Serie e serialità
Storia in trasformazioni
La prima serialità nella storia dell’audiovisivo risale al cinema muto. Un esempio rappresentativo è l’adattamento per il grande schermo delle avventure di Fantomas – personaggio letterario nato dalla penna di Marcelle Allain e Pierre Suovestre – che in Francia diede luogo a cinque film diretti da Louis Feuillade, prodotti da Gaumont tra 1913 e 1914.
Poi la prima età d’oro della televisione statunitense, tra anni Quaranta e Cinquanta, fu la fucina narrativa dalla quale uscirono molti degli archetipi e dei prototipi sfruttati e rimodulati fino ai primi anni Novanta, momento di passaggio cruciale durante il quale si assiste a un generale cambio dei modelli narrativi: all’andamento classico, che prevedeva sostanzialmente una prima presentazione dei luoghi e dei personaggi principali, per poi procedere secondo un racconto “verticale”, sviluppando per ogni episodio una storia autonoma diversa, s’inizia ad aggiungere prima e a sostituire sempre più profondamente poi, un nuovo andamento centrato su un racconto “orizzontale” che sviluppa, oltre la parabola narrativa dei singoli episodi, una trasversale evoluzione del destino dei protagonisti.
In Italia, la Rai in bianco e nero (quindi dal 1954 al 1977) seguì un percorso originale pur ricorrendo anch’essa largamente al processo dell’adattamento teatrale e letterario: l’era di quelli che vennero comunemente chiamati “sceneggiati” ha segnato e contribuito consistentemente all’immaginario di molte generazioni di spettatori, raggiungendo trasversalmente classi sociali diverse.
Gli anni Settanta e Ottanta sono caratterizzati dalla grande diffusione internazionale dei “telefilm” provenienti quasi esclusivamente dagli Stati Uniti, che in Italia arrivano in concomitanza con l’inizio della televisione privata: è il momento di maggior sviluppo della “televisione commerciale” e il telefilm (insieme al “serial”, la soap opera, la telenovela) è uno dei suoi contenuti di maggior successo. La serie televisiva espande il catalogo dei generi e delle forme, anche se la commedia – e più nello specifico il sottogenere della situation comedy – conosce il suo momento di maggior successo.
Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, inizia una trasformazione estetica, narrativa, tecnologica e produttiva che ancora oggi non ha esaurito la sua parabola d’evoluzione.
Nella produzione nazionale, alle “fiction” iniziano ad affiancarsi serialità che riecheggiano i formati e gli stili dei prodotti stranieri, soprattutto statunitensi. Inoltre, la “convergenza tecnologica”, cioè la diffusione su dispositivi diversi di funzioni e contenuti simili grazie alle tecnologie digitali, e nuovi fenomeni ed eventi contingenti (tra gli altri la graduale ricollocazione dei migliori sceneggiatori cinematografici nella crescente industria delle serie) contribuiscono a cambiare radicalmente l’intera filiera, dalla produzione alla distribuzione fino alle stesse modalità di fruizione.
Spettatori concentrati e impatto emotivo
Le serie televisive per come le conosciamo oggi sono prodotti culturali molto più vari e complessi, pur conservando valide alcune caratteristiche strutturali originarie, prima fra tutte la predominanza della costruzione di un intreccio – e di una galleria di personaggi che agiscano al suo interno – rispetto al montaggio d’immagini e suoni come articolazione prima dei significati.
Le storie sono, nella maggior parte dei casi, dotate di un ampio arco temporale e articolate da una vasta serie di eventi. Basti pensare alla Casa di Carta, a Stranger Things, a Sherlock: il racconto è costruito da una scrittura molto fine ed evoluta che implicitamente include e intreccia riferimenti alle nuove culture urbane e popolari, assortendo vicende e personaggi densamente descritti e variamente sfaccettati.
Le strategie e gli schemi narrativi esaltano la struttura frammentata e la dimensione del tempo costantemente interrotto, dimensione nella quale pensa, si muove, agisce e si relaziona la maggior parte dei giovani. Da una parte si punta al maggior coinvolgimento emotivo – non solo e non sempre alimentando tensione e aspettative -, invito implicito che sembra incontrare la richiesta di un pubblico in una condizione di sempre maggiore fragilità e necessità emotiva; dall’altra si offre una nuova vastissima produzione culturale di consumo, prodotto che avvolge lo spettatore su più fronti e, soprattutto nel caso delle più giovani generazioni, che lo inserisce e integra all’interno di reti sociali ed esperienziali.
La comunicazione si sviluppa in dimensioni multiple e diverse tra loro: dal gossip intorno al “dietro le quinte”, agli approfondimenti, alle serie vere e proprie. Questi contenuti sono diffusi attraverso canali come i social networks, gruppi di fan organizzati su piattaforma digitale, siti di settore. D’altra parte, la nuova esperienza dello spettatore medio è praticata in solitudine, in luoghi e su dispositivi vari e diversi – sempre più spesso dispositivi mobili, con schermi che consentono visioni più che private, quasi intime. Si tratta di una visione intesa, pensata e immaginata come più prossima alla visione cinematografica: silenziosa, concentrata, frutto di scelta attiva.
Le serie tv, dunque, rappresentano il fronte di una nuova produzione culturale vasta e articolata all’interno della quale si trovano affiancate produzioni d’autore a narrativa di consumo. D’altra parte, proprio in questa produzione, la componente commerciale manifesta sempre più apertamente le sue istanze, modificando sensibilmente le aspettative e le consuetudini del pubblico, soprattutto di quello più giovane al quale sono rivolte le storie a più alto impatto emotivo.