Reciprocamente
La Parola di Dio, per noi oggi in particolare, ha una rivelazione-bomba riguardo al matrimonio: esso è icona di Dio, profezia del suo amore! La coppia rivela l’immagine e la somiglianza di Dio e narra la sua fedeltà. E la Chiesa la “visualizza” presentandoci la testimonianza di coniugi in cui questa Parola s’incarna. Accostiamoci a quella di Giulia e di Carlo Tancredi con il rispetto che si deve nei confronti del mistero racchiuso in ogni persona.
Si sposano a Parigi il 18 agosto 1806: lei ha 22 anni, lui 26. Un matrimonio brillante sì, ma soprattutto un matrimonio felice: è la constatazione di tutti. Questa tappa della loro vita si fonda su una sincera accoglienza dell’altro, anche nella sua storia, e su una chiara progettualità per il nuovo cammino di vita insieme.
Lei, Giulia Colbert di Maulevrier, aveva vissuto le vicissitudini della rivoluzione francese che aveva costretto la sua famiglia all’esilio. Alla bellezza fisica unisce la profondità della cultura e alla vivacità temperamentale una caparbia determinazione.
Lui, Carlo Tancredi Falletti di Barolo, era figlio unico di una delle famiglie aristocratiche più antiche del Piemonte. Riflessivo, amante della cultura, dell’arte e della scienza, avverte fortemente la responsabilità di impegnarsi a favore del “bene pubblico”.
Le potenzialità personali vengono pienamente umanizzate in un processo di maturazione fondato sull’ascolto attento e sulla sequela di un Dio che ama e si prende cura dei suoi figli. Sanno leggere così il loro incontro avvenuto a Parigi durante un ballo a corte: non un “caso”, ma un avvenimento di Provvidenza.
Sono diversissimi per temperamento e carattere: lei ardente, vivace, aperta, brillante nelle risposte (sa dar replica perfino all’imperatore!); lui mite, meno espansivo, preferisce non apparire, non primeggiare… Diventano “noi”. Nella loro relazione coniugale accolgono e rispettano le “differenze”, vivendole come espressione dell’immagine di Dio-Amore-Trinità, alla cui somiglianza sono creati: essere una persona per l’altra.
Segno della loro comunione sponsale è anche l’abbandono dei motti delle rispettive Famiglie per crearne uno proprio, che definiranno così: in spe (nella speranza). Non è un pensiero augurale, ma esprime la certezza di essere chiamati a percorrere insieme un cammino tracciato da un Padre provvidente e misericordioso che vuole la felicità di ognuno dei suoi figli. Sono convinti che “Dio ha creato l’uomo perché fosse felice”.
La loro vita diventa lo spazio teologico della loro comunione sponsale. Si fanno dono di un reciproco amore, che, col passare del tempo, invece di sprofondare nella monotonia e nella noia, cresce, si rafforza e si rinnova: “Sebbene fin dal principio della mia conoscenza avessi amato molto Juliette, ora l’amavo ancor di più” afferma Tancredi, cui fa risonanza l’affermazione della moglie: “…lui, la mia ragione di vita, il cui volto mi è indicibilmente caro”.
La loro unione non è un semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma una scelta compiuta costantemente, in ogni momento della giornata, nelle piccole e grandi cose, in quella “grande tribolazione” che è la vita quotidiana. Nelle gioie e nei dolori di ogni giorno, Carlo e Giulia riconfermano la loro scelta di donazione reciproca.
Ed anche quando le vicende della vita attenuano, per così dire, la passione e i sentimenti, rimane e si rafforza la loro scelta stabile; viene purificata e corroborata la loro stima e fiducia reciproca, il loro amore, fatto di gesti di gratuità, di fatti concreti in cui si incarna un Amore più grande, quello di Cristo che ha dato la vita per la sua Chiesa.
Si stabilisce tra loro la nobile “gara” di avanzare nella virtù. Insieme affrontano anche la fatica di comprendere il disegno di Dio sul coniuge. Giulia, ventottenne, sente la chiamata ad occuparsi in prima persona delle carcerate; all’inizio Tancredi si oppone, poi diventerà il suo sostenitore. Giorno dopo giorno la fiducia nell’amore e nella grazia di Dio li conduce alla condivisione dell’operato dell’altro ed alla collaborazione perché si realizzino pienamente le finalità dei progetti.
L’amore tra i due coniugi viene riconosciuto ed apprezzato da “quelli di casa”, dalle persone con cui, a causa della ferialità dei rapporti, risulta più evidente la sincerità degli atteggiamenti. Il Pellico conferma l’affetto della madre di Tancredi verso la coppia: “Se io le dicevo come vi fosse in tutti una voce concorde sulle virtù del Marchese e della Marchesina, esclamava essere giusto che parlassero così di suo figlio e di sua nuora, e mi assicurava che me ne convincerei io stesso ogni giorno più conoscendo il tenore della loro vita”.
Il dialogo, che verte sulla comunicazione della propria realtà personale, della propria intimità, molto più profonda e vera dell’informazione sulle “cose da fare”, approfondisce il loro rapporto interpersonale e lo rende più forte e duraturo. Ancora il Pellico nota:
“Ogni giorno ciascuno faceva all’altro alcune confidenze, per mostrarsi il reciproco stato delle loro idee, pene e gioie. Se poi erano lontani, si scrivevano per tenersi al corrente dei loro pensieri”. Tale comunicazione profonda, che ha fatto dei due una persona sola, ha il suo apice nel momento cruciale e veritiero della morte. A Verona, Carlo Tancredi, cosciente della sua prossima fine, chiede un sacerdote per la confessione e alla moglie che voleva allontanarsi dice di fermarsi perché per lei “non aveva nessun segreto”.
A riprova di una stima autentica, maturata attraverso il dialogo e la reciproca conoscenza, Giulia nel suo testamento non esita a definire il marito il “migliore degli uomini”. Non è questa l’espressione entusiasta di un’adolescente che ha preso una cotta. È l’affermazione ponderata e profonda di una donna matura che ha alle spalle 32 anni di matrimonio. La persona amata è nel proprio cuore sempre la migliore. Sembra di vederla dappertutto, anche quando non c’è. Si vive di desiderio e di memoria… È l’amore che rende unica la persona amata, azzerando in partenza ogni termine di paragone.
Carlo Tancredi e Giulia sembrano vivere ciò che sapientemente afferma il nostro papa Benedetto XVI: “L’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile” (DCE 2).
L’amore è vero quando si apre agli altri.
Carlo Tancredi e Giulia non hanno figli e soffrono per questa privazione… Lo si coglie dalle parole di Giulia. “Ero giovane, allora mi si vedeva ridere, mi si reputava felice e tuttavia la sofferenza dimorava in me e non doveva lasciarmi più”.
Soffrono, ma sanno che “dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (Sl 127,3). Sono profondamente consapevoli di non essere essi stessi il criterio della fecondità, la sorgente del dono.
Così, pur vivendo la sofferenza per l’esperienza di un “dono negato”, non si ribellano, non cercano artifici, ma al contrario entrano insieme e con maggiore fede e fiducia nel piano dell’imperscrutabile sapienza divina, si affidano e si preparano ad un dono più grande.
L’esperienza della sofferenza, vissuta nella fede, diviene speranza, si apre cioè all’attesa di una felicità più pura, fondata solo su Dio. La prova diventa attesa, preghiera, implorazione… Entrano insieme nel piano di Dio. E così accade che un dono apparentemente negato diviene sorgente di un’infinità di doni. L’amore sponsale, maturato nella profondità del dialogo, li aiuta ad accogliere il doloroso evento della mancanza biologica di figli come “vocazione” ad aprirsi a diventare padri e madri di tanti “piccoli e poveri”.
Si aprono ad una famiglia fondata sulla fede: “Non sfugge loro il progetto divino: il vostro cuore chiede una famiglia? Eccovene una: è quella porzione dell’umanità su cui l’Uomo-Dio posò lo sguardo e fece oggetto delle sue cure più sollecite; è quella di tutti gli infelici, la famiglia più numerosa perché il dolore pesa su tutto il genere umano” (B.P. Raineri).
La storia documenta una risposta di vita: “In mirabile accordo i due giovani coniugi andarono a gara nel portare soccorso ai bisognosi ed ai miseri, considerandoli quale famiglia che loro affidava il Signore”.
La fantasia della carità si esprime in una multiforme varietà di iniziative a livello sociale, finalizzate a promuovere la dignità della persona perché risplenda in ognuno la regalità di figlio di Dio. Alcune sono “spicciole”: ogni giorno si distribuiscono a palazzo Barolo 200 minestre e alla domenica si aggiunge una distribuzione di carne e di legna. Al lunedì poi 12 poveri venivano serviti a pranzo dalla stessa Giulia.
Altre più “istituzionalizzate”: la riforma delle carceri delle donne per offrire loro possibilità di lavoro e di istruzione; costruzione di un ospedale; la fondazione di una “cassa di risparmio” dove gli operai possano deporre proficuamente i loro risparmi; il miglioramento urbanistico della città di Torino; la costruzione di una chiesa e di un oratorio come punto di riferimento in una periferia della medesima città dove confluiva una massa di immigrati… e ancora….
La loro attenzione è rivolta in particolare alle nuove generazioni, di cui curano la formazione dalla più tenera età fino all’inserimento nella società: “invenzione” dei primi asili in Piemonte; fondazione di scuole per le bambine; promozione di diversi gradi di Scuole per i maschi; istituzione di Corsi Professionali; accoglienza di bambine rimaste orfane o in situazioni di disagio; fondazione di “famiglie operaie” per ragazze venute in città per lavoro… e ancora…
La quantità delle opere non ne inficia la qualità, per la loro consapevolezza che ogni persona è un “capolavoro originale”, unica e preziosa. Adottano, perciò, la pedagogia del cuore: in un rapporto interpersonale far emergere il “cuore” della persona, su ognuna delle quali il Creatore constatò che “era molto buona”. Questo “cuore” lo vedono, lo rispettano e lo fanno emergere anche in quelle persone il cui volto sembra aver sfigurato l’immagine divina. Ecco cosa vede e sente Giulia nei confronti di carcerate, delinquenti e prostitute: “Quelle povere donne ed io eravamo della stessa specie, figlie dello stesso Padre, anch’esse erano una pianta dei Cieli! Esse avevano avuto un’età dell’innocenza! Esse erano chiamate alla stessa eredità celeste!… Che l’orrore per la colpa non ci faccia mai trattare con disprezzo il colpevole! Finché gli resta un istante da potersi pentire, il suo destino può essere così bello!”.
Lo sguardo reciproco d’amore di Carlo Tancredi e Giulia diviene sguardo di misericordia e speranza verso gli altri, con una predilezione speciale per chi nella società è “piccolo” e “povero”.
“Dio non vuol perdere l’opera uscita dalle Sue mani”, scrive Carlo. Ed entrambi, mettendo a frutto tutte le loro capacità, si fanno nel mondo prolungamento dell’azione redentrice di Cristo che afferra e recupera ogni uomo, perché nessuno si perda, ma tutti siano realmente felici.
La vita è un dono ed è un progetto che si realizza “nell’essere per l’altro”. Carlo Tancredi esprime, in un testo indirizzato ai giovani, la convinzione che “ognuno nella sfera delle sue possibilità deve rendersi utile al prossimo, alla patria, all’umanità”. E Giulia esorta ad aprire il cuore alla compassione vera che nasce dal desiderio e dal coraggio di lenire gli altrui mali, di cambiare “le lacrime della disperazione in quelle dolci della speranza”.
La loro vicenda matrimoniale, anche se non è una favola, è a “lieto” fine: “Si amarono e continuarono ad amarsi ardentemente sempre, fino alla fine”. E ciò, nonostante tutte le difficoltà della vita ed i capovolgimenti politici, sociali ed economici del loro tempo.
Icona di un Dio che è Amore, ne sono anche diventati profezia di fedeltà nel sacramento del matrimonio, nella stima e valorizzazione anche delle altre vocazioni. Cosa più unica che rara, loro – laici – vivendo pienamente la propria vocazione matrimoniale, danno vita a due congregazioni religiose femminili che ancora oggi attualizzano il loro carisma. Giulia aveva nel cuore anche il desiderio, non realizzato, di una Congregazione di sacerdoti che fossero testimoni dell’Amore misericordioso.
Il Documento che ci ha aperto al Nuovo Millennio profetizza: “Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno… È ora di proporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria” (NMI 31). Un popolo di santi: ci sei anche tu!