N.04
Luglio/Agosto 2020

Il miracolo della manna

di Bruno Ceccobelli

Il miracolo della manna

 

 

Il miracolo della manna, con la quale il Signore sfamerà per quarant’anni il popolo di Israele peregrinante nel deserto, è descritto nel cap. 16 del Libro dell’Esodo. Ceccobelli l’ha rappresentato nel momento in cui la manna scende vorticosamente dal cielo sotto forma di coriandoli, mentre gli Israeliti – come presi nel vortice di questo miracolo – volteggiano in una danza che sembra esprimere stupore, oltre che energia vitale. Stupore, perché il prodigio che Dio ha operato per il suo popolo rafforza in quest’ultimo il sentimento di essere stato scelto, accompagnato e sostenuto dalla mano benevola e provvida di Dio, il quale, anche quando si scontra con la dura cervice degli Israeliti, non cessa di mostrare loro il suo volto misericordioso. Energia vitale, perché quella manna che scende dal cielo in sostituzione del pane è il cibo che, assieme alle quaglie, permetterà al popolo di Israele di rimanere in vita durante la permanenza in un luogo arido e inospitale come il deserto.

Un elemento che, nella rappresentazione di Ceccobelli, balza subito gli occhi è la specularità delle figure che, a destra e a sinistra dell’immagine, sono intente ad afferrare la manna che cade dall’alto o a raccogliere quella già caduta a terra. Le due specchiature possono essere interpretate come una rivisitazione delle parole con cui Mosè aveva assicurato che tutti avrebbero ricevuto la giusta porzione (un omer a testa). Infatti, l’autore del Libro dell’Esodo riferisce che «colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne» (Es 16,16). La specularità introdotta da Ceccobelli nella scena della manna sembra dunque veicolare il principio di uguaglianza: Dio tratta gli Israeliti senza distinzioni o preferenze. Non c’è alcuna disparità: tutti ricevono il necessario, né più né meno.

Da questa interpretazione traiamo un invito a ritrovare le giuste proporzioni nei nostri rapporti con le cose e il mondo che ci circonda. Dietro l’angolo, infatti, c’è sempre la tentazione atavica di possedere oltre misura e di accumulare indipendentemente dal reale bisogno. Ad essa occorre far fronte relazionandoci con le cose in modo equilibrato, senza mai debordare nell’inutile eccesso.

In secondo luogo, le due specchiature che si riflettono l’una nell’altra, possono essere intese anche come un’allusione alla continuità tra ciò che la manna dell’Antico Testamento simboleggia, e la sua perfetta realizzazione nel mistero eucaristico del Nuovo Testamento. Infatti, nelle parole con cui Mosè spiega agli Israeliti che cosa sia la manna («È il pane che il Signore vi ha dato in cibo»: Es 16,15b), la tradizione cristiana ha visto una chiara prefigurazione dell’Eucaristia. La manna è il simbolo del «pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51), ossia del Cristo Gesù. Grazie al mistero eucaristico, il suo corpo è diventato cibus viatorum, il cibo che nutre nel tempo i credenti pellegrini sulla terra, e il “rimedio per la vita eterna”. Lo ha dichiarato apertamente egli stesso: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti, il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,32-33)

Naturalmente, questa continuità si situa su un piano simbolico. In effetti, quella sorta di traccia luminosa che separa verticalmente le due specchiature, se da un lato funge da trait d’union tra queste ultime, dall’altro può anche essere interpretata come un segno di discontinuità. L’inveramento nel corpo sacramentato del Signore Gesù di ciò che era stato prefigurato nella manna costituisce, infatti, l’irruzione di una novità inaudita ed unica: il miracolo del corpo glorificato del Cristo che continua a farsi presente nella sua Chiesa sotto le specie del pane (e del vino).

Nell’immagine di Ceccobelli possiamo, infine, intravedere anche un richiamo alla ricaduta pervasiva che il mistero dell’Eucaristia ha nella vita del credente. Infatti – riallacciandoci a quanto detto all’inizio – la manna che scende abbondante dal cielo sembra avvolgere le figure che si stagliano all’interno del campo visivo e trascinarle nel suo vorticoso turbinio. Qualcosa del genere avviene anche con l’Eucaristia. Essa pure, come una spirale di amore, avvolge la vita del credente e la trascina al cuore del mistero di salvezza di cui è portatrice. E lì la trasforma in un dono di amore per i fratelli, un dono capace di generare altro amore.

 

 

 

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