N.02
Marzo/Aprile 2016

La forza e il coraggio delle “parole semplici”

C’è un estremo bisogno di pensieri semplici, fatti di poche parole: «Ti voglio bene; grazie; ho sbagliato; scusa; mi manchi; arrivo; ti aspetto…».
E proprio sui sentieri di ricchezza e audacia delle parole semplici, abbiamo voluto addentrarci nei giorni del Convegno Nazionale del 3-5 gennaio 2016, di cui questo numero di «Vocazioni» riporta gli Atti: “Ricco di misericordia… ricchi di Grazie. Grati perché amati”.
Non è sempre facile parlare di misericordia e perdono, di gratitudine e gratuità.
«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la Misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza» (MV 10).
Nel racconto autobiografico della chiamata vocazionale di Matteo, compare una frase che sconvolge radicalmente il nostro modo di pensare: «Misericordia voglio e non sacrificio» (Mt 9,13).
E Papa Francesco ricorda questa particolare chiamata citando le parole di San Beda il Venerabile, che sono anche il motto del Santo Padre: «Miserando atque eligendo»… con misericordia e predilezione.
Porto nel cuore le parole di un grande maestro di spiritualità del nostro tempo, il monaco e teologo belga Daniel Ange:
«Questo tempo di grande miseria, diviene un tempo di grande misericordia. Vedendo i giovani così turbati, se non addirittura traumatizzati, si potrebbe credere che la stoffa umana sia oramai ridotta a brandelli. Forse, non avremo più figure di eroi, ma sorgeranno dei Santi; amici di Dio da ricevere come segni di misericordia e di consolazione».
Dove c’è Amore, lì inizia la via di ogni guarigione. Ciò significa entrare nella sfera vitale e avvolgente della “tenerezza”, in cui avvertiamo che la nostra vita viene cambiata radicalmente, perché si entra nel cuore di un altro che ti vuole bene.
«Non dire: Ho Dio nel cuore… Di’ piuttosto: Io sono nel cuore di Dio» (K. Gibran).
E spesso noi siamo troppo sbadati o assorti per accorgerci di alcuni segni di tenerezza che potrebbero dare un sussulto, una tonalità, un colore diverso alla nostra vita.
Il poeta spagnolo Miguel De Unamuno usa una efficace metafora: «Rammento di aver sentito dire che le ostriche si possono aprire con la persuasione. Mettendole nell’acqua salata, esse s’immaginano di essere nel loro elemento, nell’acqua di mare e, sentendosi sicure, si aprono da sé».
Come è bello credere, amare e vivere in una Chiesa che si propone come “Madre di Tenerezza”. Questo dovrebbe riaccendere una scintilla di dinamismo nelle nostre comunità cristiane per essere, come ci ricorda Papa Francesco, il luogo dove «ogni vocazione nasce, cresce e viene sostenuta e alimentata» in una testimonianza quotidiana di tenerezza che sa “prendersi a cuore” chi è in ricerca per far dilatare il cuore nella pienezza della sua Beatitudine.
Là dove si sperimenta la tenerezza del sostegno e dell’incoraggiamento fiducioso, lì sgorga dal cuore il GRAZIE più vero. Possiamo accogliere le varie esperienze della vita con gioia e riconoscenza, oppure vivere costantemente da persone arrabbiate, stanche e frustrate, segnate dal grigiore della quotidianità e dal contagio della pesantezza.
Entrare nella fresca logica della gratitudine è scegliere di abitare la vita con pienezza di umanità. Questo è il grande miracolo della nostra vita: «Sentirci profondamente grati perché immensamente amati».