N.06
Novembre/Dicembre 2006

Come accogliere e annunciare insieme la vocazione alla vita consacrata nella Chiesa locale?

Vi saluto tutti nel nome del Signore Gesù e vi porto il saluto di M. Teresa Simionato, Presidente dell’USMI nazionale. Ho accolto con gioial’invito ad iniziare questo Forum illustrando il tema e l’obiettivo di quest’anno.

 

IL TEMA

Come accogliere e annunciare insieme la vocazione alla vita consacrata nella Chiesa locale?

L’accento va posto anzitutto sull’insieme, che significa cercare le modalità più ecclesiali e comunionali per annunciare Colui che chiama alla pienezza della vita. La chiamata a seguire Cristo è chiamata alla comunione ecclesiale e perciò va mediata anzitutto dalla testimonianza ecclesiale dei battezzati. Quali attenzio­ni avere per agire insieme? Come farlo in modo che sia veramente efficace?

Una prima risposta ci viene data dall’Istruzione Ripartire da Cristo: «Ambiente privilegiato per questo annuncio vocazionale è la Chiesa loca­le. Qui tutti i ministeri e i carismi esprimono la loro reciprocità e realizzano insieme la comunione nell’unico Spirito di Cristo e la molteplicità delle sue manifestazioni. La presenza attiva delle persone consacrate aiuterà le comunità cristiane a diventare laboratori della fede, luoghi di ricerca, di riflessione e di incontro, di comunione e di servizio apostolico, in cui tutti si sentono partecipi nell’edificazione del Regno di Dio in mezzo agli uomini. Si crea così il clima caratteristico della Chiesa come famiglia di Dio, un ambiente che facilita la vicendevole conoscenza, la condivisione e il contagio dei valori propri che sono all’origine della scelta di donare tutta la propria vita alla causa del Regno.

La pastorale delle vocazioni richiede di sviluppare nuove e più profonde capacità di incontro; di offrire con la testimonianza della vita caratteristici itine­rari di sequela di Cristo e di santità; di annunciare, con forza e chiarezza, la libertà che sgorga da una vita povera, che ha come unico tesoro il Regno di Dio; la profondità dell’amore di un’esistenza casta, che vuol avere un solo cuore: quel­lo di Cristo; la forza di santificazione e rinnovamento racchiusa in una vita obbe­diente, che ha un unico orizzonte: dare compimento alla volontà di Dio per la salvezza del mondo. Oggi la promozione delle vocazioni è un compito che non può essere delegato in maniera esclusiva ad alcuni specialisti, né separato da una vera e propria pastorale giovanile che faccia sentire soprattutto l’amore concreto di Cristo verso i giovani. Ogni comunità e tutti i membri dell’Istituto sono chiamati a farsi carico, nel contatto con i giovani, di una pedagogia evan­gelica della sequela di Cristo e della trasmissione del carisma; i giovani attendo­no chi sappia proporre stili di vita autenticamente evangelici e cammini di iniziazione ai grandi valori spirituali della vita umana e cristiana. Sono quindi le persone consacrate che devono riscoprire l’arte pedagogica di suscitare e libe­rare le domande profonde, troppo spesso nascoste nel cuore della persona, dei giovani in particolare. Esse, accompagnando il cammino di discernimento vocazionale, saranno provocate a mostrare la sorgente della loro identità. Co­municare la propria esperienza di vita è sempre un farne memoria ed un rivede­re quella luce che ha guidato la personale scelta vocazionale»[1].

Una seconda risposta la troviamo nel documento finale del Congresso sulle vocazioni in Europa, del maggio 2007, Nuove vocazioni per una Nuova Europa, che il prossimo anno compirà 10 anni. Questo documento pone l’accento sui cam­mini pastorali che ogni Chiesa locale e ogni parrocchia è chiamata a compiere per trasmettere la fede alle nuove generazioni, ponendo le condizioni favorevoli all’ascolto della chiamata di Dio: «Il Congresso europeo si è proposto un obiettivo, tra gli altri: portare la pasto­rale vocazionale nel vivo delle comunità cristiane parrocchiali, là dove la gente vive e dove i giovani in particolare sono coinvolti più o meno significativamente in un’esperienza di fede. Si tratta di far uscire la pastorale vocazionale dalla cerchia degli addetti ai lavori per raggiungere i solchi periferici della Chiesa particolare. Ma nel contempo è ormai urgente superare la fase esperienzialistica, in atto in mol­te Chiese d’Europa, per passare a veri cammini pastorali, innestati nel tessuto delle comunità cristiane, valorizzando ciò che è già vocazionalmente eloquente»[2]. Il documento ci ricorda inoltre l’importanza di assumere la liturgia come il luogo privilegiato per un’adeguata mistagogia della fede e di incontro con il Signo­re nei suoi misteri, richiamando poi alcuni luoghi-simbolo, presenti nelle Chiese locali, che possono offrire spazi in cui le “cose ultime” hanno il primato su quelle “penultime” e perciò esprimono in modo affascinante il mistero della vita cristiana: «Particolare attenzione va all’anno liturgico, che è una scuola permanente di fede, in cui ogni credente, aiutato dallo Spirito Santo, è chiamato a crescere secon­do Gesù. Dall’Avvento, tempo della speranza, alla Pentecoste e al Tempo Ordina­rio, il cammino ciclicamente ricorrente dell’anno liturgico celebra e prospetta un modello di persona chiamata a misurarsi sul mistero di Gesù, il “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8, 29)».

La liturgia significa e indica ad un tempo l’espressione, l’origine e l’alimento di ogni vocazione e ministero nella Chiesa. Nelle celebrazioni liturgiche si fa memoria di quell’agire di Dio per Cristo nello Spirito a cui rimandano tutte le dinamiche vitali del cristiano. Nella liturgia, culminante con l’Eucaristia, si espri­me la vocazione-missione della Chiesa e di ogni credente in tutta la sua pienezza.

Dalla liturgia viene sempre un appello vocazionale per chi partecipa. Ogni celebrazione è un evento vocazionale. Nel mistero celebrato il credente non può non riconoscere la propria personale vocazione, non può non udire la voce del Padre che nel Figlio, per la potenza dello Spirito, lo chiama a donarsi a sua volta per la salvezza del mondo. L’antropologia che l’anno liturgico porta ad esplorare è un disegno autenticamente vocazionale, che sollecita ogni cristiano a rispondere sem­pre di più alla chiamata, per una precisa e personale missione nella storia. Di qui l’attenzione agli itinerari quotidiani in cui ogni comunità cristiana è coinvolta. La sapienza pastorale chiede in modo particolare ai pastori, guide delle comunità cristiane, una cura puntuale e un attento discernimento per far parlare i segni liturgici, i vissuti dell’esperienza di fede; perché è dalla presenza di Cristo, nei tempi ordinari dell’uomo, che vengono gli appelli vocazionali dello Spirito.

I luoghi-segno della vocazionalità dell’esistenza in una Chiesa particolare sono le comunità monastiche, testimoni del volto orante della comunità eccle­siale, le comunità religiose apostoliche e le fraternità degli istituti secolari. In un contesto culturale fortemente curvo sulle cose penultime e immedia­te, attraversato dal vento gelido dell’individualismo, le comunità oranti ed apostoliche aprono a dimensioni vere di vita autenticamente cristiana, soprat­tutto per le ultime generazioni chiaramente più attente ai segni che alle parole[3]. Naturalmente uno di questi luoghi-segno è anche il Seminario diocesano.

 

L’OBIETTIVO

Fare in modo che la ricchezza carismatica di ciascun Istituto diventi patrimonio della Chiesa locale

Nell’obiettivo si vuole evidenziare particolarmente l’annuncio delle voca­zioni di speciale consacrazione, cioè le vocazioni alla vita religiosa, allo scopo di rendere palese patrimonio della Chiesa locale la bellezza e la ricchezza spiri­tuale di ogni carisma, dono dello Spirito. Per far questo occorre anche un coinvolgimento dei consacrati nella pastorale vocazionale. Questo obiettivo lascia trasparire la preoccupazione per una certa trascuratez­za al riguardo, sia da parte degli Istituti che da parte dei presbiteri e dei laici delle Chiese locali.

Tale trascuratezza potrebbe avere la sua radice nella mancata dimensione ec­clesiale della pastorale vocazionale. Qui va subito detto che la motivazione di tale obiettivo sta proprio nell’ecclesiologia di comunione, cioè nel riconoscere la Chie­sa come mistero generato dalla comunione trinitaria e per questo capace di acco­gliere ogni vocazione come dono fatto dallo Spirito a tutta la Chiesa.

Questa dimensione teologale ed ecclesiale aiuta tutti i fedeli, e specialmente gli operatori dei Centri Diocesani Vocazionali, a ricordare che non ci sono vocazio­ni di proprietà privata, ad incremento di un singolo Istituto, ma che ogni vocazione è nella Chiesa, è della Chiesa, per la salvezza dell’umanità, a gloria della Trinità Santa. Questo ci consente di assecondare l’opera dello Spirito senza imprigionarlo nelle nostre corte vedute. È interesse di tutti che ogni dono dello Spirito abbia continuità nella Chiesa, secondo la volontà di Dio. Spetta solo a lui stabilire la durata di un carisma; a noi compete vigilare, perché la sua estinzione non sia conseguenza della nostra trascu­ratezza spirituale e pastorale.

Circa i nostri sforzi ecclesiali per dissodare il terreno giovanile e renderlo recettivo ai doni dello Spirito e alle chiamate del Padre e seguire il suo Figlio Gesù più da vicino, è chiaro che essi vanno fondati sull’iniziativa di Dio e sulla misura alta della vita cristiana nelle nostre parrocchie e nelle nostre diocesi. A questo pro­posito può essere utile fare memoria della Chiesa delle origini.

 

La testimonianza della Chiesa degli Atti degli Apostoli come norma di vita cristiana

Mi pare che per affrontare correttamente il tema della pastorale vocazionale occorra ritornare agli Atti degli Apostoli, che è come dire “tornare a Gerusalemme”. Questa espressione biblica, che troviamo negli Atti degli Apo­stoli, si riferisce in particolare alla missione dell’apostolo Paolo, che dopo alcu­ni anni, in cui si è dedicato all’evangelizzazione dei pagani, si rende conto che nonostante le molte adesioni e le fondazioni di comunità cristiane molto vivaci, qualcosa non ha funzionato, perché permane una certa ambiguità nell’adesione a Cristo e al suo Vangelo ed anche le comunità rischiano di ripiegarsi su problematiche interne o di rimanere ancora invischiate nella mentalità pagana. È un po’ la nostra situazione, che è poi la situazione che ritorna periodicamente nel cammino della Chiesa.

Paolo allora sente il bisogno di un ritorno al principio, un ritorno a Gerusalemme[4]. Per dirla con p. Pino Stancari: Gerusalemme è la sintesi sacra­mentale di tutto ciò che Dio ha voluto porre all’origine della vocazione cristiana. Per noi, come per l’Apostolo, c’è un profondo bisogno di ricomprendere l’Evangelo. Ormai molte persone, pastori e laici, religiosi e membri di gruppi, di associazioni, nelle chiese locali sentono l’esigenza di un percorso che ricominci da un ascolto della Parola di Dio. Il tema del prossimo Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà esattamente fra due anni, è emblematico a questo riguardo: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Papa Benedetto invita tutta la Chiesa a ripartire dell’ascolto della Parola.

Abbiamo la necessità di riflettere e di verificare le scelte di questi ultimi decenni; abbiamo bisogno di ricomprendere in profondità tutte le vocazioni all’interno della vita cristiana, perché le vocazioni cristiane sono interne l’una all’altra. Occorre ritornare al fondamento e al principio della vita cristiana, cioè agli eventi di Gerusalemme, ricordando che nei confronti della vocazione cristia­na noi siamo dei debitori, per un evento posto da Dio gratuitamente all’inizio della Chiesa e all’inizio della nostra vita cristiana.

Non ci sono altri modi con i quali ha avuto inizio la nostra vocazione, se non nell’esperienza di essere debitori nei confronti di un Altro che ha fatto una scelta, che ha preso l’iniziativa. Spesso nel nostro linguaggio, ma anche nella nostra mentalità, rimane l’equivoco di sentirci i protagonisti della nostra vocazione, come se fossimo noi ad aver scelto. Questo equivoco complica poi tutta la prospettiva e non ricordiamo più il momento in cui Dio ci ha toccato; o peggio ancora, ci auto-chiamiamo e a fonda­mento della nostra vocazione non c’è un vero incontro con Cristo, che ci ha fatto sperimentare la salvezza.

L’unica scelta che c’è all’inizio di una vocazione cristiana è quella di lasciarsi amare, di lasciarsi avvolgere dall’amore e vedere in che modo ciascuno può maggior­mente lasciarsi avvolgere dall’Amore: ho accettato di essere amato, io che non avevo motivi per essere amato, perciò sono costitutivamente un debitore rispetto al Signore. Se guardiamo a ciò che è accaduto all’inizio della Chiesa, possiamo con­statare come le vocazioni nella primitiva comunità cristiana siano palesemente il frutto della Pasqua del Signore, che ha donato lo Spirito senza misura. E nella Chiesa lo Spirito rende apostoli, profeti e dottori (At13,1) o vergini. Gli Atti degli Apostoli ci ricordano, infatti, che Filippo, uno dei sette diaconi, detto l’evangelista, aveva quattro figlie vergini, che avevano il dono della profezia (At 21,9). Oppure che una certa Lidia di Tiàtira[5], venditrice di porpora, accoglie nella sua casa la prima Chiesa d’Occidente, la prima domus ecclesiae in Europa. E poi Aquila e Priscilla, che avendo già abbracciato il Vangelo a Roma e poi, fuoriu­sciti a causa della persecuzione dell’imperatore Claudio, si recano a Corinto, dove incontrano l’Apostolo Paolo, diventando suoi compagni nell’annuncio del Vangelo e nel lavoro quotidiano[6]. E si potrebbe continuare a lungo nel con­templare l’opera dello Spirito che suscita sempre nuove vocazioni.

 

La grazia della koinonia tra pastori, religiosi e laici

Un dono emblematico dello Spirito è la santa koinonia, segno dell’autenticità della vita cristiana. Basta leggere le lettere di S. Ignazio di Antiochia per cogliere questa autenticità e la cura dell’epìscopo perché nella Chiesa si resti fedeli a questo dono. Lo Spirito ci rende icona della vocazione battesimale: tra tutti i battezzati, i religiosi sono degli appassionati della grazia del Battesimo; sono icona traspa­rente della vita nuova della Pasqua che è iniziata in noi con il Battesimo.

«Il religioso è un “teoforo dello Spirito” che si appassiona al mistero che già si è compiuto dentro di lui: è il mistero della creazione e della ricreazione nel sacra­mento della rinascita battesimale, del cammino verso l’amore sponsale, verso la pie­na somiglianza di Colui che ci ha amati per primo, verso la Gerusalemme celeste, alla quale si abitua, direbbe Ireneo di Lione, pian piano, attraverso la partecipazione alla liturgia santa e l’occhio nuovo che nasce da essa, capace di scoprire le presenze invisibili di angeli e santi e di intrattenersi con loro, sottraendo il mondo alla sua “mondanità” e gustandone la capacità di essere rivelazione di Dio, luogo della sua presenza e dunque, come l’Eden, giardino dove Dio e la creatura si intrattengono passeggiando insieme nella brezza della sera. Ogni destinazione pastorale, caritativa o sociale non è il senso della vita religiosa, ma la conseguenza dell’unione con Cri­sto, e si manifesta per grazia man mano che questa cresce»[7].

I consacrati sono un’icona vivente del Battesimo, un richiamo alla sua maturazione sino alla santità e alle sue esigenze radicali. I giovani che cercano il Signore, e sono affascinati dalla bellezza di Cristo, saranno attratti da una vita “bella”, cioè una vita degna di essere vissuta in pienezza.

 

Quali apostoli per il futuro dell’evangelizzazione e della vita cristiana

Pensando al futuro dell’evangelizzazione ci rendiamo conto che abbiamo tutti bisogno di essere rieducati alla vita, alla pienezza della vita. Spesso ci manca la gioia: pare che non sappiamo più vivere, perché non conosciamo e non frequentiamo assi­duamente la fonte della Vita che è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale chiama tutti a seguire il Figlio suo, mediante l’opera dello Spirito, e ad alcuni, apostoli per vocazione, affida il compito di esprimere la radicalità della vita cristiana. Quali apostoli stiamo preparando per questo tempo e per il prossimo futuro? Non possiamo accontentarci di creature deboluccie, che non reggono al minimo sacri­ficio e a cui Antonio il Grande direbbe di preparare un brodino[8], mentre noi oggi li mandiamo dallo psicologo. Ve lo immaginate uno stuolo di apostoli di Cristo sul lettino dello psicologo? Credo di no. Però sta succedendo così. Allora da parte nostra, in ogni Chiesa locale, dobbiamo rafforzare la persona sin dalle radici della sua fede, perché solo così potrà portare le fragilità e le ferite della vita, come un’opportunità per stringersi di più a Cristo Salvatore ed essere testimone credibile della sua salvezza.

 

Note

[1] Ripartire da Cristo, Istruzione della CIVCSVA, 2002, nn. 16-17.

[2] Cf Documento finale del Congresso sulle vocazioni in Europa, 2007, Nuove vocazioni per una Nuova Europa, n 29.

[3] Ibidem.

[4] Cf At 19, 21.

[5] Cf At 16, 11-15.

[6] Cf At 18, 1-3. 18.

[7] Cf M. TERESA SIMIONATO, Atti Assemblea Nazionale Usmi 2006, p. 17 e ss.

[8] Cf ANTONIO IL GRANDE, Vita e detti dei padri del deserto, n. 19 p. 86, Città Nuova Editrice, 2005. 

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