N.02
Marzo/Aprile 2024

Risvegli

«Il cuore è dentro di noi, ma vi è anche un pellegrinaggio per arrivare al cuore, talvolta lungo, molto lungo. Tale pellegrinaggio costa molta fatica ma è il più prezioso agli occhi del Signore, è il più fruttuoso. Voglia il Signore concederci la grazia di risvegliare il cuore!» (Teofane il Recluso). 

Chi di noi non ricorda i risvegli del mattino della propria infanzia? Veniva qualcuno a immettere dolcemente luce nella stanza e ci chiamava per nome, forse più volte. Il nostro era un risveglio lento ma non necessariamente pigro: profumi di casa e scenari di gioco ci aprivano la giornata e così l’umore, i pensieri e la parola prendevano il via. Sono rimasti quelli, nella nostra memoria, i risvegli più dolci, persi presto con l’avanzare dell’età e, soprattutto, della fretta di raggiungere puntuali le destinazioni del mattino: la scuola, l’università… l’ufficio.

Ebbene il risveglio del cuore ha a che fare con quella lentezza antica di chi ha bisogno di tempo o di concedersi tempo per accogliere la luce, tutta la luce e attendere di riascoltare il proprio nome, come un appello della vita cui rispondere con consapevolezza “eccomi!”.

Accettare di stare al passo lento dell’alba sembra una sfida oggi persa in partenza. Nella fretta di capire ogni cosa e per ovviare al lungo tempo di osservazione di un processo, abbiamo inventato i video time-lapse che, seppure interessanti, in pochi secondi sono in grado di mostrare l’evoluzione di tutto: dallo sbocciare di un fiore alla metamorfosi di una farfalla, dalla costruzione di un formicaio gigante alla rivoluzione del cielo notturno allo sviluppo di un embrione. Tutte cose che, in verità, richiedono tempo. 

La preghiera e il discernimento vorrebbero riconsegnarci, invece, il gusto di ogni singolo fotogramma di vita: solo decelerando avremo l’occasione di assaporare e far assaporare ogni momento della nostra avventura esistenziale. 

Ricordiamo qui una importante riflessione di Benedetto XVI condivisa con i monaci della Certosa di Serra san Bruno il 9 ottobre 2011, già tredici anni fa: «Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte. Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei contesti urbani più sviluppati, ma oggi essa ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine».

Non possiamo non tenere conto di questa mutazione che sta coinvolgendo tutti e che, imponendoci di vivere a grandi velocità emotive sotto stimoli continui e molteplici, ci impedisce quel “rimanere” dal sapore evangelico, che è il vero segreto per far germogliare e crescere la relazione con il Dio vivo e vero (CCC 2558): la preghiera.

“Insegnaci il senso del tempo, rivelaci l’ora di Cristo” ci fa cantare un inno della Liturgia delle Ore. Riguadagnare i giovani al senso del tempo, al ritmo lento della crescita e del cambiamento del cuore, a quella pazienza sapiente che «nella conversione e nella calma» (Is 30,15) regala la libertà e la decisione della coscienza. 

Gesù ci insegna proprio a far questo: dona con calma, generosità e attenzione il suo tempo alla donna samaritana sopraggiunta al pozzo per attingere acqua (cf. Gv 4). Non si distrare dalla conversazione, fa domande, ascolta questioni, si lascia conoscere e non ha fretta di arrivare alle conclusioni. Siede presso il pozzo, rimane lì dove è la donna, la disseta e si disseta e attende che il tempo per lei si compia, che comprenda cosa è più bello fare della sua vita. Risveglia il suo cuore accogliendo le sue inquietudini, i suoi fallimenti, la narrazione della sua storia.

Ecco il tempo lento della preghiera; ecco da dove cominciare per insegnare ai giovani a pregare; ecco «la meraviglia della preghiera si rivela proprio là, presso i pozzi dove andiamo a cercare la nostra acqua: là Cristo viene ad incontrare ogni essere umano; egli ci cerca per primo ed è lui che ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda sale dalle profondità di Dio che ci desidera. Che lo sappiamo o no, la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui» (CCC 2560)!

Sedersi, conversare senza la fretta delle conclusioni; essere presenti senza distrazioni – con lo smartphone spento per intenderci – abbandonare la pretesa di capire tutto e subito; attendere che la sete si manifesti e rinunciare all’ansia di togliere ogni arsura dintorno quasi fossimo noi la sorgente che disseta; lasciare che il tempo del risveglio del cuore sia lento, progressivo e libero.

Ecco cosa dovrebbero chiedere coloro che sono chiamati ad accompagnare le vocazioni: “Signore, concedici la grazia di risvegliare i cuori!”.