Maria, albero dello stupore
Dal Libro della rosa (XIII sec.?)
Il testo che proponiamo fa parte di una raccolta di inni attribuiti, tradizionalmente, a un autore siro-orientale, Gewargis (Giorgio) Warda, che significa appunto “rosa”. Non sappiamo quasi nulla su questo autore o compilatore della raccolta. Si tratta di inni liturgici, di un genere letterario particolare, detto onithā, di cui questo autore è uno dei più interessanti rappresentanti.
Le composizioni dedicate a Maria sono splendide e ancora più interessanti se pensiamo che vengono da una tradizione che per molto tempo è stata considerata “eretica” anche a causa di una presunta poca fede circa Maria. Il Libro della rosa appartiene alla tradizione siro-orientale, detta anche nestoriana, che non accetta il titolo Madre di Dio, come le controversie attorno al concilio di Efeso hanno riportato. In realtà, il non aver accolto il titolo di Madre di Dio (in questa tradizione è chiamata Madre di Cristo) non significa affatto che non si abbia una completa e totale uguaglianza nella sua comprensione e venerazione, tra le chiese calcedonesi (a cui noi cattolici romani apparteniamo) e questa Chiesa. Non a caso, il cammino ecumenico più avanzato è proprio con la Chiesa Assira d’Oriente, l’erede della tradizione siro-orientale e, purtroppo, una delle Chiese più martoriate dalle recenti guerre e dall’odio religioso.
In questo inno, quindi, possiamo apprezzare il modo assolutamente biblico di comprendere la Vergine Maria. La tradizione siro-orientale, infatti, è quella più vicina alla mentalità semitica della Bibbia. Possiamo scorrere questo testo, lasciandoci portare completamente dalle immagini, così come possiamo soffermarci, come in una lectio, su ogni riferimento che lega, come solo i Padri sanno fare, l’Antica Alleanza e la sua realizzazione in Cristo, tramite Maria.
Se Maria la chiamassi terra, io sarei ritenuto uno stolto riguardo a lei: io so che non c’è nulla di simile a lei e nulla le è comparabile sulla terra.
Dalla terra è stato generato Adamo e alla terra è ritornato Adamo; da Maria invece è stato generato il Signore di Adamo, che nel suo amore divenne figlio di Adamo.
Adamo, che viene dalla polvere, morì; e con lui la sua razza; invece, il figlio di Adamo, che viene da Maria, rialzò l’intera nostra polvere.
La potrei forse assomigliare al giardino da cui, come è detto nel racconto della creazione, sgorgano i quattro fiumi in direzione delle quattro [parti della terra]?
Ma la sorgente che sgorgava di là, non ha mai salvato nessuno dalla morte; e l’albero della vita che vi è piantato, non c’è nessuno che sappia com’è fatto.
Da Maria, invece, è sgorgata una sorgente ed è stata annunciata da quattro bocche[1]; di essa si è inebriata tutta la terra e l’ha ricompensata lodando il suo nome.
Lei è l’albero dello stupore che ha prodotto il frutto dello stupore: la creazione intera stupisce di lei e la magnifica davanti a tutti.
Lei è l’arca di carne in cui trovò riposo il vero Noè, che preserva la nostra natura dall’inondazione del nemico.
Lei è la figlia di Abramo, che Abramo vide in mistero quando lei portava il figlio di Abramo, che è il Signore di Abramo.
Lei è la roccia senza fenditure da cui sgorgò una sorgente, e i popoli, ciechi per l’ignoranza, furono arricchiti di ogni conoscenza.
Lei è il roveto del prodigio in cui abitò la fiamma; in lei abitò il fuoco bruciante per tre mesi più sei.
Portava nel suo grembo il fuoco e lo esaltava nella propria dimora: lo spirito aleggiava nella sua anima e tutta intera divenne davvero un cielo.
Non rimproverarmi, oh lettore, perché l’ho paragonata al cielo: infatti, io la ritengo essere nobile, eccelsa ed elevata più del cielo.
Il Signore è rimasto velato nel cielo per 6000 anni, e non ha salvato il genere umano se non abitando in lui.
La verga di Aronne (cf. Nm 17, 16-26) testimonia di lei che ha un figlio senza avere un uomo: Mosè lo attesta con il suo bastone (Es 17, 5-6), e la roccia con le sue acque che attestano ciò.
La verga produsse mandorle mentre era riposta sotto la tenda e, pur non essendo piantata nella terra, durò per lungo tempo e solo in seguito perì.
(Inno sulla Santa Vergine 9,5-20, tratto da Comunità di Bose (a cura di), Maria. Testi teologici e spirituale dal I al XX secolo, Milano, 2012, 444-445)
[1] L’autore fa riferimento agli Evangelisti.