N.04
Luglio/Agosto 2014

Still life

Regia e sceneggiatura: Uberto Pasolini
Fotografia: Stefano Falivene
Montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley
Scenografia: Lisa Marie Hall
Costumi: Pam Downe
Musica: Rachel Portman
Suono: Robert Farr, Sam Southwick
Interpreti principali: Eddie Marsan, Joanne Froggat
Distribuzione: Bim
Durata: 87’
Origine: Regno Unito/Italia, 2012

 

Premio per la miglior regia nella sezione Orizzonti alla Mostra di Vene­zia 2013.

Il regista – Uberto Pasolini, nipote di Luchino Visconti, ha passa­to i suoi anni da studente alla Cineteca di Milano, divorando clas­sici. Ha trascorso gran parte della sua vita a Londra dove ha fatto soprattutto il produttore (famoso il suo Full Monty). Nel 2007 esor­disce come regista in Machan, un film di cui è anche cosceneggiatore e produttore e che vince numerosi premi a livello internazionale. Still Life è il suo secondo lungometraggio. Ha dichiarato il regista: «Still Life viene normalmente tradotto “natura morta”, ma in ingle­se significa anche “ancora in vita” e, dal mio punto di vista, è questo il senso del film. Una figura come John May diventa strumento per un omaggio alla vita». Ha poi spiegato la genesi del film: «Ho avuto l’idea leggendo un’intervista a uno di questi funzionari. Volevo rac­contare, un po’ a basso volume, l’isolamento che colpisce sempre più persone, soprattutto anziani e giovani, nella nostra società. Ma il film parla anche dell’importanza della vita, del prestare attenzio­ne a quella degli altri e di lasciare agli altri la possibilità di entrare nella nostra».

La vicenda – John May ha quarantaquattro anni e da ventidue fa il funzionario presso la municipalità londinese di Kennington. È addetto al “servizio utenti” e il suo lavoro consiste nel provvedere alla sepoltura delle persone i cui parenti sono introvabili. John è un uomo solo e solitario, grigio e metodico, e fa di tutto per cercare qualche parente o amico delle persone defunte per farlo parteci­pare alle esequie. Ma visto che ciò non gli riesce mai, rimane lui, da solo, ad assistere all’ultimo viaggio dei suoi “clienti” su questa terra provvedendo a tutto, persino al tipo di musica da suonare in chiesa scelta tra i dischi che ha trovato nelle loro case. Un giorno gli viene annunciata la morte di un alcolista che abita proprio di fronte al suo appartamento. John resta particolarmente colpito da questo decesso e, solertemente, inizia la sua ricerca. Nonostante venga improvvisamente licenziato per tagli al bilancio, John deci­de di continuare ad occuparsi di quello che sarà il suo ultimo caso. Percorre il paese in lungo e in largo alla ricerca di amici, parenti e amori di quel tizio, il cui nome è Billy Stoke. Questo percorso (che diventa anche un cammino spirituale) lo porta quasi ad identifi­carsi con lui e ad aprirsi a nuove relazioni che rendono la sua vita più ricca e gioiosa. Ma quando improvvisamente John muore in un incidente, nessuno sembra accorgersi della sua scomparsa e il piccolo funzionario viene sepolto, come uno dei suoi tanti clienti, nel più assoluto anonimato. Ma, nonostante le apparenze, John non è e non sarà mai solo.

Il racconto – La struttura lineare divide la vicenda in alcune grosse parti, con tanto di introduzione e di epilogo. 

INTRODUZIONE
Le prime immagini sono quelle di un cimitero e di una chiesa. All’interno dell’edificio religioso si sta svolgendo una cerimonia funebre ma, accanto alla bara, ci sono solo il sacerdote e il protagonista, John May. La stessa cosa si ripete in altre due chiese (una è ortodossa): cambiano solo le musiche, che rivelano la diversa origine dei defunti, e le modalità del funerale (sepoltura o cremazione). Dal contesto si capisce subito che le persone defunte non hanno nessuno che partecipa alle esequie e che John ha un incarico molto particolare. Un incarico che svolge con precisione quasi maniacale, da perfetto funzionario. 

PRIMA PARTE
Poco alla volta vengono messe a fuoco altre caratteristiche del protagonista. John è un tipo meticoloso e abitudinario, che porta sempre lo stesso abito e che è maniaco dell’ordine sia in ufficio che a casa. È un omino grigio e insignificante (un personaggio quasi go­goliano): non ha fatto il servizio militare, non fuma, non beve, non ha famiglia. Il suo ufficio si trova in un seminterrato senza luce ed è quanto di più squallido si possa immaginare: una misera scriva­nia, una lampada da tavolo, un computer e diversi scaffali metallici dove vengono riposte le varie pratiche. Vive in un grande condomi­nio anonimo, in un appartamento quasi privo di arredamento dove consuma i suoi tristissimi pasti: una scatoletta di tonno con una fetta biscottata, un po’ di the e una mela che pela meticolosamente in modo da conservare intatta la buccia. Ma in quest’omino di cui nessuno sembra accorgersi batte un cuore grande.
– Lo si capisce quando preleva le ceneri di un tizio e le spar­ge con cura sui fiori e, di fronte all’incaricato che gli chiede se ne vuole delle altre, ribatte: «Diamo ancora un po’ di tempo agli altri. Non si sa mai». La stessa cosa avviene all’obitorio: «Abbiamo delle tracce; abbiamo ancora speranza; forse troviamo qualcuno». John dimostra pertanto di essere non solo un funzionario, ma un uomo che ama il suo lavoro e che si interessa delle persone defunte per garantire loro una sepoltura dignitosa. È significativo che dopo i fu­nerali chiuda le pratiche («Caso chiuso»), ma si porti a casa le foto dei defunti e le metta in un grande album assieme a quelle di tante altre persone di cui si è preso cura e che sembrano rappresentare la sua grande famiglia (più avanti, in una delle sequenze più pre­gnanti del film, lo vediamo contemplare quelle foto di uomini, di donne, di giovani, di anziani: volti, persone, vite che la gente tende a dimenticare, ma che John conserva nel suo cuore).
– Quando viene chiamato per il caso di una donna trovata morta nella sua abitazione, John esegue come al solito il suo lavoro scru­polosamente e scopre che l’unica compagnia di quella donna era una gattina che lei trattava come una figlia. Ma il suo non è solo un lavoro; è l’indagine di chi cerca negli oggetti personali (la biancheria stesa, un vasetto di crema appena aperto, il cuscino con l’impron­ta del capo, le medicine rimaste, le monete sul comodino, ecc.) le tracce di una vita, la vita di una persona sola e dimenticata, ma pur sempre una vita umana, con tutta la sua dignità.
– Quando riceve la telefonata del figlio di un defunto è tutto contento e spera di aver finalmente trovato una persona che possa presenziare al funerale. Ma quando sente che l’uomo ha addirittura cambiato il suo cognome e che non vuole saperne di presentarsi, cerca di convincerlo: «Suo padre non è stato magari il migliore dei padri… non le sembra naturale ritrovare un padre dopo tanti anni… non vorrebbe che i suoi figli lo sapessero? Sono i suoi nipoti». E di fronte alla determinazione dell’uomo, ribatte semplicemente: «Non posso capirlo». Poi, a casa, si mette a scrivere l’orazione funebre per la donna della gattina raccontandone la storia, naturalmente inven­tata, ma ricca di particolari che tendono a valorizzarne l’umanità. Dopo il funerale della donna John si sdraia nel posto del cimitero da lui prenotato, un posto bellissimo da cui si gode un bel panorama, e immagina la propria morte con grande serenità. 

SECONDA PARTE
– John riceve una telefonata che gli annuncia il ritrovamento del corpo di un uomo morto già da alcuni giorni e resta particolar­mente colpito quando viene a sapere che quell’uomo abita proprio di fronte alla sua abitazione. Si reca sul posto quasi esitante e inco­mincia le solite ricerche per identificarlo. È significativo che dalla stanza guardi fuori e veda la sua finestra, proprio di fronte. Rimane infastidito e amareggiato dalle parole del portiere: «Si assomigliano tutti, no?». Rovistando tra le bottiglie di liquore vuote e gli effetti personali, John trova finalmente la foto del defunto e scopre il suo nome, William Stoke, detto Billy. Ma la cosa che lo colpisce di più è un album con delle foto che ritraggono una bambina nelle sue diverse età, ma che improvvisamente sembrano interrompersi. Che si tratti di una figlia? E ora dove si trova? Come poterla rintracciare?
– Inaspettatamente John viene convocato dal suo superiore che gli annuncia il licenziamento: «Lei è scrupoloso, ma anche molto lento. E anche costoso perché preferisce i funerali alle cremazioni». L’autore, non senza ironia, sottolinea la superficialità e la vacuità di quel capo che contrastano con lo scrupolo e la serietà del protagoni­sta. Così come mette in evidenza quella donna dall’espressione beo­ta che prenderà il suo posto. Il superiore gli comunica che quello di Billy sarà il suo ultimo caso e gli dà tre giorni per chiuderlo.
– John si mette al lavoro con particolare solerzia e, cosa piuttosto singolare, sembra che nasca in lui una sorta di identificazione con la persona di cui si interessa (particolarmente significative le due immagini in cui John, guardando fuori dalla finestra, vede la propria immagine riflessa sui vetri dell’appartamento di Billy). John chiede informazioni di Billy nelle sale da bigliardo, nei pub; recu­pera nel cassonetto i suoi dischi in vinile e li pulisce accuratamente; trova dei negativi e li fa sviluppare. Scopre così che Billy aveva un amico che ora lavora in un’industria di prodotti da forno.
– John prende il treno e va a cercarlo e riesce così a scoprire un pezzo di vita di Billy. L’amico gli dice che aveva un pessimo ca­rattere e che se n’è andato da quel posto dopo aver urinato in un recipiente di carne di maiale. Dopo aver visto l’album con le foto della ragazzina, commenta: «È strano. Non ha mai parlato di una famiglia. Per me era un fratello maggiore. Poi ha conosciuto la si­gnora del fish and chips di Whitby e se n’è andato da lei». Di fronte alla richiesta di John di partecipare al funerale, l’amico risponde: «Avrei bevuto con lui con piacere. Ma al funerale… dopo tanto tempo». La missione di John sembra essere fallita e l’uomo si ap­presta a far ritorno a Londra.
– Ma qui inizia un vero e proprio cambiamento nel protago­nista con un particolare di poco conto, ma significativo. Al bar della stazione John chiede il solito the nero, ma la cameriera gli propone una bella cioccolata calda. John accetta. Si tratta di cambiare abi­tudine, di osare di più, di vivere la vita più intensamente. E infatti l’uomo, inaspettatamente, non prende il treno e decide di recarsi a Whitby con un pullman alla ricerca della signora del fish and chips. Vaga per le strade deserte di quel luogo in riva al mare alla ricerca di indizi, e finalmente trova la donna, Mary.
– Questa gli racconta altre cose della vita di Billy: «Se gli gira­va bene era affettuoso e gentile; se gli girava male, meglio stargli lontano. Viveva qui con me, ma non mi ha mai parlato del suo passato». La donna gli racconta di un episodio di violenza da cui fu però scagionato, ma: «Poi ha cominciato a bere tanto; è diventato impossibile anche con me. E un bel giorno ha preso e se n’è anda­to». Significativa l’osservazione di Mary a proposito di John: «Che lavoro strano fa lei: tutte quelle vite». John risponde: «Amo il mio lavoro». Poi viene a sapere che la donna ha avuto una figlia da Billy (a sua insaputa) e che ora ha una nipotina. John allora la invita ad andare al funerale, ma Mary rifiuta: «Non ce la faccio. È passato troppo tempo: troppe cose da spiegare. Lo amavo. Non ho più amato nessuno dopo di lui, ma non posso farlo». Poi avanza l’ipotesi che Billy sia stato in prigione.
– John fa mestamente ritorno a casa. Le immagini sottolineano l’intensità emotiva con cui l’uomo sfoglia l’album con le foto di tutti coloro di cui si è preso cura. Più tardi resta indignato quando vede la sua sostituta sbarazzarsi delle ceneri di numerosi defunti come si getta via un oggetto senza valore, così, dove capita. Va poi all’obito­rio per far preparare il corpo di Billy e chiudere così anche questo caso. E deve sorbirsi le ciniche osservazioni del suo capo che non riesce a capire la dedizione e l’impegno che caratterizzano il suo comportamento: «Se non trovi nessuno non soffre nessuno, giusto? A chi rimane forse è meglio non sapere: niente funerale, niente tristezza né lacrime». «Non ho mai considerato la cosa da questo punto di vista», ribatte John. Ma il capo continua: «Comunque i morti sono morti. Non ci sono. Se ne fregano». 

TERZA PARTE
– La reazione di John a queste parole è immediata. L’uomo rin­corre il suo capo e gli chiede altri giorni prima di chiudere il caso. Questi glieli concede, ma in forma privata, visto che il Comune ha già firmato la lettera di licenziamento. John, quasi come un detec­tive, si mette in azione. Indaga presso la polizia per venire a cono­scenza di eventuali condanne. Trova un poliziotto che si ricorda di brevi detenzioni per vagabondaggio e qualche aggressione, ma quando John gli chiede i registri delle visite, gli risponde: «Signor May, se davvero dovessimo ricordarci di tutte le persone che pas­sano di qua, finiremmo per perdere il sonno. Invece a me piace dormire».
– John non demorde. Va presso gli archivi del Ministero degli Interni per cercare i verbali delle visite dei detenuti e finalmente scopre che Billy aveva ricevuto una visita da una certa Kelly Stoke, quasi certamente la figlia, quella ragazzina dell’album interrotto. Si mette sulle sue tracce e finalmente la trova. Le dice che il padre è morto, ma la ragazza sembra non volerne sapere. Ma quando John le mostra l’album con le sue foto, cambia atteggiamento e inco­mincia a raccontare del padre: «Stava in prigione, era ubriaco; aveva toccato il fondo». Ma poi aveva espresso il desiderio di incon­trarla, in occasione del suo diciottesimo compleanno. Poi i rapporti si erano interrotti, per sempre. «Così da oggi sono orfana», constata la ragazza; «Sì, e non è bello; non importa quando succede», ribatte John; «È vero», conclude Kelly. Poi i due si salutano: lei lo ringra­zia; lui le lascia il numero di telefono: «Se dovesse decidere di voler andare oltre». «Non aggiunga altro», risponde lei.
– Ma c’è un’altra traccia da seguire. John ha appreso da Kelly che il padre aveva un amico, Jumbo, che ora vive in un ospizio. Lo rintraccia e viene a sapere che Billy aveva combattuto con lui nella guerra delle Falkland e che da allora si era lasciato andare: «L’alcol ti aiuta a dimenticare. L’alcol ti fa dormire senza incubi. Poi ti si in­sinua dentro e non va più via. È terribile, quando ci pensi, uccidere un uomo».
– Ora John va a parlare con due barboni con la speranza di otte­nere altre notizie: «Vorrei sapere che persona era». E quel proces­so di identificazione cui s’era accennato in precedenza, sembra ora proseguire in modo sempre più palese. John, per la prima volta, si mette a bere assieme a quei barboni, come aveva fatto Billy, e rice­ve altre informazioni che gli permettono di completare il quadro e di chiudere il caso. Arriva perfino a scegliere la lapide e la bara per Billy e a cedergli il suo posto al cimitero («Non un familiare, solo un amico»). 

QUARTA PARTE
– Ma improvvisamente Kelly, che ha deciso «di andare oltre», si fa viva e gli chiede un appuntamento. I due s’incontrano. John è un uomo trasformato. Si è cambiato d’abito; si è messo un pul­lover azzurro; sembra più giovane. Kelly ammira l’entusiasmo con cui l’uomo le racconta della sistemazione che ha trovato per il pa­dre: «Grazie, John, per quello che hai fatto». Poi lo invita dopo la cerimonia ad andare a bere qualcosa insieme. L’uomo accetta:
«Sì, mi farebbe molto piacere. Per berci una tazza di… qualcosa. Senz’altro ho tempo. Ho un sacco di tempo».
– Ma, poco prima della cerimonia, John viene travolto da un autobus e muore. L’immagine lo riprende a piombo con un sorriso di soddisfazione tra le labbra. Tutto sembra finito, anche quella pro­messa di felicità che sembrava essere a portata di mano. 

Epilogo – Al funerale di John non c’è nessuno. Il feretro viene portato col carro funebre verso un luogo anonimo, dove sono state sepolte tante persone di cui John si era preso cura. Ma mentre il carro percorre i viali del cimitero, l’immagine, con una panoramica, mostra la tumulazione di Billy che avviene in contemporanea. E, cosa incredibile, attorno a lui ci sono tutte quelle persone che John aveva contattato e che avevano conosciuto Billy. Il “lavoro” di John, pertanto, non è stato inutile ed è servito a ridare dignità a quell’uomo che sembrava dimenticato da tutti. Lui si è sacrificato, cedendogli addirittura il suo posto. Ma attorno a lui non c’è nessu­no, solo due becchini che eseguono il loro lavoro.
– Dopo la sepoltura di Billy, tutti i partecipanti si allontanano e passano davanti al tumulo di John. Nessuno s’accorge di niente. Kelly si guarda intorno, stupita di non vedere quell’uomo col qua­le aveva un appuntamento. Quando anche i due becchini escono di campo e non c’è più nessuno attorno a quel mucchio di terra senza lapide, l’immagine diventa più scura per indicare l’irrompere di un’altra dimensione, quella spirituale. Ed ecco apparire dal nulla, poco alla volta, tutte quelle persone di cui John s’era preso cura che si radunano davanti alla sua tomba. Sono la sua famiglia. John solo apparentemente è solo. Il titolo del film, che appare dopo una dissolvenza in chiusura, sta ad indicare che John è ancora vivo, all’interno di una comunione spirituale misteriosa ma reale.

SignificazioneLa prima parte del film mette in evidenza lo scrupolo con cui il funzionario John esegue il suo particolare incari­co. Ma mostra anche la particolare sensibilità di quest’omuncolo che ama il suo lavoro, ma ama soprattutto le persone di cui s’interessa. La seconda parte sottolinea una sorta di identificazione che avviene tra John e Billy e l’impegno del protagonista nel ricostruire la vita di quest’ultimo e nel coinvolgere le persone che l’hanno conosciuto. La terza parte rimarca la sua reazione e la sua tenacia nell’andare fino in fondo per completare il quadro prima di chiudere il caso. La quarta parte mette in risalto la sua trasformazione a contatto con tutte le persone che ha incontrato e, in modo particolare, con Kelly, che lo apre ad una vita più serena e gioiosa. Ma l’improvvisa dipartita lo ricaccia nell’anonimato e nell’insignificanza. L’epilogo dimostra però che il suo amore non è stato vano: John è riuscito a dare dignità alla vita e alla morte degli altri e, misteriosamente, anche alla propria.

Idea centrale – Prendersi cura con amore delle persone defunte significa riconoscere la dignità e il valore della vita umana. Di ogni vita, anche di quelle apparentemente insignificanti o fallimentari. Ciò è fonte di arricchimento in questa vita ed è un modo per entrare in una misteriosa comunione spirituale con tutte le persone di cui ci si è presi cura che va al di là della morte.