N.01
Gennaio/Febbraio 1999

Fate questo in memoria di me. Eucaristia e fedeltà

Lo stretto rapporto che unisce Eucaristia e fedeltà affonda le sue radici nelle tradizioni pasquali dell’uno e dell’altro Testamento a motivo del significato di anámnêsis-memoriale. L’Eucaristia è il memoriale fedele di Cristo Risorto presso il Padre, ma è anche il sacramento che permette alla Chiesa di essere fedele al suo Signore nell’attesa del suo ritorno. L’Eucaristia resta il sacramento della fedeltà nella comunità, anzi essa stessa genera e sostiene la fedeltà dei credenti. Essa è il principio dell’esistenza di una comunità cristiana fedele. Una fedeltà che non ammette tradimenti, che richiama continuamente a conversione, che condanna ogni devianza. Una fedeltà che si dilata missionariamente nell’impegno per la salvezza universale.

 

Il memoriale-anámnêsis come segno di fedeltà

L’ordine lasciato da Cristo ai suoi discepoli di celebrare l’Eucaristia finché egli venga, ci viene riferito una volta da Luca (Lc 22,19: Fate questo come “memoriale” di me) e due volte dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 11,24.25). Questo comandamento si ricollega strettamente alle tradizioni pasquali della prima alleanza. Il termine ebraico zikkaron, tipico della liturgia pasquale giudaica (Es 12,14), fu tradotto dai LXX con anámnêsis; ed è proprio questo termine che fu usato da Gesù nell’ultima Cena quando volle che i suoi continuassero a fare quello che lui aveva fatto. Non un semplice ricordo di tipo affettivo-psicologico, ma un “segno” concreto e visibile, quindi indimenticabile, frutto della fedeltà di colui che ricorda il suo amore di generazione in generazione[1].

La celebrazione pasquale di questo rito memoriale ordinato da Dio a Mosè (Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne: Es 12,14), permetteva ogni anno a Israele di rivivere, nella liturgia, la fedeltà del Signore per il suo popolo; allo stesso tempo era anche un segno della fedeltà e del ringraziamento di tutto il popolo per quanto il Signore aveva fatto e continuava a fare. Infatti il capofamiglia alzando la coppa della benedizione e recitando il Salmo 116 richiamava come presente la liberazione passata e supplicava il Signore di voler assicurare per l’oggi e per il domani il favore al suo popolo compiendo la salvezza e inviando il Messia (per questo motivo nella cena pasquale si teneva un posto libero a tavola e la porta aperta: il Messia non doveva attendere). Dio è ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6).

Come la cena pasquale ebraica, cosi anche la celebrazione eucaristica-pasquale cristiana è essenzialmente un atto di fedeltà: fedeltà di Cristo che continua ad attualizzare nell’oggi la liberazione compiuta nella sua pasqua di morte-risurrezione; fedeltà della Chiesa che ogni volta è chiamata a fare memoriale di questa pasqua per renderla attuale-presente-efficace qui per noi oggi nell’attesa della venuta ultima del Signore.

Questo “memoriale” non è pura rievocazione. Per l’azione potente dello Spirito, in esso il dono della salvezza si fa evento. L’unico sacrificio della croce, posto una volta per sempre (Eb 10,10) al vertice della storia umana, si fa presente negli umili segni del pane e del vino. Il “memoriale” è dunque legato alla storia di ieri, ma con la sua efficacia ne fa l’oggi della nostra salvezza, mentre ci protende verso il domani che speriamo ed attendiamo.

 

Un cuore solo e un’anima sola

Secondo il celebre sommario di Atti 2,42, la prima comunità cristiana è così descritta: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Accoglienza della Parola, frazione del pane, in un clima di preghiera, con la presenza dell’apostolo, sono il fondamento della comunità: di lì sgorga l’unione fraterna dei cuori. La fedeltà a questo cammino di fede, che segna l’esistenza della Chiesa, si manifesta con evidenza e si attua nella celebrazione eucaristica. Essa diviene così fonte e culmine della vita della Chiesa e sorgente perenne da cui si alimenta la comunione. 

Per questo la comunità degli Atti degli apostoli ha esercitato sempre un fascino e un’attrazione irresistibile. E ha conosciuto non solo una forte coesione al suo interno – un cuor solo e un’anima sola (At 4,32) – ma anche una meravigliosa espansione missionaria. In essa davvero la Parola ha compiuto la sua corsa (cfr. 2 Ts 3,1; cfr. anche At 1,8; 13,47). Quella fecondità apostolica ha le sue radici nel “pane spezzato” e per mezzo del pane consumato si innesta nella potenza salvifica del mistero di Cristo. È su questi pilastri che si fonda la comunione ecclesiale.

Essendo il sacramento efficace della reciproca fedeltà di amore tra Cristo e la Chiesa, l’Eucaristia deve essere il centro e il vertice di tutta la vita sacramentale, per mezzo della quale ogni cristiano riceve la forza salvifica della redenzione. I Padri hanno espresso questa verità essenziale ed esistenziale dicendo che la Chiesa celebra l’Eucaristia e l’Eucaristia costruisce la Chiesa, e la costruisce come autentica comunità del popolo di Dio, come assemblea dei fedeli, contrassegnata dallo stesso carattere di unità, di cui furono partecipi gli apostoli ed i primi discepoli del Signore. L’Eucaristia costruisce sempre nuovamente questa comunità e unità; sempre la costruisce e la rigenera sulla base del sacrificio di Cristo stesso, perché è memoriale efficace della sua morte sulla croce, a prezzo della quale siamo stati redenti da lui. La Chiesa vive dell’Eucaristia, vive della pienezza di questo sacramento. 

Questo mondo invecchiato, che non crede più alla vita, all’amore, alla fedeltà, al perdono, ha bisogno di segni che gli rivelino l’amore autentico, la fedeltà anche nella croce, la gioia della vita, e la forza del perdono; bisogna insegnargli di nuovo il valore di una parola donata e mantenuta, di una vita offerta. Potranno le nostre celebrazioni eucaristiche essere segno credibile ed efficace di questa fedeltà del Dio vivo verso i suoi figli? Lo saranno nella misura in cui potranno fare di noi che vi partecipiamo, una comunità di credenti con un cuore solo e un’anima sola. L’Eucaristia deve essere forza che plasma la comunità e ne accresce il potenziale di amore: non emargina nessuno e neppure si emargina, staccandosi dagli altri.

 

Ciascuno esamini se stesso (1 Cor 11,28).

L’Eucaristia è il sacramento della fedeltà nella comunità: genera e sostiene la fedeltà dei credenti. Allo stesso tempo, però, l’Eucaristia è anche denuncia di ogni forma di infedeltà. Il memoriale eucaristico ha il compito di tenerci desti nell’attesa della venuta ultima del Signore Risorto. Anche se ritarda, le vergini fedeli devono tenere le lampade accese ed essere pronte ad entrare nel convito nuziale appena lo Sposo venga (cfr. Mt 25,1-13). Stessa cosa per i servi fedeli che attendono il ritorno del padrone: non possono abbandonarsi a dissipazioni (Mt 24,45-51). 

L’Eucaristia, in quanto azione di grazie, permette alla Chiesa-Sposa di restare sveglia e fedele, di vigilare attentamente sulla propria condotta, profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi; ricolma dello Spirito, deve intrattenersi con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo (Ef 5,15-20; Col 3,16-17).

L’Eucaristia, in quanto cibo, è il nutrimento del popolo che fa esodo verso la casa del Padre: factus cibus viatorum. Come la manna nel deserto (cfr. Dt 8,3), come il cibo inviato da Dio ad Elia (cfr. 1 Re 19,7), così l’Eucaristia è il vero pane disceso dal cielo perché chi lo mangia non muoia, ma abbia la vita e la risurrezione. l’Eucaristia è il viatico per coloro che sono in cammino. È l’incontro con Colui che è la Verità e la Vita, e nello stesso tempo la Via (cfr. Gv 14,6).

Essendo nutrimento per il cammino, essa prepara i tempi in cui essa stessa non sarà più necessaria perché “noi lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2). Lungi dal portarci a disprezzare il tempo che passa, essa ci permette di fare esperienza dell’eterno nel tempo, ma nello stesso tempo ci impedisce di affondare nel presente ricordandoci la nostra condizione di pellegrini su questa terra (cfr. Eb 11,9-11; Fil 3,20; 1 Pt 2,11). Popolo verso la Città di Dio, verso la Gerusalemme celeste, in cui noi saremo ricolmati del dono di Dio. Questa prospettiva escatologica dell’Eucaristia è un forte richiamo alla fedeltà: ci preserva da ogni attaccamento a ciò che è effimero “Passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7,31), ci aiuta a distinguere l’accessorio dal principale, ci eleva dal contingente all’essenziale.

L’Eucaristia è il segno supremo della fedeltà di Dio per noi: Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno (Gv 6,39).  Allo stesso tempo deve essere anche il segno supremo della fedeltà nostra verso Dio e verso i fratelli. Essendo il corpo dato e il sangue versato per la remissione dei peccati, l’Eucaristia purifica e preserva dal peccato, quindi ci permette di rimanere fedeli alla grazia battesimale. 

In quanto segno sacramentale della fedeltà, di Dio per noi e di noi verso Dio, l’Eucaristia è denuncia di ogni mancato riconoscimento del Corpo di Cristo: del suo Corpo eucaristico, del suo Corpo ecclesiale. Il rimprovero di san Paolo alla comunità di Corinto (cfr. 1 Cor 11, 17-34) sta proprio in questo voler disconoscere l’inseparabilità dell’unico corpo di Cristo. Come potranno pretendere di riconoscere Cristo nel pane eucaristico se non sono capaci di riconoscerlo nel suo corpo ecclesiale?[2]. Pertanto: ciascuno esamini se stesso, per non mangiare la propria condanna. La fedeltà al Corpo eucaristico esige inseparabilmente la stessa fedeltà anche verso il suo Corpo ecclesiale. Come è possibile dire di amare Dio che non si vede, se non siamo capaci di amare il prossimo che sta in mezzo a noi? (cfr. 1 Gv 4,20). Dio è fedele, ci ha amato per primo. L’Eucaristia è il segno di questo amore e nello stesso tempo è denuncia contro ogni infedeltà allo stesso amore.

 

L’Eucaristia, cammino di fedeltà

Nell’Eucaristia siamo ogni giorno convocati per seguire il Signore con donazione totale: per riconoscerlo nella Parola e nel pane spezzato, per accoglierlo nel mistero della fede. Ogni Eucaristia è un rinnovato invito al “discepolato”, cioè a stare alla sua scuola, per vivere con lui e testimoniare la sua reale presenza tra noi. Vivere la nostra vita come discepoli, vuol dire accettare lo “scandalo” della croce. Anche l’Eucaristia, che della gloria della croce è massima celebrazione, è scandalo da vivere. Il nostro radicarci nell’Eucaristia ci libera dalla logica dell’efficienza: mettendoci in comunione personale con il corpo e il sangue di Cristo, ci fa vivere la logica della croce e ci fa maturare per la risurrezione (cfr. Gv 6,54).

È qui la vera “sequela” di Cristo, liberata dai rischi dell’intimismo o del formalismo esteriore, diventata sottomissione al Padre e accoglienza del suo giudizio e del suo progetto sulla nostra vita, sulla storia, sull’ambiente, sugli uomini. Tale “sequela” è fatta di ascolto, di preghiera, di sacrificio, ed è presenza responsabile, incarnata nelle vicende del tempo ove solo si compie il cammino della santità, e di operosa attesa della venuta gloriosa del Signore. Giorno per giorno rispondiamo all’appello di Cristo con un cammino di fedeltà che trasforma tutta l’esistenza in luogo d’incontro col Signore e con i fratelli, e in offerta a lui gradita. Frutti di questa esistenza eucaristica quotidiana sono la fiducia, la libertà di spirito, l’impegno sereno a capire sempre più la realtà, il dialogo, la competenza nel lavoro, la gratuità, il perdono, la dedizione nei rapporti interpersonali, la verità verso se stessi. È questo modo di interpretare l’esistenza e di viverla che inserisce l’Eucaristia nella vita e trasforma la vita in permanente rendimento di grazie.

 

Fedeltà eucaristica come fedeltà missionaria

Gli Atti degli apostoli ci presentano una comunità che dall’Eucaristia trae le vocazioni e l’energia per la missione: “Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono” (At 13,2-3).

Ogni celebrazione eucaristica deve essere un avvenimento missionario per la comunità. Come Cristo, le nostre comunità devono compiere gesti e dire parole forti per liberare gli uomini del nostro tempo dagli idoli che ogni giorno costruiscono al posto di Dio e per convincerli che vera radice di ogni idolatria è il peccato. È da qui che si scatena la logica della civiltà della morte, che rischia di svilupparsi nella società moderna, segnandola drammaticamente. Se l’Eucaristia è segno di contraddizione, tale deve essere la Chiesa. Si tratta di andare contro corrente e di porre sui valori morali le premesse di un’organica cultura della vita. La presenza dei cristiani, laici soprattutto, là dove si consumano i grandi drammi del mondo di oggi, deve richiamare a tutti il coraggio della speranza che nasce dalla pasqua di Cristo. Là dove l’uomo soffre violenza, dove l’ingiustizia, la fame o la guerra sfigurano il volto dell’uomo e ne oscurano la piena vocazione nel cammino della storia, il cristiano deve dare ragione della sua speranza e la Chiesa deve mostrarsi segno di salvezza (cfr. LG 31).

L’Eucaristia è un segno povero e umile, ma ricco della potenza di Dio, capace di rinnovare in radice l’uomo e la sua vita. Analogamente la missione della Chiesa e del cristiano, povera nei mezzi, forse, e carica di debolezze e deficienze umane, quando è rivestita del dono di Cristo celebrato nel sacramento, sa tramutarsi in germe fecondo di nuova vita per tutti.

La tensione missionaria nell’Eucaristia spinge anche verso i non credenti, gli indifferenti e i lontani per annunciare loro che Dio non è assente dal mondo. Al contrario, egli ama questo mondo e tutti quelli che oggi lo abitano e per essi continua a donare il suo figlio Gesù, come via e verità che illumina la ricerca di ogni giusto progresso umano. È ancora la legge del dialogo e della comunione che ci guida, consapevoli che la fede non è contro l’uomo ma in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano. Un dialogo che ci trova protagonisti, ma prima ancora attenti all’azione misteriosa di Dio. L’Eucaristia rinnova la certezza che la gioiosa speranza della pasqua di Cristo si diffonde anche al di là delle barriere che sembrano ostacolarla e sa penetrare nei cuori in maniera imprevedibile. Perché l’Eucaristia è redenzione piena di ogni angoscia e di ogni tristezza. Nell’Eucaristia possiamo dire che l’uomo ha sempre un futuro.

 

 

Note

[1] Il termine ebraico zikkaron richiama il segno posto da Dio su Caino (Gn 4,11), il segno che portavano i profeti sulla fronte (1 Re 20,41; Zc 13,4-6), il segno sulle mani di cui parla Isaia: Ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani (Is 49,14-16). Un segno di protezione e di fedeltà alle promesse.

[2] Si ricordi lo scisma nelle assemblee di Corinto: i ricchi mangiavano e bevevano per conto loro e lasciavano i poveri da parte; pretendevano di stare insieme solo alla mensa eucaristica.