L’alfabeto della vocazione
Vocazione: una lettura ragionata (1)
Il titolo del messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni del 12 maggio 2019 parla chiaro: “La chiamata del Signore ci rende portatori di una promessa e, nello stesso tempo, ci chiede il coraggio di rischiare con Lui e per Lui”. Ma cosa pensano gli italiani delle vocazioni?
Un ritratto preciso emerge dalla ricerca compiuta da Toluna, per conto dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale delle Vocazioni, che ha interpellato via web 807 persone molto vicine alla Chiesa, che vanno a messa tutte le domeniche, o quasi. Uomini e donne che frequentano la parrocchia sia per incontri formativi di preghiera, ma anche per momenti ricreativi e di aggregazione. Persone che prestano o hanno prestato il proprio impegno come catechista, animatore in oratorio o anche solo come cantante nel coro parrocchiale.
LA CARTA D’IDENTITÀ DI DIO
Una qualità prevale su tutte e rivela l’essenza intima divina: “amore”, parola scelta da oltre la metà del campione per definire chi è Dio. E’ l’amore nel senso cristiano di agape, che dal Padre si trasmette al Figlio e a tutti noi. E’ l’amore di Cristo, che si esprime nella donazione totale fino al sacrificio della vita stessa, fino ad amare il proprio nemico. Sono lontanissimi dall’idea del Dio cristiano concetti quali “dogma”, “silenzio”, “incognito”, “distanza”, “legge” e “severità”, che ottengonomeno di 5 consensi su 100.Contrariamente ad altre religioni classiche che legano i fedeli a rigidi regole e norme su ogni aspetto della vita, il Dio dei cristiani vincola esclusivamente all’amore.
Altri concetti esclusivi di Dio, per circa il 30% del campione, sono “eternità” e “onnipotenza”. Seguono le qualità che contribuiscono a comunicare Dio agli uomini: “vita”, “luce”e“fedeltà”, parole chiave per il 20% e oltre degli intervistati. Completano la carta d’identità di Dio le virtù della“sapienza” e della“giustizia”. Ma la scoperta più grande, quella che svela il verovolto di Dio, è la sua “paternità”, il suo essere un padre buono e misericordioso che ci sorregge, ci aiuta e ci corregge, perché ci ama.“La paternità di Dio è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto” ha detto Benedetto XVI nell’omelia del 30 gennaio del 2013.
L’ALFABETO DELLA VOCAZIONE
La metà degli intervistati, all’incirca, usa il termine vocazione saltuariamente, raramente. Solo1 su 10 (pari al 9,5% del campione) lo utilizza nella vita di tutti i giorni. E pensare che la vocazione si declina proprio nella quotidianità. Ma quali sono le parole gli aggettivi correlati al termine? Questo il quadro che emerge dalla ricerca.
Chiamata, Dio e fede: le parole chiave della vocazione
Nell’immaginario collettivo la vocazione è innanzitutto una “chiamata”, la voce dello spirito che fa cadere da cavallo san Paolo, zelante persecutore della Chiesa, afferrato da Gesù Cristo (Fil 3,6-12). La vocazione è manifestazione di “Dio”, appalesarsi del divino, annuncio dell’angelo a Maria. Ma nulla sarebbe senza la “fede”, la risposta del cristiano, che trova un modello proprio nella madre di Gesù, la credente per eccellenza, colei che hai creduto nell’adempimento delle parole del Signore (Lc 1,45). Altri concetti spontanei, correlati alla parola vocazione sono legati al sacerdozio e alla vita religiosa: “prete”, “sacerdote”, “suora”.Seguono altri termini, che hanno a che fare con la fede: “religione”, “preghiera”, “credo”, “santità”, “spiritualità”, “Chiesa”, “Gesù”.
Curioso che per la maggioranza degli intervistati la vocazione non sia “talento”, “destino”, “dedizione”, “disposizione d’animo”. Probabilmente, se la stessa ricerca fosse stata realizzata in Germania, avrebbe dato risultati diversi: c’è infatti un termine tedesco, Beruf, che significa contemporaneamente professione e vocazione. Scrive Anselm Grün, padre benedettino tedesco “Dio chiama l’uomo affinché egli risponda. Gli uomini rispondono con la loro esistenza e talvolta il loro lavoro è esattamente una risposta alla chiamata di Dio”. [Grün, Vivere, p.24-25].
La vocazione è una scelta e una missione
Dopo una prima associazione spontanea, la ricerca ha proposto una associazione “spontanea”: agli intervistati è stata mostrata una griglia di parole per definire cosa è la vocazione.
Anche in questo caso il termine preferito su tutti è “chiamata” per circa 1 intervistato su 3. La voce dello Spirito si fa sentire nei modi più strani e diversi da una persona all’altra ed è una vera “rivelazione” di Dioper il 10% del campione.
Altra parola chiave associata alla vocazione per oltre il 17% degli intervistati è “scelta”: è il nostro libero arbitrio, la nostra risposta libera all’invito di Dio. Chiamata e scelta sono due
concetti chiave, due movimenti strettamente correlati nella vocazione. Siamo liberi di scegliere, possiamo realizzare il nostro destino, cercando di essere quello che Dio vuole che siamo, o non ascoltare la chiamata e fare di testa nostra.
Terzo concetto forte correlato alla vocazione è “missione”, per 1 intervistato su 4 (oltre il 24%): missione intesa come pienezza del cristiano, per realizzare la nostra chiamata individuale e la missione condivisa. Scrive Karl Rahner: “Ogni fedele, e, diciamo ora, ogni laico, dovrebbe rendersi conto della propria definizione e della propria funzione nel quadro del disegno divino della salvezza” [Rahner XX siècle, p. 125 citato da Paolo VI, il 10 gennaio 1968].
Tempo di grazia e di lotta
La scoperta della propria vocazione è un tempo di grazia, di presenza forte di Dio che consola, un tempo bello nel quale iniziare ad accordare il proprio cuore alla chiamata. Ma fare la volontà del Signore richiede un grande “impegno” e “responsabilità”. L’incontro tra l’uomo e Dio avviene solo se c’è la giusta“predisposizione” d’animo per realizzare il proprio“progetto” di “salvezza”(parole scelte da 1 intervistato su 20).
Ma la scoperta della propria vocazione è anche un tempo di lotta, di fatica, di travaglio che a volte dura tutta la vita. Curioso che solo 1 su 10 associ la vocazione a“sacrificio” e meno di 5 persone su 100 a “mistero”. Possiamo trascorrere una parte della vita, o la vita intera, senza chiederci che senso abbia il nostro essere al mondo, ma quando meno ce lo aspettiamo il mistero dell’amore di Dio si propone come inquietudine e tensione verso l’infinito. E’ il mistero della vita che ci fa sentire il desiderio di completarci nell’altro per realizzare qualcosa di grande e duraturo nell’amicizia, nella famiglia, nella comunità, nella Chiesa. E’ il mistero della morte che ci fa toccare con mano il senso del limite, la finitezza della vita per sentire il bisogno di un dialogo con l’Altro, l’eterno, l’assoluto, il divino.
“Non abbiate paura!”
Le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II durante l’omelia per l’inizio del pontificato, il 22 ottobre 1978, hanno conquistato tutti. 40 anni dopo il 99% degli intervistati non ha paura della chiamata di Dio. Solo 1 su 100, infatti, associa la vocazione a “paura”, ossia ansia, angoscia, spavento, terrore. La stessa percentuale vale per il termine “difficoltà”, ossia inciampo, impedimento, intoppo, scoglio.
Per la quasi totalità del campione la vocazione ha un percorso definito, è chiara fin dall’inizio, è lineare nel suo evolversi nel tempo. Solo 1 su 200, infatti, associa il termine a “dubbio”. Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci accorgiamo come spesso nella nostra vita la vocazione non si è rivelata chiaramente fin dall’inizio. Il più delle volte è stata una traiettoria con improvvise deviazioni, un cammino in salita con cadute pericolose, un giorno luminoso con notti oscure della fede: “Prima di far splendere sull’anima mia un raggio di speranza, piacque al Signore di mandarmi un martirio molto doloroso– scrive Santa Teresa di Lisieux – Ero in un deserto triste, o piuttosto l’anima mia era simile allo scafo fragile privo di nocchiero, in balìa della tempesta… niente m’illuminava, nemmeno un lampo che solcasse le nuvole oscure.” [Santa Teresa di Lisieux, Storia di un’anima].
Tre voti per tutti: obbedienza, castità e povertà
Non sono virtù esclusive della vita consacrata. Eppure per la maggioranza del campione i tre consigli evangelici hanno poco a che fare con la vocazione. La parola “obbedienza” è correlata alla chiamata di Dio da meno di 1 intervistato su 10 (il 9,2% del campione). E pensare che la vocazione è soprattutto obbedienza all’amore di Dio.
Non va meglio per la parola “castità”, correlata alla vocazione solo dal 6,3% degli intervistati. Pare essere una virtù che riguarda esclusivamente nubili e celibi consacrati, mentre in realtà ha a che fare con tutti noi, sposati e non, chiamati da Dio a vivere l’amore castamente. Stesso destino per il terzo consiglio evangelico, la “povertà”, associata al termine vocazione solo da 1,7% del campione. Quasi che la responsabilità etica nei confronti del povero, presenza concreta del divino, non sia la vocazione essenziale di un cristiano. Eppure c’è chi, come Madre Teresa di Calcutta ha scoperto la propria vocazione nella possibilità concreta di incontrare Cristo nei poveri: “Il 10 settembre 1946, mentre ero in treno diretta a Darjeeling per fare gli esercizi spirituali, sentii la chiamata dentro la chiamata. Gesù, dentro di me, mi chiedeva la disponibilità a lasciare tutto e a fare il suo lavoro nei sobborghi, per servire i più poveri”. [Madre Teresa di Calcutta]
Se ti è piaciuto questo articolo, puoi leggere anche la seconda e la terza parte della stessa ricerca “VOCAZIONE: UNA LETTURA RAGIONATA”: