che partono per dei viaggi». Pensando ad un’agenzia turistica, Daigo si presenta presso la sede della ditta, ma, con sua meraviglia, viene a sapere che in realtà si tratta di un’agenzia che prepara i cadaveri prima della loro cremazione. Per necessità economica Daigo accetta, seppur con riluttanza, quel lavoro, ma non ne fa parola con Mika, vergognandosene. L’inizio del lavoro è umiliante e traumatico, ma poco alla volta Daigo riesce a superare la naturale repulsione e a diventare un vero “tanatoesteta” che pratica la “necro-cosmetica”.

Quando Mika lo viene a sapere abbandona il marito. Daigo entra in crisi ed è sul punto di desistere. Ma il suo capo gli fa comprendere tutto il valore e la bellezza di quei riti che rappresentano un gesto d’amore per le persone defunte e una grande consolazione per coloro che le hanno amate. Superato ogni dubbio, Daigo prosegue con il suo lavoro. Il suo continuo contatto con la morte gli permette inoltre di riflettere sul significato della vita e di ripensare la propria esistenza, così pesantemente condizionata dall’assenza del padre.

Alla fine anche Mika, che nel frattempo è ritornata e aspetta un bambino, vedendo in azione il marito, capisce il profondo significato di quei gesti. Quando Daigo viene a sapere che il padre è stato ritrovato morto non vorrebbe vederlo, per il rancore che ancora prova verso di lui. Ma sarà proprio Mika a spingerlo verso quel gesto di pietà che gli consentirà di riconciliarsi con il suo passato e di comprendere la profonda unità che esiste tra la vita e la morte.

 

Il racconto – Già il titolo originale del film risulta particolarmente significativo. Okuribito significa, infatti, “colui che invia”.

La struttura del film è in parte a flashback e in parte lineare. Il racconto inizia in medias res, con un’introduzione. Nel biancore di un inverno caratterizzato da nebbia e gelo s’intravedono i fari di un’automobile che avanza. Si tratta chiaramente di un’immagine simbolica, che verrà ripetuta alla fine del lungo flashback che sta per iniziare e che permette di operare un confronto con il finale del film. Il racconto, infatti, inizia in inverno (un inverno gelido che sa tanto di morte, ma all’interno del quale appaiono le luci dell’auto) e finisce in primavera, segno della vita che rinasce, con la presenza contemporanea del padre morto e del figlio che sta vivendo nel grembo materno. C’è già una chiara indicazione tematica: vita e morte sono un tutt’uno; nella vita c’è la morte e la morte sembra annunciare un’altra vita.

Sull’automobile c’è Daigo con il suo capo. I due stanno per recarsi ad una cerimonia funebre, ma la voce interiore del protagonista esprime lo stato di dubbio e di incertezza che in questo momento lo caratterizzano: «Da quasi due mesi ormai ho lasciato Tokio e ho fatto ritorno a Yamagata. Ripensandoci è stato un periodo in cui i giorni passavano e basta, offrendomi una vita senza scopo…». Alla fine del flashback, quando questa immagine verrà ripetuta, il protagonista continuerà: « …e ancora non sono sicuro di poter continuare con questo lavoro».

Poco dopo Daigo, sotto lo sguardo vigile del suo maestro, svolge il rito della ricomposizione di una ragazza defunta, in maniera impeccabile. Appare il titolo del film e ha inizio un lungo flashback che ha lo scopo di far capire l’attuale situazione esistenziale del protagonista.

 

Prima parte: il flashback – Inizia con l’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven da parte dell’orchestra di cui fa parte Daigo. L’esecuzione è ottima, ma il pubblico è scarso. Si decide di sciogliere l’orchestra. Daigo va a casa dalla moglie e non sa come fare a dirglielo. Fin qui prevale l’aspetto narrativo, ma poi c’è un piccolo episodio, che può assumere già un valore prolettico o premonitivo: quel polpo che una vicina di casa ha regalato a Mika, apparentemente morto, in realtà è ancora vivo e viene da Daigo rigettato nell’acqua dove riprende a vivere pienamente (come si vedrà il discorso sulla vita e sulla morte assumerà connotazioni universali e cosmiche). C’è poi la vendita del violoncello e il trasferimento della coppia a Yamagata, la ricerca di un nuovo lavoro e l’assunzione di Daigo come “tanato-esteta”.

– Le immagini lasciano spazio alla sorpresa del protagonista, alla sua riluttanza ed infine all’accettazione, dettata chiaramente da motivi di natura economica (la paga è altissima).

L’inizio del lavoro è connotato da elementi di ironia e talvolta di ilarità: i biglietti da visita, le diverse tipologie di bara che Daigo non aveva mai visto (ironia della sorte, non aveva mai partecipato ad un funerale, neanche a quello della madre, in quanto si trovava all’estero), ma soprattutto la sua partecipazione ad un filmato promozionale in cui, con grande imbarazzo, deve fare la parte del defunto. Il filmato, tuttavia, diventa occasione per conoscere le varie fasi e le finalità del rito: pulire il corpo per «lavare via le fatiche e per rendere il defunto pronto ad iniziare la vita in un nuovo mondo»; non far vedere ai partecipanti le varie parti del corpo per «preservare la dignità del defunto»; depilare il viso e poi truccarlo per ridargli quella bellezza che aveva da vivo.

La sua prima esperienza è traumatica: si tratta di prendersi cura di una vecchietta morta da due settimane: la sua reazione è prevedibilmente viscerale di fronte a quella realtà macabra e rivoltante. Anche le conseguenze sono negative: la puzza che si porta addosso e che lo fa notare alla gente sull’autobus; il frenetico bagno per cancellare quella puzza presso un bagno pubblico gestito da una vecchia signora che lo riconosce (e del cui figlio era amico); l’attacco di vomito che lo prende quando a casa vede il pollo morto (che gli appare come un cadavere); il desiderio di attaccarsi alla vita abbracciando con frenesia e passione la moglie.

– Tutto questo, però, lo porta ad una serie di riflessioni e di ricordi che, come si vedrà, rappresentano un vero e proprio filone strutturale che va di pari passo con quello relativo all’evoluzione sul piano del lavoro. Daigo si sente come messo alla prova; pensa ad una punizione per non aver assistito la madre quando è morta e si domanda che cosa dovrà affrontare d’ora in avanti. Tutto ciò gli fa venire una grande voglia di suonare e di lasciarsi invadere dai ricordi. Recupera quel piccolo violoncello che suonava quand’era bambino, accanto al quale trova un sasso che il padre gli aveva dato (e di cui si parlerà più avanti). E si mette a suonare. A questo punto un breve flashback (all’interno del grande flashback di cui si sta parlando) acquista un notevole peso strutturale diventando quasi un leit-motiv, in quanto verrà ripetuto pari pari più avanti. Si tratta di due inquadrature: una che lo mostra, bambino, suonare il violoncello davanti ai genitori compiaciuti e un’altra sul greto del fiume dove lui e il padre si scambiano dei sassi, con il volto del padre che rimane sfocato.

– Non è un caso che, nella sequenza successiva, Daigo stia osservando il fiume, dove nota due salmoni che stanno risalendo la corrente; ad un certo punto uno dei due muore. Il dialogo con un anziano di passaggio è quanto mai significativo. Di fronte alla domanda di Daigo: «Non è triste? Risalgono fin quassù per poi andarea morire; se sono destinati a morire perché faticano tanto?», risponde il vecchio: «Loro vogliono tornare nel posto dove sono nati».

– Assieme al suo datore di lavoro si reca ad un’altra cerimonia funebre. I due arrivano con cinque minuti di ritardo e vengono redarguiti dai familiari della donna morta. E qui, per la prima volta, Daigo assiste ad una cerimonia straordinaria. I gesti solenni e ieratici del suo capo provocano in tutti un’enorme commozione e producono nel protagonista una notevole evoluzione. Daigo comprende che, pur nella tristezza dell’ultimo addio, è possibile trovare serenità vedendo preparare il defunto, immersi in un silenzio pieno di pace ed afferma: «Dare ad un corpo una bellezza che durerà per sempre, con calma, con precisione, ma soprattutto con tanta amorevolezza, mi appare meraviglioso». E quei familiari, che prima li avevano rimproverati per il ritardo, ora li ringraziano con profonda commozione.

– Più tardi, a casa, riprendono le riflessioni e i ricordi. Con in mano il sasso che il padre gli aveva dato, Daigo ha delle parole dure nei confronti del genitore che, a quanto ne sa lui, è scappato di casa con un’altra donna: «Non mi ricordo neanche che faccia aveva». Ma Mika gli fa osservare che forse sua madre non ha mai smesso di amarlo; infatti ha conservato tutti i suoi dischi con molta cura. La significazione è chiara: è proprio la cura (intesa nel senso più ampio del termine) che manifesta quell’amore che misteriosamente

ega le persone, anche nel momento della separazione.

– Un altro passo in avanti viene compiuto dal protagonista quando, chiamato all’alba per un decesso improvviso, deve cavarsela da solo (le immagini però – significativamente – non ce lo fanno vedere al lavoro). Daigo riceve i complimenti dei poliziotti («Così giovane, già così capace») e può finalmente ammettere: «Sono riuscito ad allontanare le mie paure». E subito dopo riceve le confidenze della segretaria che gli racconta di essere rimasta incantata dall’arte del capo e che fa una riflessione sul destino che «può riservarci molte sorprese».

– Ad un certo punto, però, le cose sembrano prendere un’altra piega. Il suo amico (il figlio della donna del bagno pubblico) è venuto a conoscenza del suo lavoro e gli dice di vergognarsi. Mika ha scoperto quel filmato promozionale ed è rimasta scioccata. A nullavalgono le parole di Daigo: « È il destino di tutti… non c’è niente di più normale della morte». Mika ribatte: «Risparmiami la filosofia». Poi, visto che il marito è determinato a continuare il suo lavoro, se ne va lasciandolo solo. Per di più in una cerimonia successiva, Daigo, probabilmente turbato, non riesce ad eseguire un buon lavoro: viene redarguito dai familiari della vittima e la sua opera viene disprezzata.

– Daigo va in crisi e decide di piantare tutto. Ma ancora una volta la segretaria lo manda dal capo che lo aiuta a riflettere. In una stanza stracolma di piante, intento a mangiare cose rare da lui cucinate con maestria, il capo gli parla di sua moglie morta da nove anni e del dolore che nasce dalla separazione delle coppie. Gli dice di aver iniziato quel lavoro proprio per preparare la moglie per l’ultimo viaggio («È stata la mia prima cliente»). E poi fa una serie di considerazioni sul rapporto che lega i vivi con i morti, parlando perfino del fatto che per vivere è necessario mangiare gli esseri morti.

 

Seconda parte: fine del flashback – Ritornano le immagini dell’introduzione, quelle del gelo con i dubbi del protagonista e quelle della cerimonia. È importante notare che è la prima volta che l’autore mostra la cerimonia compiuta interamente da Daigo, mentre il capo sta a guardare. Il lavoro viene eseguito a regola d’arte e gli merita i complimenti e i ringraziamenti commossi e sinceri da parte dei familiari. Va notato inoltre che quella ragazza defunta in realtà era un ragazzo (Daigo se ne accorge lavando il suo corpo). Con grande rispetto viene chiesto ai genitori se desiderano che il viso sia truccato da uomo o da donna. Viene scelto quello femminile. Ma l’importante è notare che quello che in famiglia era vissuto come una disgrazia (l’incerta sessualità del giovane) viene superato proprio grazie alla straordinaria bellezza che Daigo riesce a restituire a quel volto. Il padre, infatti, afferma: «Oggi ha l’aspetto di una donna. Che importa? Io so che era pur sempre mio figlio».

Questo episodio rappresenta, nell’economia del film, il superamento di ogni dubbio, da parte del protagonista, circa quel lavoro che sta esercitando e la ferma determinazione a continuare.

– In occasione del Natale, Daigo, la segretaria e il capo mangiano insieme. Mangiano con avidità, quasi a sottolineare la necessità di nutrirsi per vivere. Poi viene chiesto a Daigo di suonare il violoncello. E qui c’è la presenza di un chiaro elemento universalizzante. Di fronte alla domanda del protagonista se ci sono problemi legati alla religione, il capo afferma: «Nessuno. A buddisti, cristiani, islamici e induisti diamo lo stesso trattamento». È significativo che si festeggi il Natale («In questa notte che ci rende tutti migliori…»), che Daigo suoni l’Ave Maria di Gounod e che subito dopo si vedano due riti funebri, uno dei quali per un defunto cristiano.

– Con una serie di dissolvenze incrociate l’autore mostra il passare dei giorni e la ripetizione dei vari riti funebri. Con felice intuizione le immagini mostrano Daigo che, seduto su una sedia su una specie di argine e con le montagne innevate alle spalle, suona il suo violoncello, mentre si succedono, appena accennate, le varie cerimonie e i vari momenti della vita: musica, natura, cerimonie diventano un tutt’uno fortemente suggestivo.

– Mika è tornata ed è incinta. Ancora una volta cerca di convincere il marito a smetterla con quel lavoro: «Non vorrai che i compagni lo prendano in giro». Ma poi, improvvisamente, si viene a sapere che la donna del bagno pubblico è morta. Daigo, come al solito, esegue la sua cerimonia, ma questa volta sotto gli occhi della moglie, che finalmente scopre “la bellezza” di quel rito e partecipa assieme agli altri presenti a passare una pezzuola sul viso della defunta per «togliere dal suo volto la fatica». La preghiera, la gratitudine e la commozione di tutti rendono quel rito qualcosa di straordinario.

Subito dopo, quell’uomo anziano che frequentava costantemente il bagno e che ha il compito di accendere il forno per la cremazione, “confessa” il suo amore per la donna e fa una riflessione di capitale importanza: «Sono tanti anni che faccio questo lavoro. Io sono quello bravo a bruciare le cose. La morte non è che un cancello.Sono sempre più convinto che con la morte non finisce tutto. È un cancello che si deve attraversare per proseguire il viaggio. Io sono qua per aiutarli a passare e per dirgli addio». Con felice intuizione l’autore sovrappone le immagini delle fiamme che bruciano il corpo con le ali dei cigni che volano verso il cielo, creando un’analogia dal profondo significato.

– In questo clima di totale armonia c’è ancora un elemento che stride: il rancore che Daigo prova nei confronti del padre. E qui finalmente viene chiarito il significato del sasso. Daigo è con Mika sul greto del fiume e le racconta la storia dei “sassi parlanti”: «Nell’antichità, quando gli uomini non avevano la scrittura, per comunicare cercavano un sasso la cui forma esprimesse i loro sentimenti e lo davano ad un’altra persona. Chi lo riceveva, dalla sensazione al tatto e dal peso, capiva i sentimenti di chi lo aveva inviato». Quel sasso lui l’aveva ricevuto dal padre, ma poi non ce ne sono stati altri. Ecco il motivo del suo rancore.

– Ma proprio nel momento dello sbocciare della primavera e mentre il bambino cresce nel grembo materno, si viene a sapere della morte del padre. Daigo si rifiuta di vederlo. Ma poi, sollecitato dalla segretaria (che gli confida che anche lei ha abbandonato suo figlio) e dalla stessa Mika, ha un ripensamento e decide di andarlo a vedere. E qui viene a conoscere la storia del padre e s’incontra col mistero della vita: non aveva nessuna donna; viveva in una baracca del porto solo, disponibile e silenzioso; ha vissuto più di settant’anni e muore lasciando solo una scatola di cartone. Gli uomini delle pompe funebri vorrebbero metterlo subito nella bara, ma Daigo, con fermezza decide di prendersene cura.

– Mentre lo fa, scopre con stupore che il padre tiene stretto nella mano il sasso che lui, bambino, gli aveva dato. Daigo ricompone con grande amorevolezza il corpo del padre, mentre alcuni primi piani sottolineano la commozione di Mika che con tenerezza ammira quanto il marito sta facendo. Mentre lo rade Daigo si commuove e le lacrime solcano il suo volto. Ed ecco ritornare quel breve flashback di cui si è già parlato: Daigo bambino che suona davanti ai genitori e poi lo scambio di sassi nel greto del fiume. Ma succede qualcosa di straordinario: quel volto del padre che era rimasto sfocato (segno dell’assenza e della dimenticanza) viene gradualmente messo a fuoco. È chiaro il significato: è proprio prendendosi cura del padre morto che Daigo riesce a recuperare il volto del padre («Papà… sei mio padre») e a riconciliarsi con lui. E infine quel piccolo “sasso parlante” che Daigo aveva dato al padre e che questi aveva gelosamente custodito viene ora appoggiato sul grembo di Mika, con un gesto simbolico che indica l’unità tra coloro che sono morti, quelli che sono vivi e quelli che stanno per venire al mondo.

– Il film si conclude poi con i titoli di coda che scorrono sulle immagini di Daigo che continua nella sua opera di pietà e di amore nei confronti dei defunti.

 

La significazione nasce da quei due grossi filoni strutturali cui si è accennato. Da un lato la progressiva evoluzione del protagonista nei confronti di quel particolare lavoro; dall’altro il percorso di conoscenza di sé e del mistero della vita che avviene attraverso le riflessioni e i ricordi che quel lavoro comporta.

L’idea centrale potrebbe essere espressa in questi termini: la cura dei defunti, nonostante venga considerata nella mentalità corrente come qualcosa di cui vergognarsi, è una nobile arte in quanto esprime profondo rispetto per la dignità delle persone defunte, dà consolazione e serenità ai familiari e agli amici, provoca riflessioni e ricordi che consentono di riconciliarsi con la vita e di comprendere il vero senso della morte, vista come una cosa naturale e come un passaggio verso un’altra vita.

 

Valutazione – Parlare di morte oggi non è facile: la nostra cultura cerca di rimuovere il problema e di evitare addirittura la parola. Ma, nonostante l’argomento trattato, il film non scivola mai verso il particolare macabro alla facile ricerca dell’effetto o del coinvolgimento emotivo. Si tratta di un’opera nobile, anche nel linguaggio, che sa infondere – con squisita sensibilità orientale – rispetto per i vivi e per i morti accomunati dal mistero della vita. E non può non richiamare alla memoria un altro film, per certi aspetti simile, il famoso L’arpa birmana di Kon Ichikawa, in cui, alla fine della seconda guerra mondiale, un soldato giapponese si faceva bonzo e rimaneva in Birmania per dedicarsi al culto dei morti in nome di una pietas che non conosce barriere né confini.

 

Utilizzazione – Non è facile proporre questo film nelle scuole, ma non impossibile. Ci vogliono un po’ di coraggio e una buona preparazione sia da parte degli studenti sia da parte di chi lo presenta. Certamente il film può essere utilizzato in vari contesti (si pensi, per esempio, all’ambiente ecclesiale) per far riflettere in modo serio e approfondito sul senso della vita presente e di quella futura.