N.06
Novembre/Dicembre 2003

Vita consacrata: per una spiritualità incarnata sul territorio a favore di una nuova cultura vocazionale

Il territorio – nella sua accezione geografica, soprattutto antropologica e culturale – è il “giardino” da Dio affidato all’uomo. I consacrati sono chiamati oggi a vivere la propria vocazione e missione nel “giardino di Dio” che è la Chiesa locale, porzione di popolo di Dio ove mettere a frutto il proprio carisma. Con la consapevolezza che i consacrati per vocazione e missione sono chiamati ad essere: evangelicamente efficaci (“forti nella tribolazione” sotto la croce), ma non efficienti; gratuiti (“ad maiorem Dei gloriam”– S. Ignazio), ma non in cerca di autogratificazioni; pronti a marcire (“il chicco di grano”), ma non ad essere serviti. Nella logica e nello spirito dell’“incarnazione” i consacrati non coltivano una “spiritualità senza territorio”: donati al territorio, amano il territorio, la gente che in esso vive, facendosi quotidianamente discepoli del Signore che nel nostro tempo passa “beneficando e sanando tutti”. La “spiritualità del territorio” interpella i consacrati e le comunità consacrate in relazioni nuove.

 

Lo stile dell’amore

Pregare, “pregare insieme”, è amare

Si cresce soltanto in una relazione, in risposta ad un appello, accordando la propria vita ad una Parola. “Colui che non ha relazioni vere non crescerà… Ciascuno di noi riproduce nella sua relazione con Dio le caratteristiche della relazione con gli altri (possessività o oblatività, aggressività o fiducia…)” (M. RONDET – C. VIARD, La crescita spirituale, EDB Bologna 1988, pag. 15).

 

Discernere, “discernere insieme”, è amare

Le parole degli uomini vedono ciò che vogliono: la Parola di Dio è lucida e sincera ! Non si possono discernere i segni di Dio nella storia, quindi dare risposta di amore al territorio amando le ferite della gente, senza un ascolto serio, attento e impegnato della Parola da parte delle nostre comunità consacrate. È il servizio del “discernimento comunitario”.

 

“Sentire” la Chiesa, “sentire” insieme, è amare

“Sentire cum ecclesia e in ecclesia” per “sentire ecclesiam”. Ovvero “sentire la Chiesa” nella Chiesa locale, amando il suo territorio, il suo popolo sino al punto di identificarsi con esso: la propria cultura, religiosità, fede! Amare così la Chiesa significa avvicinarsi al territorio con molto rispetto, umiltà e intelligenza. Essenzialmente costruendo relazioni di amore, amando le “ferite” di un popolo e impegnandoci a “guarirle”. Il filone della gratuità è uno dei più fecondi nell’attuale ricerca di rinnovamento della vita consacrata.

 

 

Lo “stile della comunione”

Conoscere, conoscere insieme, è comunione

Conoscere insieme “i segni dei tempi nuovi” sul territorio: le gioie, le fatiche, le speranze della gente. Riconoscere, in particolare, le “ferite” del territorio come segni dei tempi nuovi! Conoscere questi “segni dei tempi”, evitando una valutazione meritocratica ovvero un giudizio che non sia quello della misericordia di Dio, per condividerli sino in fondo, costi quel che costi, è comunione ecclesiale piena. Sul territorio i Consacrati operatori di misericordia.

 

Programmare, programmare insieme, è comunione

Condividendo la fatica del pensare e del pensare insieme: è l”intelligenza della fede condivisa! Il programma o progetto emerso dal “pensare insieme”, nel quale si fondono insieme i “punti di vista” ovvero i doni e le ricchezze individuali, sono la risposta più vera ai bisogni del territorio. È vivere la propria personale partecipazione alla vita della Chiesa senza autosufficienze.

 

Lavorare, lavorare insieme, è comunione

Siamo tutti, nessuno escluso, dentro i problemi di un popolo, immersi dentro le sfide del nostro tempo. I consacrati parlano il linguaggio, quindi la testimonianza della comunità: la relazione con il territorio si costruisce insieme come comunità, come “famiglia”. Sul territorio, consacrati e fedeli laici insieme. Promuovendo le vocazioni laicali sul territorio. Con una attenzione particolare a passare il “testimone” ai laici, quando la comunità religiosa viene meno; non un passaggio strumentale, ma come condivisione di un carisma, in vista della edificazione di una comunità cristiana autentica.

Concludendo: lo “stile dell’amore” e lo “stile della comunione” è, a ben pensare, il principio e lo “stile dell’incarnazione”: l’incorporazione attiva della vita consacrata nella vita del popolo di Dio è sorgente e matrice di una nuova cultura vocazionale.

Le famiglie consacrate segneranno profondamente la vita della Chiesa non per le loro “opere”, ma per il progetto di vita spirituale ed evangelica che sapranno esprimere: “è l’unico modo che la vita consacrata ha per esserci nel futuro, perché sopravvivranno quegli (ordini, congregazioni) che sapranno agganciare in modo significativo la ricerca spirituale dell’uomo di oggi” (R. COZZA, I religiosi insieme nel territorio, in AA.VV., Perché porti più frutto, EDB, p. 159).

In frontiera: là dove non va nessuno! Con l’unica motivazione di “fare bene il bene” (D. Luigi Monza) accanto agli ultimi nel territorio.