Obbedire
«Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell’uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall’obbedienza a Dio. L’obbedienza non dovrebbe più esserci, l’uomo è libero, è autonomo: nient’altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l’uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un’istanza accessibile all’uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l’ultima parola alla quale dobbiamo obbedire» (Benedetto XVI, Omelia, 15 aprile 2010).
Una nota della Bibbia di Gerusalemme, riferita alla guarigione da parte di Gesù del servo di un centurione (cf. Mt 8,10), insegna che «la fede è un atto difficile di umiltà perché comporta il sacrificio del proprio essere per il quale l’uomo rinuncia a fare affidamento sulle proprie forze per rimettersi alle parole e alla potenza di colui nel quale crede». Forse può apparire strano accostare fede e obbedienza ma alla radice della vita spirituale e della crescita della vocazione cristiana è possibile riconoscere un parallelo tra le virtù teologali e i consigli evangelici. Se le virtù teologali «sono il pegno e la presenza dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano […] infuse da Dio nell’anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli» (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1813), i consigli evangelici sono «un modo speciale di favorire la santità» (cf. Idem, 1986). La santità è il dono di Dio, la sua vita riversata nel cuore dell’uomo (cf. Rm 5,5) dal quale si manifesta nella forma della vita di Gesù.
Ecco, allora che rimane più chiaro come l’obbedienza trovi la sua radice nella fede, in quella fiducia riposta in Dio che sempre parte dall’aver riconosciuto e riconoscere il suo agire nella storia degli uomini, nella storia di tutti e nella vicenda di ciascuno. Così, anche ogni vocazione trova la sua radice nell’obbedienza, in quella donazione libera e liberante che permette di dedicare la vita a quanto di più vero e promettente è stato intuito, in risposta ad un appello ricevuto. Ogni chiamata domanda quella disponibilità radicale racchiusa nel suo medesimo desiderio, che contiene in nuce il compimento della propria vera volontà, che è sempre in consonanza con quella del Padre (cf. Lc 22,42).