N.04
Luglio/Agosto 2020

Un breve lampo d’amore

Un testo di Guglielmo di Saint-Thierry

L’autore che propongo in questo numero non è forse famoso come un suo grande amico, ma è una guida altrettanto sicura per i sentieri della contemplazione e dell’amore di Dio. Il suo amico più famoso è San Bernardo, ma l’autore che voglio presentare è Guglielmo di Saint-Thierry (1070/85-1148). Entrato nei Benedettini a Reims nel 1113, diviene abate a Saint-Thierry sette anni dopo, Durante un soggiorno a Clairvaux conosce Bernardo e nasce una grande amicizia. Vorrebbe entrare nei Cistercensi, ma lo stesso Bernardo lo dissuade. Riuscirà a coronare questo suo sogno solo una quindicina di anni dopo, diventando semplice monaco cistercense a Signy nel 1135. Gli anni 40 lo vedono opporsi in modo forte ad Abelardo. Muore nel 1148 mentre stava scrivendo la vita del suo amico fraterno Bernardo.  

Assai influenzato dalla mistica greca, a lui nota attraverso le traduzioni latine di Scoto Eriugena, Guglielmo ci ha lasciato delle opere straordinarie. Il testo che ho scelto è tratto dalla famosa Epistola aurea, una lettera che scrisse pochi anni prima della sua morte in occasione a una visita alla Certosa di Mont Dieu, rivolgendosi ai monaci là presenti.  

Riprendendo in sottofondo il Cantico — di cui scrisse anche un famoso commento — qui Guglielmo dice che quanto sentiamo ogni tanto della presenza ineffabile di Dio nella nostra preghiera serve per darci sempre più forza di purificarci per vedere meglio e prepararci alla totale conformazione a Lui. Quanto più vediamo il suo volto tanto più lo amiamo e cresce il desiderio di amarlo e vederlo ancora, in una continua progressione “di bene in meglio”, epektasis, come direbbe Gregorio di Nissa che, certo, ha ispirato queste pagine, che ci porta a una sempre maggiore conformazione a Lui. 

 

Talvolta a chi è stato scelto e amato da Dio si è mostrata a tratti una sorta di luce del volto divino, come un lume racchiuso nelle mani che appare e scompare secondo la volontà di chi lo tiene; grazie a quello che gli è concesso di vedere quasi al volo o in un lampo, l’animo si infiamma per il desiderio di possedere nella sua pienezza la luce eterna e di ottenere in eredità la visione piena di Dio. 

E per dargli in una certa misura la nozione di ciò che gli manca, a volte la grazia viene a sfiorare quasi di passaggio i sensi di colui che ama Dio e lo rapisce a se stesso e lo porta nel giorno eterno, lontano dal tumulto del mondo, verso le gioie del silenzio; e per un momento, un istante fuggevole, nel modo che gli è proprio, colui che è si mostra alla sua vista “come egli è” (1Gv 3,2); talvolta lo trasforma a sua somiglianza, di modo che anch’egli sia, a suo modo, come Dio. Allora, dopo aver appreso la differenza tra puro e impuro, viene rimandato indietro perché purifichi il suo cuore per poter vedere e prepari il suo animo alla somiglianza; cosicché se gli capiterà di essere ammesso ancora una volta, la sua visione sia più pura e il suo godimento più duraturo.  

In nessun modo infatti si coglie meglio la misura della imperfezione umana che alla “luce del volto” (Sal 4,7) di Dio, nello specchio della visione divina. Là, nel giorno eterno, vedendo sempre più chiaramente che cosa gli manca, l’animo corregge di giorno in giorno, grazie alla somiglianza, tutte le macchie della dissomiglianza; per mezzo della somiglianza si avvicina a colui dal quale si era allontanato per colpa della dissomiglianza. E così a una visione sempre più chiara si accompagna una somiglianza sempre più netta. 

Certo è impossibile vedere il sommo bene e non amarlo; impossibile non amarlo nella misura in cui è stato concesso di vederlo. L’amore progredisce così fino a raggiungere una certa somiglianza con quell’amore che ha reso Dio simile all’uomo nell’umiliazione della condizione umana, per rendere l’uomo simile a Dio nella gloria della partecipazione divina. E allora è dolce per l’uomo farsi umile con la maestà suprema, farsi povero con il figlio di Dio, conformarsi alla divina sapienza, provando in se stesso “gli stessi sentimenti privati da Cristo Gesù” (Fil 2,5) nostro Signore.  

 

(Epistula ad Fratres de Monte Dei, III, II, 268-272.) 

 

 

Testo tratto da S. Vecchio, Guglielmo di Saint-Thierry. Invito alla lettura, (Scrittori di Dio/Medioevo, 35), Cinisello Balsamo, 2001, 80-1. 

 

 

 

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