E consacralo tempio della tua gloria, dimora dello Spirito Santo
Dio onnipotente ed eterno, tu hai mandato nel mondo il tuo Figlio,
per distruggere il potere di Satana, spirito del male,
e trasferire l’uomo dalle tenebre nel tuo regno di luce infinita;
umilmente ti preghiamo: libera questo bambino dal peccato originale
e consacralo tempio della tua gloria, dimora dello Spirito Santo…
Ogni volta che celebriamo un battesimo quest’orazione d’esorcismo – collocandosi tra la liturgia della Parola e la liturgia del Sacramento – rischia di dire molto a Dio ma troppo poco a noi. Eppure se la “lex orandi” è – come giustamente ci hanno insegnato i liturgisti e prima di loro i Padri della Chiesa – “lex credendi”, forse, nella liturgia battesimale poche orazioni ci raccontano con altrettanta intensità il senso di una vita credente…
Ma andiamo per ordine. Un numero speciale. Specialissimo. L’omaggio della rivista e l’ossequio del Centro allo Spirito Santo – prima di tutto – e poi al Santo Padre che invita la comunità dei credenti a riscoprire, in questo secondo anno di preparazione al Giubileo, la terza Persona della Trinità Santissima.
Con una chiave di lettura particolare. Particolarissima. Quella della direzione spirituale. Come dire: parlare di Spirito Santo significa anche parlare di un Dio che chiede una mano all’uomo per poter realizzare il suo disegno sull’uomo. Il profilo pneumatologico del grande giubileo si coniuga col profilo antropologico per cui la nostra riscoperta dell’azione dello Spirito ha la tonalità del dinamismo di un Dio che si fa chiamante e che si fa risposta nel cuore dell’uomo; e che per raggiungere tale obiettivo reclama l’aiuto di chi tale dinamismo lo ha già vissuto nella scelta del proprio stato di vita ed ora dimostra la maturità della sua esperienza vocazionale prendendosi cura della crescita della vocazione nel cuore dei fratelli.
Insomma siamo nel terreno squisitamente vocazionale. E la pastorale vocazionale trova in tutto ciò un momento centrale ed essenziale del suo servizio. Lo Spirito Santo in altre parole cerca guide spirituali che sappiano aiutare i loro fratelli e le loro sorelle a rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra la Sua azione e la risposta docile e gioiosa di chi ascolta, scopre e aderisce.
Questo editoriale è un po’ diverso dai soliti. Più lungo, articolato. Quasi un’introduzione destinata a creare il contesto nel quale si muovono – col necessario approfondimento – i contributi che alcuni amici hanno offerto – in questi ultimi anni – ai nostri seminari sulla direzione spirituale e che ora vengono a collocarsi nella rivista a servizio della crescita dei nostri animatori vocazionali che devono sempre più immaginarsi autentiche guide spirituali.
Articolerò anche io il mio contributo in alcuni capitoli, creando così – almeno credo – la cornice necessaria perché il quadro sia definito e comprensibile. Il lettore – tengo a sottolinearlo – troverà in questo numero di ‘Vocazioni’ contributi particolarmente impegnativi e un numero quasi doppio. Allo Spirito Santo non potevamo fare un omaggio qualsiasi… Speriamo che tanto il Signore quanto il lettore gradiscano questo gesto che, cammin facendo, si è rivelato di profondo amore allo Spirito e di preghiera al Signore.
Lo Spirito Santo nel dinamismo della Vocazione
È tema largamente presente negli ultimi documenti pontifici e nel documento finale del Congresso Europeo dello scorso anno. In modo particolare il S. Padre lo affronta con vigore e straordinaria puntualità nel n. 19 di Vita Consecrata. Mi sembra opportuno riportare questo passaggio così significativo:
“Una nube luminosa li avvolse con la sua ombra” (Mt 17,5). Una significativa interpretazione spirituale della trasfigurazione vede in questa nube l’immagine dello Spinto Santo (Tota trinitas apparuit: Pater in voce, Filius in homine, Spiritus in nube clara. S. Tommaso d’Aquino, S.Th. III, 45, 4 ad 2°). Come l’intera esistenza cristiana, anche la chiamata alla vita consacrata è in intima relazione con l’opera dello Spirito Santo. É lui che, lungo i millenni, attrae sempre nuove persone a percepire il fascino di una scelta tanto impegnativa. Sotto la sua azione esse rivivono, in qualche modo, l’esperienza del profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre” (20,7). È lo Spirito che suscita il desiderio di una risposta piena; è lui che guida la crescita di tale desiderio, portando a maturazione la risposta positiva e sostenendone poi la fedele esecuzione; è lui che forma e plasma l’animo dei chiamati, configurandoli a Cristo, casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione. Lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto. Con penetrante intuizione, i padri della Chiesa hanno qualificato questo cammino spirituale come filocalia ossia amore per la bellezza divina, che è irradiazione della divina bontà. La persona che dalla divina potenza dello Spirito Santo è condotta progressivamente alla piena configurazione a Cristo, riflette in sé un raggio della luce inaccessibile e nel suo peregrinare terreno cammina fino alla Fonte inesauribile della luce. In tal modo la vita consacrata diventa un’espressione particolarmente profonda della Chiesa sposa, la quale, condotta dallo Spirito a riprodurre in sé i lineamenti dello sposo, gli compare davanti “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,27). Lo stesso Spirito, lungi dal sottrarre alla storia degli uomini le persone che il Padre ha chiamato, le pone a servizio dei fratelli secondo le modalità proprie del loro stato di vita, e le orienta a svolgere particolari compiti, in rapporto alle necessità della Chiesa e del mondo, attraverso i carismi propri dei vari istituti. Da qui il sorgere di molteplici forme di vita consacrata, attraverso le quali la Chiesa è “anche abbellita con la varietà dei doni, dei suoi figli, (…) come una sposa adornata per lo sposo” (cfr. Ap 21,2) (PC 1) e viene arricchita di ogni mezzo per svolgere la sua missione nel mondo.
Gesù stesso d’altra parte aveva affidato al suo Spirito, che noi avremmo ricevuto nella Pentecoste, il duplice compito di “rivelare” e di “rispondere” (cfr. in proposito Gv 14,26; 14,17; 16,12-14). Tale dinamismo prodotto dallo Spirito nel cuore dell’uomo può essere “ingrandito” dal punto di vista vocazionale attorno a quattro aspetti peculiari nei quali si rivela con chiarezza questa duplice azione.
La vocazione alla vita
Senza lo Spirito che mi spiega la vita come vocazione io resterei per tutta la mia esistenza mistero a me stesso: sarebbe la paralisi e il nulla. Senza lo Spirito che mi costruisce capace di risposta io non potrei mai diventare quello che sono. La conoscenza di quello che sono finirebbe per essere una condanna ancora peggiore.
Ecco allora lo stupore del Salmo 8 col quale il Signore nutre di atteggiamenti contemplativi la scoperta della mia identità: “Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli…” (v. 6) ma anche la straordinaria certezza che mi viene comunicata da Dio col Salmo 138 (139) di non essere abbandonato a me stesso nella scoperta di me stesso come infinitamente più grande di quanto io sia capace di comprendermi e gestirmi: “Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo” (v. 14).
Ed è lo stesso Spirito che spalancando le profondità della mia consapevolezza col dono dell’Intelletto e del Consiglio poi si prende cura di farsi “energia” interiore per la risposta: “Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera” (Rm 7, 6).
La vocazione a Cristo e alla santità in Cristo
“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c’era ancora lo Spirito perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv 7,37-39).
Da lui procede, dunque, a lui attrae. Nella sua vita ci immerge, della sua vita ci fa parte rendendo così possibile l’essere riconosciuti dal Padre come “suoi” e ci apre alle cure, alle attenzioni di Dio. In questo chiamarci a Cristo e in questo spingerci verso Cristo per diventare quello che siamo – capaci dell’alito stesso di Dio – lo Spirito genera le condizioni fondamentali perché la nostra storia di uomini sia una storia vissuta in maniera divina e la nostra storia di figli di Dio sia possibile viverla pur restando – in questa avventura terrena – immersi nella pesantezza della carne. La santità di Dio viene comunicata come “respiro” che rende l’uomo “essere vivente” e lo sottrae, in modo radicale e permanente, al rischio di diventare frammenti di vita dispersi nell’universo.
La vocazione alla Chiesa e ai ministeri
“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore… E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune… Ma tutte queste cose è l’unico e medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Cor 12,4-5.7.11).
Carismi, ministeri, energie, dono dello Spirito messo a servizio di tutti. Come dire: lo Spirito ci costruisce capaci di immaginarci valore in proporzione a quanto ci immaginiamo dono. Come dire: dopo averci rivelato la nostra identità di dono ci educa e ci fa crescere nella capacità di diventarlo formandoci – nel profondo dei nostri cuori – alla coscienza della diaconia. È lo Spirito che ci abilita così all’atteggiamento giusto nei confronti della chiamata di Dio. Dal punto di vista vocazionale è la formazione alla “docibilitas” gioiosa di chi sente che realizzerà se stesso al massimo delle sue possibilità proprio in proporzione a quanto saprà dire “eccomi: manda me!”.
La vocazione agli stati di vita e alle vocazioni di speciale consacrazione
“Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono… Aspirate ai carismi più grandi!” (1Cor 12, 28.31).
La stessa collocazione stabile, costitutiva, essenziale all’essere stesso della Chiesa è opera dello Spirito: Dio li ha posti … Come dire: nessuno si dà la sua vocazione. Nel dinamismo vocazionale la scelta dello stato di vita appartiene all’azione misteriosa dello Spirito alla quale la persona umana è chiamata a rispondere con generosità piena e pienamente aperta: l’aspirare ai carismi più grandi dice la necessità di restare aperti ad ogni chiamata specialmente quella che umanamente appare la più grande, la più radicale, la più ardua da realizzare nella vita di ogni giorno.
La Vita Spirituale come esperienza sponsale
Vivere dallo, nello, per lo Spirito diventa esperienza necessaria ed insostituibile in ogni cammino che possa definirsi “vocazionale” e quindi pienamente umano. È più concretamente quella che chiamiamo “vita spirituale”, esperienza di amore crescente, esperienza di crescente reciprocità di un amore tra Dio che si fa dono (=Spirito Santo) e la persona umana che viene così condotta in Cristo al Padre. Per questo siamo venuti alla vita! Così la vita si spiega in tutta la sua pienezza!
La vita spirituale diviene pertanto il vero ed unico contesto per il discernimento vocazionale e vero ambito di riuscita della direzione spirituale stessa, che appare così come aiuto alla rimozione degli ostacoli che la carne frappone ad una piena e gioiosa esperienza di “docibilitas” vocazionale. Un’esperienza sponsale – dicevamo – aperta, docile, penetrata dalla vita era fin dal principio… L’amore donato, l’amore domandato, l’amore incarnato in me: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 11,13).
Solo se Dio mi trova disarmato – amava dire Von Balthasar – mi dà il mio posto nella vita e nella Chiesa! Lo Spirito mi chiede un abbandono totale per farmi proprietà di Dio e per farmi pienamente “mio” secondo il cuore di Dio: amministratore della sua stessa vita in me.
La vita spirituale come esperienza di umanizzazione
“Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,26). Con quella che potrebbe apparire un’ovvia conclusione Paolo ci ricorda che la vita spirituale non è destinata ad estraniarci da noi stessi ma a pervaderci nella maniera più capillare per investire di sé tutta la dimensione umana: la corporeità, l’intelligenza, il mondo degli affetti, delle relazioni… Camminare secondo lo Spirito per non restare travolti ingoiati dalla carne e dalle sue pretese arroganti, esagerate, fuorvianti perché – come dice Paolo stesso – è stata sottoposta al Maligno. Esperienza di umanizzazione per, con, in Cristo. Perché lo Spirito Santo ha avuto libero e totale accesso all’uomo solamente in Cristo e non è data all’uomo altra possibilità – per diventare autentica creatura spirituale – se non nell’avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5).
La vita spirituale vissuta nella “Sponsa Verbi”, aperti al dono di sé
Dalla “sponsalità” personale alla coniugalità feconda: non solo uomini resi capaci di vivere la stessa vita di Dio, in Cristo, ma anche umanità abilitata a diventare – per il tramite della Chiesa – Regno di Dio, famiglia di Dio. Nella Chiesa, con la Chiesa, a servizio dell’umanità lo Spirito conserva il credente aperto al dono sincero di sé. “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,26-27).
Dio ha bisogno dell’uomo
Il farsi della presenza di Dio nell’esperienza dell’uomo perché la persona possa divenire quello che è non è né automatico né s’improvvisa. L’agire dello Spirito con i suoi doni, perché possa diventare frutto nei comportamenti responsabili della persona ha bisogno dello stesso processo illustrato sapientemente da Gesù nella parabola del seminatore: un terreno reso buono dalla aratura, aperto e disponibile ad accogliere il seme, il tempo necessario, la giusta concimazione e così via. Insomma in una storia d’amore, alla fedeltà dell’amore di Dio non può non corrispondere un amore altrettanto deciso, sicuro, costante da parte della persona umana. E qui entra in gioco la mediazione educativa.
La genealogia della persona
È questa l’espressione singolare che il S. Padre usa al n. 9 della sua splendida lettera alle famiglie del mondo scritta in occasione dell’anno della Famiglia (1994). In quel contesto il Papa ci ricordava: “Anche il nuovo essere umano, non diversamente dai genitori, è chiamato all’esistenza come persona, è chiamato alla vita ‘nella verità e nell’amore’. Tale chiamata non si apre soltanto a ciò che è nel tempo, ma in Dio si apre all’eternità”. Più avanti, al n.16, il Papa, parlando dell’educazione aggiunge: “Il principio di rendere onore, il riconoscimento cioè ed il rispetto dell’uomo come uomo, è la condizione fondamentale di ogni autentico processo educativo”. Ora tutto questo, non manca di osservare il S. Padre è singolarmente accompagnato dal rischio della morte: l’uomo può anche perdersi! Al n. 21, ormai andando verso la conclusione il Papa si sofferma sull’esperienza di Gesù, fin dagli inizi della sua avventura divina – umana, e si chiede: “E non è forse un evento profetico il fatto che la nascita di Cristo sia stata accompagnata dal pericolo per la sua esistenza?”. E risponde: “Sì, anche la vita di Colui che è al tempo stesso figlio dell’uomo e figlio di Dio è stata minacciata, è stata in pericolo sin dall’inizio e solo per miracolo ha evitato la morte”.
Certo, per miracolo. Ma anche perché prima di prendere umanità, al figlio di Dio, il Padre ha costruito un “nido”. Una famiglia che abbiamo conosciuto e celebriamo con gioia “santa”. Un contesto nel quale il figlio di Dio avrebbe potuto diventare figlio dell’uomo e il figlio dell’uomo divenire ogni giorno di più capace di Dio. Certo, nel grembo della vergine c’è la fecondità del seme di Dio ma a Giuseppe viene chiesto di prendersi cura di Gesù come suo figlio. Certo, a 12 anni Gesù rivendica per sé la paternità di Dio ma poi cresce in sapienza, età e grazia a Nazareth stando sottomesso a babbo e mamma che, a loro volta, hanno accettato la sfida di servire la crescita del figlio di Dio nell’esperienza del figlio dell’uomo che ad essi è stato affidato.
Insomma, neanche il figlio di Dio ha voluto diventare figlio dell’uomo nella ineffabile unione ipostatica del Verbo fatto carne da solo! Dio Padre ha voluto che nell’avventura di Gesù ci fosse una presenza educativa umana. Di un babbo, di una mamma (e non solo…) che hanno servito la sua crescita divina nell’uomo e la sua crescita umana in Dio.
Non si diventa quello che siamo senza l’aiuto della mediazione educativa che ci è donata da Dio attraverso coloro che egli mette sul nostro cammino come educatori, guide. Le chiamiamo “spirituali” perché loro compito essenziale è permettere allo Spirito di prendere gradualmente il timone della nostra vita, aiutandoci con pazienza a rimuovere ogni ostacolo che si frappone a tale azione della Grazia.
Un ministero ecclesiale
Prima del direttore, con e a servizio del direttore, contesto di verifica per il direttore è la comunità cristiana. In essa, a partire da essa e a servizio di essa si pone l’esperienza della direzione perché il ministero della direzione spirituale si collega direttamente alla responsabilità educativa della Ecclesia Mater, fecondata dallo Spirito e destinata a generare figli a Dio (cfr. in proposito Ap 21,1-7.24-27;22,1-5.17).
Un ministero indispensabile per diventare quello che siamo perché è la compagnia offerta dal Signore al destino di trascendenza e di trasfigurazione della persona umana. Come sarebbe possibile, altrimenti, il verificarsi di quanto afferma San Paolo: “Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,11-16). Di particolare necessità e spesso urgenza è la direzione spirituale in quella fase delicata e inevitabile che va tra percezione e decisione vocazionale. Nella vocazione di Samuele si legge questa singolare esperienza (cfr. 1 Sam 3,1-10) che ci racconta di un fanciullo che abita nel tempio e pur tuttavia la chiamata è flebile, ci si confonde con facilità… Sarà proprio Eli a mettere sulle labbra di Samuele la risposta giusta. E fiorirà la straordinaria storia dell’ultimo “giudice” di Israele e della più grande figura di profeta e di guida spirituale dei capi e del popolo.
Mi sembra che il contesto per i necessari sviluppi di natura teologica, psicologica, metodologica che adesso seguiranno, sia stato sufficientemente creato. Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo omaggio allo Spirito Santo “educatore” del suo popolo.