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La dinamica della vocazione

Vocazione: una lettura ragionata (2)

Tutto parte sempre da una sorpresa positiva, da una promessa che Dio ci fa e getta una luce sul nostro futuro.

Non è un caso quindi che la maggior parte del campione attribuisca un’accezione positiva alla parola vocazione: “interessante”, “dolce”, “creativo” e “caldo”. Due aggettivi emergono su tutti e rappresentano la doppia anima della vocazione: “libera”e “trascendente”. Alzare lo sguardo dalla routine quotidiana per aspirare a essere qualcosa di grande. La vocazione per gli intervistati è questo: l’attuazione di un ideale trascendente che supera le aspirazioni umane, nella completa libertà. Solo il 3,8% degli intervistati, invece associa l’aggettivo “indifferente”.

Quali sono i momenti tipici della vocazione? L’ascolto, il discernimento e la decisione sono i 3 passaggi chiave che emergono dalla ricerca.

 

 

Ascolto, la sorpresa di una chiamata

La vocazione richiede un ascolto attento, che significa diventare antenna ricevente agli impulsi di Dio, fidarsi della voce interiore che ci chiama, nutrire fiducia nel messaggio che arriva da Dio. Ma in questo nostro tempo rumoroso è davvero difficile ascoltare con affidamento pieno e vivere la grazia. La ricerca sottolinea una certa difficoltà a dare ascolto alla voce dello spirito. Il 40,6% degli intervistati dichiara infatti di non aver ancora pienamente scoperto la propria vocazione, dato che raggiunge la maggioranza assoluta tra gli intervistati più giovani con un’età inferiore ai 34 anni. Ma il desiderio di scoprirla è sentito dal 37%, a riprova di come questo cammino sia da molti considerato arduo e problematico. Lo ha detto bene Papa Francesco: “Occorre essere pronti e disponibili ad ascoltare ed accogliere la voce di Dio, che non si riconosce nel frastuono e nell’agitazione. Il suo disegno sulla nostra vita personale e sociale non si percepisce rimanendo in superficie, ma scendendo a un livello più profondo, dove agiscono le forze morali e spirituali”. [Papa Francesco, Loreto, il 25 marzo 2019]

 

 

Discernimento, la comunicazione tra Dio e l’uomo

E’ stato messo al centro del Sinodo di ottobre 2018 dal titolo: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Eppure nella classifica delle parole associate a vocazione il “discernimento”è scelto solo dal 5% degli intervistati. Il discernimento, secondo momento tipico della vocazione, è comprendersi con Dio, capirsi con il Signore. E’ una palestra di vita che necessita di intenso allenamento, un esercizio quotidiano a cui bisogna essere iniziati fin da giovani.

Mentre ci sforziamo di trovare le risposte agli interrogativi che riguardano la nostra vita quotidiana, ci vengono dati dei segni del cielo, ma dobbiamo essere capaci di riconoscerli. Significa scoprire nel quotidiano l’irrompere discreto ma forte di Dio, fare esperienza dell’azione di Dio nella nostra vita quotidiana, leggere le indicazioni della sua guida per poter realizzare la nostra chiamata.

Scrive Mark Ivan Rupnik: “Il discernimento è l’arte della vita spirituale in cui comprendo come Dio si comunica a me, come Dio mi salva…. Il discernimento è quell’arte in cui io sperimento la libera adesione a un Dio che si è liberamente affidato nelle mie mani in Gesù Cristo” [Rupnik, Il discernimento, p. 23].

Ma il discernimento non si fa da soli. Eppure meno di 1 intervistato su 2 ha seguito un percorso di accompagnamento vocazionale con una guida spirituale nel corso della vita. Un terzo del campione lo ha fatto in passato. Solo il 15,9% dichiara di seguirlo attualmente con un direttore spirituale. L’aiuto di un mentore, un maestro, una guida spirituale è fondamentale per il processo di discernimento.

 

 

Decisione: un percorso difficile

Mai come oggi i giovani hanno difficoltà a prendere una decisione, terzo passaggio che caratterizza i momenti di una vocazione cristiana.  I dati della ricerca evidenziano in maniera chiara la difficoltà che i giovani hanno nel realizzare la propria vocazione. Il 73,8% dei ragazzi intervistati di età inferiore ai 34 anni, infatti, afferma che non è facile trovare la propria vocazione. Perché?Negli adolescenti e nei giovani c’è un bisogno di rispondere alla domanda di senso non nell’ordinarietà della vita, ma nella straordinarietà. Sognano di essere chiamati a fare “percorsi eccezionali” e anche la chiamata di Dio deve essere per loro qualcosa di assolutamente straordinario.  L’idea che prevale è quella che la vocazione sia qualcosa di assolutamente inaspettato, una illuminazione che irrompe nella vita e consente di vedere più chiaramente il progetto di Dio. Ma spesso questo non accade, neppure al Papa. Al giornalista che chiede a  Joseph Ratzinger com’e arrivato alla sua vocazione, il Papa emerito risponde: “Non c’è stato nessun momento di improvvisa illuminazione, in cui potei riconoscere che sarei diventato prete. Al contrario, questa idea è maturata lentamente in me e ha dovuto essere continuamente rimeditata e fatta propria. Ma mi sono presto reso conto che Dio ha un progetto per ciascun uomo, anche per me”. [Benedetto XVI-, “Il sale della terra: Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”]

 

 

Tutti hanno una vocazione, anche più di una

La vocazione non è qualcosa che ci capita una volta nella vita, ma è “un cammino che accompagna tutta l’esistenza”. Lo sa bene San Pietro che di vocazioni ne ha avute almeno due. La prima con il fratello Andrea sul lago di Galilea, quando è stato chiamato da Gesù a seguirlo. La seconda sul lago di Tiberiade quando il Cristo risorto per ben tre volte gli ha chiesto:“Simone di Giovanni, mi vuoi bene?… Pasci le mie pecorelle”. (Gv 21,15-19). La leggenda vuole che abbia avuto una terza chiamata quando, sull’Appia antica, mentre stava lasciando Roma, il Cristo gli è apparso e gli ha chiesto “Quo vadis?”. Pietro ha deciso di tornare a Roma dove è stato martirizzato e crocifisso a testa in giù. Di certo la Chiesa di Roma avrebbe avuto una storia diversa se San Pietro non avesse risposto di sì alla chiamata del Signore.

 

La vocazione, per la maggioranza del campione (oltre il 60%) “è avere una missione nella vita”. Altre opinioni condivise, sempre da 6 persone su 10, sono: “seguire la propria vocazione consente di esprimere al meglio il proprio talento” e “vivendo la propria vocazione si è liberi”.

 

Scrive Thomas Merton,“Ciascuno di noi ha una sua vocazione. Tutti siamo chiamati da Dio ad avere parte nella sua vita e nel suo regno. Se lo troveremo saremo felici, se non lo troviamo non potremmo esserlo mai completamente”. [Merton, “Nessun uomo è un’isola”]

Eppure solo 1 intervistato su 2 (pari al 48%) ha la consapevolezza che “tutti hanno una vocazione”. La difficoltà maggiore, per metà del campione, è riconoscere che “la vocazione èfare la volontà di Dio”. Significa ammettere che non siamo esseri onnipotenti, indipendenti, autonomi, come la cultura dominante vuol farci credere, ma persone che ci poniamo delle domande sul perché e per chi siamo al mondo, alla continua ricerca di scoprire a cosa Dio ci ha chiamati.

“Non è facile trovare la propria vocazione” dichiara 1 intervistato su 2.La stessa percentuale ritiene che “al giorno d’oggi ci sono sempre meno vocazioni” perché le persone hannodifficoltà a riconoscere la chiamata di Dio. 1 su 5 degli intervistati (oltre il 20% del campione) confessa candidamente: “non ho ancora trovato la mia vocazione” e “sarebbe bello averne una, ma purtroppo non ce l’ho.” Che fare? Per oltre il 30% del campione la strada “per comprendere la propria vocazione è quella di avere una guida spirituale”.

 

 

Tante chiamate per una sola Chiesa

“La vocazione è fare la volontà di Dio”: la pensa così la maggioranza del campione intervistato. Ognuno di noi ha una propria vocazione, una parte che gli compete, senza distinzione tra ruoli da protagonista e comprimari. La vera sfida oggi è affidarsi alla volontà del Signore, accogliere la sua chiamata qualunque essa sia, con lealtà, onestà, impegno, dignità. Perché se è vero che c’è vocazione e vocazione, nel puzzle della grande famiglia della Chiesa tutte le tessere sono importanti, non solo quelle centrali, ma anche le laterali.

Ma cosa succede a chi non è chiamato a diventare prete o suora, padre o madre di famiglia? La risposta, bellissima, arriva da Papa Francesco, nella esortazione apostolica post sinodale “Christus vivit”: Per coloro che non sono chiamati al matrimonio o alla vita consacrata, occorre ricordare sempre che la prima e più importante vocazione è la vocazione battesimale.  Le persone non sposate, anche non per scelta, possono diventare in modo particolare testimoni di tale vocazione nel loro cammino di crescita personale. [Francesco, Christus vivit, 267]

Il matrimonio è una vocazione”, questa l’opinione condivisa dalla metà degli intervistati, persone molto vicine alla Chiesa. Sposarsi non è semplicemente l’incontro tra due innamorati che si uniscono in piena liberta, ma è rispondere alla chiamata del Signore. Se celebrato davanti a Dio, il matrimonio è la scelta di non rimanere in due, ma in tre: il terzo è il divino che trasfigura l’amore in qualcosa di più grande perché c’è Dio.

Su cosa si regge un matrimonio? Sull’amore, rispondono i giovani di oggi. Sul sacrificio, avrebbero risposto le nostre nonne. Entrambi svelano una grande verità. Il matrimonio è innanzitutto una chiamata all’amore, una vocazione che Dio propone a due persone di diventare una cosa sola. Ma, al tempo stesso, la scelta di sposarsi e creare una famiglia è una forma sofisticatissima di fare il sacro e richiede sacrificio, pazienza, servizio.

 

“La vocazione è anche una chiamata che Dio fa ad alcune persone per diventare preti e suore”: la pensa così un terzo degli intervistati.Diventare preti e suore significaaccettare una sfida inedita, vincere le resistenze interiori e rischiare la propria vita, il proprio futuro sulla promessa del Signore. La chiamata al sacerdozio e alla vita consacrata è una scelta di vita che entusiasma un terzo del campione ma al tempo stesso spaventa i rimanenti 2/3 perché è percepita come una scelta distante e perdente.Nel mondo di oggi è considerato vincente solo chi si afferma, occupa una posizione dominante, sta al centro del potere o al vertice del successo, anche economico. La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata, al contrario, è donazione totale a Dio; il fine non è realizzare se stessi, ma aderire al progetto di salvezza mettendo Dio sopra tutto.

 

 

 

Se ti è piaciuto questo articolo, puoi leggere anche la prima e la terza parte della stessa ricerca “VOCAZIONE: UNA LETTURA RAGIONATA”:

(1) L’alfabeto della vocazione

(3) Vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata