N.05
Settembre/Ottobre 2015

Anime nere

Presentato in concorso a Venezia 71

Regia: Francesco Munzi
Sceneggiatura: Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci
Fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musica: Giuliano Taviani
Interpreti: Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Barbora Bobulova, Anna Ferruzzo, Giuseppe Fumo
Distribuzione: Good Films
Durata: 103’
Origine: Italia, 2014

Il regista – Francesco Munzi nasce a Roma nel 1969. Si laurea in Scienze politiche e, nel 1998, si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Esordisce nel 2004 con il lungometraggio Saimir che vince la Menzione Speciale Opera Prima alla Mostra di Venezia. Con Il resto della notte (2008) partecipa al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.

La vicenda – Il film, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, racconta la storia di una famiglia calabrese ai giorni nostri, la famiglia Carbone. I tre personaggi principali sono tre fratelli, Luigi, Rocco e Luciano. Luigi è il più giovane e fa il trafficante internazionale di droga; Rocco vive a Milano, fa l’imprenditore e ricicla i soldi sporchi del fratello pagando in nero i suoi dipendenti; Luciano, il più vecchio, è rimasto nella sua terra, legato alle tradizioni contadine e alla cultura religiosa del suo paese e della sua famiglia. C’è poi Leo, il figlio di Luciano, che non si rassegna a seguire le orme del padre e vuole “fare carriera” come gli zii. Testa calda, Leo, per dare una lezione a chi aveva parlato male della famiglia, riaccende una faida, che sembrava sepolta, e la guerra tra i clan della ‘ndrangheta. Luigi, ritornato in Calabria per smistare un carico di droga favorendo un clan a scapito di un altro, viene assassinato. Anche Rocco ritorna in Calabria per i funerali del fratello e si scontra con Luciano che non condivide il suo desiderio di vendetta. Leo si mette contro il padre e decide di agire personalmente per vendicare lo zio; ma viene tradito da un suo amico e viene ucciso. Alla fine Luciano, disperato, brucia tutto ciò che ricordava il passato e uccide il fratello, che rappresenta quel mondo che gli ha rubato il figlio.

Il racconto – Procede linearmente dividendo la vicenda in quattro grosse parti seguite da un epilogo.

Prima parte
La prima parte serve soprattutto per presentare e definire i personaggi principali. Le prime immagini mostrano Luigi che si trova in Olanda con il fidato Nicola. I due incontrano dei nuovi fornitori internazionali di droga, coi quali sembra nascere «una nuova amicizia». Si passa poi a Milano, dove viene presentato Rocco, un imprenditore dall’aria rispettabile che ricicla i soldi del fratello. A questo proposito è importante il peso che viene dato ai soldi che vengono contati; e proprio mentre si contano i soldi appare il titolo del film, Anime nere. È già un’indicazione tematica che mette in relazione tutto quello che succederà con il desiderio di ricchezza e l’avidità del possedere. Più tardi vediamo Luigi e Rocco insieme (sempre accompagnati da persone di fiducia) che in macchina stanno andando verso Milano. Il furto di due pecore (che vengono scuoiate e macellate) e la sosta in un locale ambiguo dove Luigi si sceglie una prostituta sono due episodi che sottolineano la “statura morale” dei due fratelli, soprattutto di Luigi, completamente privo di scrupoli. Poi i due incominciano a parlare di “lavoro”. Rocco fa presente che il boss calabrese Nino Barreca si lamenta: «Dice che lavoriamo con tutti e che loro li trattiamo da schifo». E di fronte al deciso rifiuto di Luigi di far affari con Barreca, Rocco osserva: «Ricorda che i nostri vivono laggiù; io cerco di ragionare». Si passa poi in Calabria con l’immagine (particolarmente importante perché verrà ripetuta nel finale del film) di un gregge di capre che vengono guidate da un guardiano fischiettante in riva al mare. Appare Leo che chiama il  guardiano, suo amico, chiedendogli aiuto. I due si recano nel vecchio borgo diroccato e semiabbandonato dove una volta abitavano i Carbone. Nella vecchia casa ci sono delle armi nascoste e c’è pure un quadro con delle foto di famiglia. Veniamo a sapere che il nonno di Leo, Bastiano, era stato «ammazzato come un cane» tanti anni prima e che il delitto era rimasto impunito. Leo e l’amico, dopo una sniffata di droga, vanno a sparare contro le vetrate di un bar, per dare una lezione ad un tizio che aveva parlato male della famiglia. Poi Leo corre a casa dove incontra il padre, Luciano. C’è tensione tra padre e figlio. Luciano si rende conto che il figlio segue il modello degli zii, soprattutto di Luigi, e ne è amareggiato. Ma è costretto a lasciarlo partire. Emerge la figura di Luciano: è il più vecchio dei tre fratelli ed è rimasto nel paese natio, a contatto con la natura e con gli animali. È completamente diverso dai fratelli. Ha un animo sensibile, è profondamente religioso e vive nel ricordo del padre morto. Lo vediamo prendersi amorevole cura di una capra malata; entrare nella chiesa diroccata, farsi il segno di croce e prelevare un po’ di polvere della statua di un santo (che poi mescolerà con la medicina da prendere); guarda furtivamente il quadro con la foto del padre e poi estrae da una valigia un ritaglio di giornale con la notizia: «Assassinato un pastore d’Aspromonte – Lite per un riscatto».

Seconda parte
Nella seconda parte assume particolare rilievo la figura di Luigi. Accoglie Leo alla stazione di Milano e lo rimprovera quando questi, parlando del padre, dice: «Sta sempre in montagna con gli animali; non parla più con nessuno. Secondo me non ci sta più con la testa». Poi lo porta da Rocco, che vive in una bella casa con una bella moglie del nord. Rocco, che è venuto a conoscenza della “bravata” compiuta da Leo, cerca di provocare il ragazzo. Gli chiede se il padre ha piantato delle viti e quando Leo risponde: «Non lo so. A me non piace la campagna», lo rimprovera: «Allora, la campagna non ti piace, la scuola l’hai lasciata, però qualcosa nella vita la devi pure combinare; a parte sparare alla saracinesca dei bar». Di fronte alla giustificazione di Leo: «Quel pezzo di m… di Ferraro ha detto che noi Carbone siamo dei “quaquaraquà”», viene messa in evidenza la diversa reazione degli zii. Luigi dice che ha fatto bene e aggiunge: «La prossima volta spara alle gambe»; Rocco, invece ammonisce: «Dagli pure corda, Luigi; attento a cosa metti in testa a questo ragazzo che combina solo guai. Non mi piace come ragionate, già te l’ho detto».
Nel frattempo, in Calabria, Luciano viene mandato a chiamare da Nino Barreca che, come si capirà in seguito, viene ritenuto il responsabile dell’uccisione di Bastiano Carbone. Don Nino approfitta della bravata di Leo per ricattare Luciano: «Tirategli le orecchie e noi facciamo finta di niente. È una ragazzata, vuoi che non capisca? Però anche da parte vostra ci vuole uno sforzo. Ho mandato un messaggio ai tuoi fratelli e non mi hanno risposto; come mai?». Luciano dice di non sapere niente degli affari dei suoi fratelli, ma don Nino ribatte: «Tu non sai mai niente. Sei il primo dei fratelli e non sai niente? Vedi che devi fare e stringiamo. Hai capito?».
Luigi, avvisato dal fratello, decide di andare in Calabria al seguito della droga: «È meglio se ci vedono tutti insieme giù in paese». Poi elabora una strategia: favorire il clan dei Tallura per ridimensionare Barreca. In compagnia di Leo, Luigi torna verso casa. Le immagini sottolineano la lunghezza del viaggio e contrappongono la modernità delle autostrade, delle gallerie, ecc. con quel borgo e quella chiesa diroccati e fuori dal tempo. Ma è proprio da lì che tutto nasce ed è lì che tutto continua, in un immobilismo che sembra invincibile.
Luigi porta personalmente trenta pacchi di droga a don Peppe Tallura e cerca di ingraziarselo: «Quell’infame (il riferimento è a Barreca, ndr) si sta montando la testa e io vi vorrei più vicino a noi, don Peppe». Don Peppe lo rassicura e viene invitato con tutta la famiglia a trascorrere la domenica insieme.
Luciano si scontra con il figlio. Vorrebbe che Leo andasse con lui a chiedere scusa a Ferraro, ma il giovane sembra nutrire un certo disprezzo per il padre, considerato un debole: «Meno male che è venuto tuo fratello a farci portare un po’ di rispetto». Luigi reagisce dandogli uno schiaffo.
Intanto Luigi si fa bello con i regali che ha portato ai parenti. Ma è significativo che, di fronte a quella bella collana che riceve in regalo, la vecchia madre affermi: «Non è che non mi piace; non mi serve. Sono vecchia». L’atteggiamento della madre sembra essere simile a quello di Luciano che più tardi, di fronte alla prospettiva ventilatagli da Luigi di comperare dei terreni per possedere mezza montagna, risponde: «Che ci dovrei fare con mezza montagna?». Ma ciò provoca la reazione di Luigi che sembra risentito: «Non hai più bisogno di me, ora?».
La grande festa con i Tallura diventa occasione per rimarcare la differenza esistente tra Luciano e Luigi. Don Peppe porta anche la giovane nipote, Lucia, per farla incontrare con Leo: un’eventuale simpatia tra i due ragazzi potrebbe favorire l’alleanza tra le due famiglie. Durante un brindisi don Peppe esalta l’amicizia che esisteva tra lui e Bastiano; ma la presenza di Luciano, che non vede di buon occhio quella «pagliacciata», diventa motivo di tensione. Più tardi infatti Luciano si sfoga con il fratello: «Sai che diceva papà del vecchio Tallura? Di guardarsi le spalle. E tu me lo porti dentro casa? Che pensi, Luigi, che Barreca s’impressiona? (…) Dagli quello che vuole, le molliche magari, ma non ci mettere in pericolo con queste tarantelle». Ma Luigi risponde: «Non do la roba a chi ha ammazzato nostro padre». «Allora vai e sparagli», conclude Luciano.
Alla sera Luigi esce da solo dal bar e monta in macchina, ma viene ucciso a bruciapelo, probabilmente dagli uomini di Barreca.

Terza parte
Nella terza parte entra in campo Rocco. Avvisato nel cuore della notte dell’uccisione del fratello, si precipita in Calabria manifestando subito desiderio di vendetta: «La pagano. Questa volta la pagano quant’è vero Gesù Cristo». Ma Rocco è accorto e abile ed agisce con freddezza. Dopo aver invitato Leo, affranto per la morte dello zio, a non agitarsi e a tenere la schiena dritta, Rocco prende in mano la situazione. Quando arrivano gli uomini di Barreca a portare dei fiori, Leo dà in escandescenze, ma Rocco, freddamente, ringrazia. Ancora una volta emerge il contrasto tra Luciano e il fratello. Il primo vorrebbe finirla lì: «Seppelliamolo, viviamoci il lutto»; Rocco ribatte: «E che facciamo? Gli stringiamo le mani? Diciamo “tante grazie”?». Decide poi che il funerale venga fatto nella chiesa, in piazza, di fronte a tutti: «Li contiamo uno a uno: chi c’è e chi no». Nel frattempo Luciano, che teme qualche colpo di testa da parte di Leo, gli si avvicina e gli parla: «Era mio fratello, sai? Ora dobbiamo camminare uniti senza fare stronzate, Leo».
È il momento delle visite, del dolore, delle preghiere delle donne davanti alla bara, dello strazio della vecchia madre. Ma è anche il momento per incontrarsi con i Tallura che erano stati invitati. In una riunione dalla quale vene escluso Leo si mettono le carte in tavola. Rocco afferma: «Per noi è arrivato il momento di chiudere con quel serpente; vogliamo Barreca». I Tallura sono perplessi; capiscono che ciò porterebbe ad una vera e propria guerra; avanzano dei dubbi: «Chi l’ha ucciso? Ma siamo proprio sicuri? Chi ce lo dice?». Poi prendono tempo per parlare con il padre che non era venuto alla riunione. Quando se ne vanno, i Carbone reagiscono rabbiosamente: «Pezzi di m… miserabili. Luigi li ha arricchiti e loro scappano. Si stanno tirando indietro, non vi rendete conto?». Interviene Leo che ha sentito tutto: «Nicola ha ragione; dobbiamo fare da soli, senza chiedere il permesso a nessuno». Naturalmente questo provoca la reazione di Luciano, che si scontra anche fisicamente con il figlio. Finalmente interviene Rocco che cerca di moderare i toni: «Dobbiamo aspettare e basta. Chiuso il discorso».
Nel frattempo i Tallura si riuniscono e prendono la loro decisione: «Luigi lo doveva ammazzare quando era potente. Ora Barreca è potente, aspettiamo. Prendiamo tempo; stiamo a guardare. Rocco è bravo con gli affari, Nicola ci sa fare, ma la guerra è un’altra cosa. Luciano sta con le capre: per loro è finita».
Intanto Leo decide di agire da solo con l’aiuto dell’amico guardiano di capre. Ma questi lo tradirà provocandone l’uccisione.

Quarta parte
La quarta parte si sofferma su Luciano e sulla sua reazione. Quando Leo viene ucciso, Luciano, che è a letto, si sveglia di soprassalto. S’accorge che il ragazzo non ha dormito a casa e incomincia a inquietarsi. Rocco cerca di tranquillizzarlo: «Vedi che viene direttamente alla messa». Ma sarà proprio durante la celebrazione della messa che Luciano viene a sapere che il figlio è morto.
Quando vede il cadavere del figlio, Luciano ha una reazione nervosa inaspettata. Dapprima è ammutolito; poi si butta a terra e batte disperatamente le mani sul pavimento. La musica sottolinea questa trasformazione del mite Luciano che incomincia a dare segni di pazzia. Poi va su nel vecchio borgo e brucia tutto (l’articolo di giornale che dava la notizia della morte del padre, quel quadro con le foto di famiglia) mentre un primo piano sottolinea i suoi occhi lucidi e la sua espressione da pazzo.
Le immagini si soffermano su quel borgo fatiscente, sulle capre che sono abbandonate a se stesse, su Luciano che è seduto sul letto con le mani sulle ginocchia e con lo sguardo fisso. Poi il colpo di scena. Luciano va nella casa dove si trova Rocco e lo uccide a bruciapelo, davanti agli occhi della moglie. Uccide altri due uomini che stavano accorrendo e rimane con la pistola in pugno. La moglie lo invita ripetutamente a posare quell’arma, ma Luciano fa segno di no con la testa, ormai in preda alla pazzia.

 Epilogo – L’ultima immagine del film è uguale a quella che faceva da introduzione al mondo della Calabria. Il guardiano di capre, quello che aveva tradito Leo, conduce il gregge in riva al mare, fischiettando, come se niente fosse successo, come se tutto dovesse continuare e perpetuarsi all’infinito.

 Significazione – Tutto nasce e tutto finisce in Calabria. È chiaro pertanto che l’autore vuole parlare di questa terra, dei suoi abitanti, della sua cultura e di quelle “anime nere” che l’hanno trasformata in una terra di malavita e d’illegalità. L’autore poi mette in risalto la differenza che esiste tra i tre fratelli e tra Luciano e il figlio Leo. Da notare che la seconda, la terza e la quarta parte del film si concludono con delle uccisioni. Ma se le prime due rispondono alla logica del predominio di tipo mafioso, la terza rappresenta una reazione alle prime due, in un disperato quanto inutile tentativo di distruggere quella logica. Si può osservare che il personaggio che acquista maggiore peso è quello di Luciano («È la figura in cui mi identifico, per il sentimento struggente che coltiva verso la propria terra violata dal male, il marcio portato dai boss», ha dichiarato Munzi). Ed è anche l’unico ad avere un’evoluzione nel film. Mentre gli altri due fratelli sono quello che hanno deciso di essere, cioè due criminali senza scrupoli (seppur in modo diverso), Luciano viene presentato come un uomo mite, legato alla campagna e agli animali. È un uomo religioso e devoto e soffre nel vedere il figlio che, anziché seguire il suo esempio, si lascia sedurre dal comportamento degli zii. Non è avido e assetato di potere. Ha chinato la testa di fronte all’ingiustizia – pur soffrendone – per tentare di uscire dalla spirale della violenza e della vendetta. Ma quando Leo viene ucciso, si dispera, impazzisce dal dolore, e vuole distruggere quel mondo disumano con un gesto folle e inutile. L’immagine finale, infatti, lascia intendere che le cose non possono cambiare con un gesto individuale da parte di un padre disperato. A questo proposito non può non venire in mente quel volto addolorato e rassegnato della madre dei tre fratelli cui vengono sottratte le persone più care da un destino a cui nessuno riesce a sfuggire. Confermando le parole del prete che, durante il funerale di Luigi aveva detto: «Fratelli, la nostra vita qui, in questo paese, non è più una vita ma un vivere da morti».

Idea centrale – In un contesto sociale dove l’avidità e il potere predominano, s’innesca una spirale di odi, di violenze e di vendette che travolge anche quelli che la rifiutano. Il tentativo di distruggere quel mondo con un gesto individuale dettato dalla rabbia e dal dolore è illusorio, perché tutto sembra continuare come prima.