Il seminario e il CDV nella pastorale vocazionale unitaria della chiesa locale
Il quadro dei rapporti fra Seminari e Centro Diocesano Vocazioni (CDV) è attualmente molto vario. Può essere utile, perciò, all’inizio di questo lavoro, cercare brevemente di mettere in chiaro natura e finalità del soggetto per valutarne l’operato e prospettarne il futuro.
Attualità e potenzialità di un rapporto
Diciamo subito che tutti e due i soggetti, rispetto alle vocazioni presbiterali, hanno qualcosa in comune e qualcosa di proprio. Entrambi, infatti, si rivolgono alla cura di persone in stato di vocazione; individualmente, invece, si differenziano nel tempo e nella qualità del proprio intervento. Grossolanamente, all’interno della Pastorale Vocazionale (PV) si potrebbero attribuire al seminario le fasi dell’accompagnamento e della chiarificazione vocazionale, fino al suo buon esito; al CDV, invece, l’animazione e le fasi dell’annuncio e della proposta vocazionale fin verso le soglie del Seminario.
Quante esposto rivela due limiti: uno, riguardante l’ordine d’enumerazione del rapporto, che dovrebbe essere invertito in riferimento all’evoluzione della vocazione e dovrebbe suonare così: “CDV e Seminari: un problema, ecc.”, per rispettare l’ordine con cui i due soggetti pastorali entrano solitamente in azione; l’altro, relativo all’esclusività del servizio alle vocazioni, non solo quelle al ministero ordinato.
Come si vede, la PV rischia di essere doppiamente sbilanciata a favore delle vocazioni sacerdotali sia per una tradizionale rilevanza di interesse che da sempre viene riconosciuta alla figura del prete; sia per la contingenza di un’animazione vocazionale spesso affidata ai Seminari.
Per questo motivo la PV è esposta anche ad altri condizionamenti, perché, per esempio, può risultare non coordinata con le iniziative vocazionali dei religiosi presenti nel territorio o con le attività degli altri uffici pastorali diocesani (di pastorale giovanile, scolastica, familiare, …): può restare condizionata dalla vita, dalle esigenze e dai tempi di formazione del Seminario; può dipendere dalla maggiore o minore urgenza di sacerdoti in diocesi; può essere più o meno estesa secondo il numero dei seminaristi e dei collaboratori impegnati nell’animazione stessa.
Tale situazione è rivelabile in buona parte dalle diocesi italiane, con una leggera diversificazione fra nord-sud; qui infatti, l’esistenza di Seminari Regionali, creati dalla Santa Sede nella prima metà del secolo. Ha permesso che i CDV sviluppassero la propria identità in maniera più autonoma rispetto ai Seminari, con utile vantaggio per la PV.
Conseguenze per la pastorale delle vocazioni
A fare le spese di questa situazione non sono propriamente, come sarebbe a prima vista le vocazioni di religiosi, religiose e membri di Istituti Secolari. È vero che spesso sbottano in frasi del genere “nella nostra diocesi si dà peso solo alle vocazioni sacerdotali… Nel CDV non ci sono rappresentanze di vita consacrata… Parroci e Vescovi esortano giovani e adolescenti al Seminario, senza far cenno alle altre vocazioni di speciale consacrazione… Il seminario o il CDV non ci coinvolge per le iniziative della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni”, ed è giusta la disapprovazione per esclusione o il mancato coinvolgimento nell’animazione vocazionale diocesana, ma anch’essi, talvolta, si rendono responsabili di comportamenti corrispondenti, dandosi pensiero di suscitare o raccogliere frutti di vocazione esclusivi per i propri Istituti.
Chi risente davvero di quest’equivoco, diciamo, è l’intera comunità diocesana, la Diocesi nel suo insieme e in ogni suo singolo battezzato. Perché quando la PV si concentra in Seminario, o nelle sole iniziative del Seminario, o di qualunque altro esclusivo agente vocazionale, è l’intera comunità diocesana che perde l’opportunità di arricchire in carismi e ministeri, come perdenti sono i laici che, così, non possono approfondire il senso della propria vocazione e missione laicale nella Chiesa, anche a favore delle stesse vocazioni consacrate.
La situazione, scoraggiante, appare risultare dalle tre voci distinte, Seminario – CDV – Consacrati. Tre “assolo” che non fanno “coro”. Tre parallele senza incontro, con un unico argomento e sostegno del loro metodo: l’adagio “quieta non movere”, perché intanto qualche vocazione si … racimola.
Per riprendere il cammino
Per dare un po’ di ordine alle idee, vale la pena ricordare che il Decreto Conciliare Optatam Totius sulla formazione Sacerdotale, ha fissato il fine dei seminari, affermando che quelli Minori sono “eretti allo scopo di coltivare i germi della vocazione”[1] e i Seminari Maggiori “allo scopo di formare veri pastori d’anime sull’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore”[2]. E più tardi il documento finale del II Congresso Internazionale dei Vescovi e Responsabili delle vocazioni ecclesiastiche tenutosi a Roma nel 1981, attribuisce ai Seminari e a tutti gli Istituti religiosi di formazione un posto importante fra i soggetti che hanno la responsabilità di testimoniare e mediare la vocazione, dichiarando privilegiate le Chiese particolari in cui essi sorgono, perché i giovani e le giovani in via di formazione sono i più adatti ad evangelizzare gli altri giovani col Vangelo della Vocazione: “i seminari e gli altri Istituti di formazione sono luoghi naturali di una chiara proposta vocazionale, che i giovani chiamati offrono ai loro coetanei. La vita stessa dei chiamati è una proposta. Da parte loro, i Seminari e altri Istituti formativi, come comunità viventi nella chiesa particolare, possiedono per loro natura un ruolo specifico di evangelizzazione e animazione vocazionale”[3].
Da ciò si ricava che la PV non è incompatibile con i Seminari, e poiché l’intera opera per le vocazioni ha bisogno di organismi e strutture, costituiti in vero e proprio Centro di animazione, è spontaneo pensare che il Seminario diventi anche centro delle attività vocazionale. Ma in tal caso non si dovrà perdere di vista la natura del Centro Diocesano Vocazioni, che è un organismo che “esprime l’impegno della Chiesa particolare per l’animazione vocazionale, promuovendo e coordinando le attività di orientamento vocazionale nelle parrocchie e nelle comunità cristiane della diocesi (…) ”[4], affinché il Seminario – CDV non si limiti alla cura dei soli candidati al sacerdozio.
Si noti bene che, in quel Piano Pastorale, i vescovi italiani hanno voluto, prima e più di ogni cosa, che il CDV assicurasse il carattere unitario della PV, affermando che “i Centri per l’animazione della pastorale vocazionale devono essere ‘unitari’ a tutti i livelli (diocesani, regionali, nazionale), (…) e devono essere a servizio della pastorale unitaria. In essi devono essere assicurati la presenza e l’apporto di tutte le categorie vocazionali (…). Questi organismi devono favorire la proposta chiara, efficace ed aperta a tutte le vocazioni di speciale consacrazione, evitando di ridurre la pastorale unitaria ad essere ‘unica’ (…) o ‘generica’ (…)”[5] e ciò rimane fermamente valido anche nel caso che il CDV sia affidato agli educatori e alla comunità del seminario. L’insistenza della CEI sul tema dell’unitarietà non è il nodo sul quale si gioca il futuro della PV. Per questo vale la pena di spendere, in chiusura, qualche parola sul senso dell’espressione “pastorale vocazionale unitaria”.
In quale senso unitaria
Pastorale unitaria, prima di tutto, significa pastorale “unica”, come annuncia già il P.P.V. al n. 51, cioè condotta da tutti insieme, con un unico metodo, con iniziative esclusive, con l’onnipresenza del Direttore o membri del CDV, con un’organizzazione centralizzata che si sostituisca a parrocchie e comunità, e così via. E pastorale unitaria neanche vuol dire pastorale “generica” (ancora in P.P.V. 51), cioè adattata a tutti i carismi e a tutte le vocazioni, attenta a non far preferenze di situazioni e Istituti; comprensiva al punto da fermarsi alla più ampia vocazione battesimale. Risultando infine né incarnata, né ecclesiale.
Il lettore, forse neo-Direttore o membro di CDV o animatore vocazionale di fresco incarico, potrà cominciare a temere a questo punto che la PV unitaria sia il risultato di un difficile equilibrio di rapporti e di iniziative, ma qui si intende rassicurarlo offrendogli principi minimi che lo aiutino a discernere e operare.
Il primo responsabile della pastorale delle vocazioni è il Vescovo[6]; solitamente egli affida tale responsabilità ad un delegato, Direttore di un Centro per l’animazione della PV (CDV) in cui “devono essere assicurati la presenza e l’apporto di tutte le categorie vocazionali” e si deve “favorire la proposta chiara, efficace ed aperta a tutte le vocazioni di speciale consacrazione”[7].
Quando il Direttore del CDV è anche Rettore di un Seminario, la comunità intera e ciascun seminarista entrano nell’animazione vocazionale diocesana ad un titolo speciale: oltre che per il personale status di chiamato[8] anche per il particolare mandato. Il rettore o l’educatore incaricato della pastorale delle vocazioni deve, in ogni caso, conservare quell’animus pascendi proprio del Vescovo che gli ha affidato il compito: contribuisce all’edificazione della comunità intera attraverso la promozione di tutte le vocazioni, mirando ad una comunità cristiana che “possa giungere a provvedere da sola, per quanto, possibile, alle proprie necessità”[9]. Questa citazione del Decreto conciliare per l’Attività Missionaria, che si riferisce alla fase di impiantazione di una chiesa, può e deve essere di aiuto a chi, per mandato, concorre ad un’idea finale unitaria di Chiesa provvedendo alle sue esigenze di crescita e di realizzazione.
Perché si dia una comunità “sono necessari vari ministeri, che suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una chiamata divina, da tutti devono essere diligentemente promossi e coltivati”[10]. A mo’ di esemplificazione, passi il paragone con quanto accade nella coppia che attende un bambino, una creatura nuova. I genitori in attesa si protraggono nel futuro e vedono già il loro piccolo… Non attendono un bel nasino, un bel paio di occhi, due gambine perfette, essi attendono un bambino, una creatura completa e sana da amare, da veder crescere, da accompagnare alla maturità. Allo stesso modo il pastore della comunità e ogni altro incaricato di pastorale, anche laico, non può fermarsi ad una sola realtà, un solo ministero, privilegiare un solo carisma, una sola speciale vocazione. Né tanto meno può farlo chi è incaricato dell’animazione vocazionale. Essi devono animare le realtà diocesane fino a restituire ogni persona alla sua vocazione originaria, quale era nella mente di Dio fin dalla creazione del mondo, quella che sola, una volta realizzata, la renderà felice.
Pastorale delle vocazioni non è opera di convincimento psicologico ad abbracciare questo o quello speciale stato di vita. Il vangelo e il mistero della vocazione sono cosa ben più grande del semplice problema della mancanza di preti. Di conseguenza, quando la PV ed ogni animazione pastorale mireranno alla realizzazione della costitutiva risonanza vocazionale di ciascun battezzato, allora saranno unitarie. Quando tutti impegneranno le proprie forze a servizio di questa stessa ed unica causa; quando si vorrà vedere realizzato il singolo e vedere compiuta la Chiesa; quando ci si sarà liberati dalla preoccupazione di riempire Seminari o Istituti vuoti; quando si finirà di accattonare vocazioni e quando non saranno i titoli parrocchiali vacanti a stimolare la sete di vocazioni, allora la pastorale vocazionale unitaria darà il suo migliore frutto: la Chiesa.
Un’ultima considerazione. Il Rettore che sia anche Direttore o membro del CDV, e gli altri educatori impegnati presso il CDV, che già possono contare sulla collaborazione qualificata di un’intera comunità vocazionale qual’è il Seminario, hanno in più un’importantissima opportunità, che è un vero e proprio mandato e una grossa responsabilità: formare futuri presbiteri con una forte sensibilità, diremmo con la “passione”, per una comunità fiorente di ministeri e carismi, viva secondo le attese conciliari, una comunità rispondente alla sua originale chiamata: essere Corpo vivente di Cristo, prolungamento del Risorto sulla terra.
Si attende il sopraggiungere di presbiteri nuovi con un forte senso ecclesiale che, posti a presiedere la comunità, sentano per ciò stesso di essere mandati ad animare tutte le vocazioni, senza pregiudizio alcuno, nel pieno rispetto del soffio dello Spirito, perché si avveri che “il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra (…) e se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?” (1Cor 12,14.19): dove sarebbe la Chiesa? Dove sarebbe il miracolo morale dell’unità nella diversità, dell’unico Spirito nella molteplicità di carismi e ministeri (cfr. 1Cor 12,4-7)?
Note
[1] Optatam Totius, n. 3
[2] Ivi, n.4
[3] Documento Conclusivo del 2° Congresso Internazionale per le Vocazioni, Roma 1981, n. 41 .
[4] CEI, Vocazioni nella Chiesa Italiana, Roma 1985, n.54.
[5] Ivi, n. 51
[6] Ivi, n. 31. Cfr. anche il D.C. del II C.I.V., o.c.. n. 29.
[7] Ivi, n. 51
[8] Cfr. il D.C. del II C.I.V., o.c., n. 41
[9] Ad Genes, n. 15.
[10] Ivi.