N.04
Luglio/Agosto 1996

Giovani in mezzo al guado: tra “crisi” e “sfide”

“Ci rifiutiamo di essere considerati soltanto potenziali clienti di jeans o coca cola, siamo altro, siamo essere pensanti, cittadini di un mondo che forse ci ritiene peggiori di quello che siamo in realtà”: così hanno scritto al vescovo di Livorno alcuni giovani della piazza, quelli che per tanto tempo la Chiesa ha inserito nella categoria dei lontani. È un’affermazione semplice ma che credo rifletta bene uno spaccato dei giovani di oggi: considerati essenzialmente come oggetto di marketing, subiscono una sfiducia generalizzata da parte del mondo degli adulti, nutrono l’aspirazione ad assumere dignità di cittadini in questa società e il desiderio di vedere valorizzato il loro modo di pensare.

Rappresenta una delle tante provocazioni che la Chiesa può raccogliere oggi dai giovani e chiama in causa quanti si dedicano alla loro educazione nella fede a proposito dei modi, dei tempi e degli obiettivi che devono porsi nel momento in cui ripensano il loro impegno ecclesiale. Già i padri conciliari, nella “Gaudium et Spes” (n. 31), avevano offerto una significativa risposta affermando:“…Innanzitutto l’educazione dei giovani, di qualsiasi origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare uomini e donne, non tanto raffinati intellettualmente, ma di forte personalità, come è richiesto fortemente dal nostro tempo. Ma a tale senso di responsabilità l’uomo giunge con difficoltà se le condizioni di vita non gli permettono di prendere coscienza della propria dignità e di rispondere alla sua vocazione, prodigandosi per Dio e per gli altri”.

Un’affermazione tratta da quella costituzione conciliare che recentemente il Papa ha riconsegnato ai giovani definendola “documento prezioso e sempre giovane” e invitandoli così a rileggerla: “vi troverete luce per decifrare la vostra vocazione di uomini e donne, chiamati a vivere, in questo tempo meraviglioso e drammatico insieme, come tessitori di fraternità e costruttori di pace”.

Possiamo allora immaginare i giovani di oggi come in mezzo al guado di questo tempo, “meraviglioso e drammatico insieme”, nel quale sono chiamati a maturare la loro fede in Cristo per diventare i protagonisti di quella nuova evangelizzazione a cui l’inizio del terzo millennio cristiano richiama tutta la Chiesa.

 

Una straordinaria possibilità

Pensare i giovani in mezzo ad un guado significa immaginare immediatamente le straordinarie possibilità che li caratterizzano: non sono destinati a rimanere per sempre sulla riva ma sono già in tensione verso l’altra sponda a cui guardano con la concreta speranza di raggiungerla, per poi proseguire oltre nell’affascinante avventura della loro esistenza.

I giovani di ogni tempo hanno sempre saputo guardare oltre l’ostacolo presente: sono naturalmente proiettati nel futuro e non possono accontentarsi di rimanere fermi dinanzi alla prima difficoltà che incontrano sul loro cammino. Quella dose di incoscienza che li caratterizza li fa entrare nell’acqua prima ancora di aver compreso bene le difficoltà del passaggio ma consente loro anche di compiere l’atto più difficile di qualsiasi azione, il cominciare.

 

Per andare oltre

Il corso d’acqua che si intende guadare è certamente un ostacolo che si frappone sul cammino, ma l’aver intravisto un passaggio possibile rappresenta già una conquista per chi sente forte il desiderio di andare oltre: significa non cedere alla tentazione di fermarsi, adagiandosi sulla riva del fiume, o di cambiare meta, rassegnati all’idea che sia impossibile andare avanti.

L’intravedere una possibilità di passaggio non è tuttavia da considerarsi azione scontata per i giovani del nostro tempo: indagini sociologiche recenti ci mostrano tipologie di giovani generalmente normali ma privi di ambizioni particolarmente alte che spesso preferiscono accontentarsi del già acquisito e non sentono il desiderio di rischiare per andare avanti.

L’esperienza educativa di ogni tempo ci insegna tuttavia che i giovani sono naturalmente capaci di rispondere con coraggio a proposte di vita esigenti purché siano fatte da persone credibili, capaci di scommettere la propria vita per gli ideali che propongono.

È in questa prospettiva che mi sembra opportuno riprendere un’affermazione significativa contenuta nella sintesi dell’Ambito Giovani del Convegno Ecclesiale di Palermo: “È necessario proporre ai giovani ideali alti, capaci di far percepire loro la novità di un Dio che, mentre dà risposte d’amore, pone domande esigenti invitandoli ogni giorno sulla via della croce”.

 

In una situazione critica

Chi si trova in mezzo al guado vive comunque una situazione critica: è già dentro il fiume, sperimenta la difficoltà di trovare il passaggio più opportuno senza conoscere completamente le caratteristiche del corso d’acqua che sta attraversando; si rende conto delle difficoltà che esistono anche nel caso in cui decida di tornare indietro.

L’essere dentro il fiume del nostro tempo significa per i giovani vivere in una società che trasmette loro il virus dell’incapacità di vedere orizzonti di assoluto; questo contagio provoca, come conseguenze immediate, l’impossibilità di imparare a discernere il bene e il male, il non riuscire a capire l’importanza di dare un progetto alla propria esistenza, il non trovare punti di riferimento stabili nel definire i propri comportamenti quotidiani.

L’essere in mezzo al guado significa inoltre dover resistere alle correnti contrapposte e improvvise che caratterizzano il fiume del nostro tempo: una società che vive un fenomeno di progressiva scristianizzazione, dove esiste ancora un’atmosfera di religione che è poco sostenuta da una fede sincera e fa fatica a diventare cultura dei nostri giorni; una società che veicola una morale superficiale che si esprime in un atteggiamento, paragonabile allo zapping televisivo, dove si compiono scelte momentanee, non definitive e comunque mai fondate su un progetto di vita che tenda al vero e al bello; una società in cui il bene inestimabile della vita perde due delle sue dimensioni più essenziali, l’amore e la libertà. Le difficoltà che sperimentano i giovani nel guadare il fiume non derivano quindi direttamente da loro ma incidono profondamente nella loro esistenza, mettendola in una situazione di crisi.

In questo senso nel Convegno Ecclesiale è stato affermato: “I giovani rappresentano una nuova categoria di poveri che si trova ai margini della società, il loro grido di aiuto richiama la Chiesa a collocarli al centro della sua attenzione pastorale per provocare un analogo fenomeno in tutta la società italiana. Ma la loro povertà diventa risorsa per la Chiesa quando questa riesce a far silenzio e si mette in ascolto di quanto i giovani sanno esprimere”.

 

Accettare la sfida del passaggio

È in questa situazione di grande incertezza che i giovani devono decidere di procedere oltre verso l’altra riva, facendo attenzione a non voltarsi indietro e acquisendo la capacità di miscelare opportunamente prudenza e coraggio.

La situazione di crisi in cui vivono i giovani è già ricca di segnali positivi per il futuro. Il modo di essere dei giovani ha già messo in crisi alcuni assoluti della modernità che rischiano di soffocare l’aspirazione al trascendente dell’uomo di oggi: è successo nei confronti della scienza, della tecnologia, del concetto di razza e di classe, della unicità della verità.

“I giovani – si è detto a Palermo – portatori degli ideali che si fanno strada nella storia, provocano tutta la comunità cristiana ad essere accogliente nei confronti di chi è diverso per razza, religione e cultura valorizzandone la diversità come risorsa, in vista della costruzione di una società nuova in cui si manifesti visibilmente la fratellanza tra i popoli”.

In ciò che di buono già intravediamo nella realtà giovanile attuale dobbiamo cogliere l’aspirazione delle giovani generazioni a dare un senso alla loro vita perché questa possa diventare significativa per la vita di tanti altri e contribuire a migliorare la qualità della vita di tutti. Quando in una situazione di crisi i giovani sanno scegliere di andare oltre, è in questo frangente che compiono la scelta fondamentale per la loro vita decidendo di non tornare più indietro ma di puntare con decisione verso l’altra riva. Si tratta di una decisione coraggiosa che deve essere attuata con prudenza: coraggiosa perché è la più impegnativa in una società in cui il senso di responsabilità non viene più considerato, almeno in giovane età, un valore fondamentale; da attuare con prudenza perché ciò che risulta facile cominciare con entusiasmo tipicamente giovanile diventa difficile portarlo a conclusione senza rischiare di perderne il senso ultimo.

 

Con il sostegno di chi ha già compiuto questo passaggio

Ma in questo movimento da una sponda all’altra non ci sono solo i giovani ma tanti altri che, con modalità e tempi diversi, hanno già compiuto questo passaggio: è il resto della comunità dei credenti che non può disinteressarsi della situazione che vivono le giovani generazioni e neppure scaricarsene la responsabilità delegando la loro cura a qualche gruppetto di esperti. C’è una responsabilità comunitaria di tutti i credenti verso i giovani, verso le loro invocazioni di aiuto e le loro aspirazioni ideali.

Sono molteplici le risposte che la comunità cristiana può offrire a queste invocazioni dei giovani: fondamentale è certamente quella di chi si rende disponibile a rientrare nell’acqua, lasciando la sponda faticosamente conquistata per accompagnare e sostenere chi compie dopo di lui questo tentativo. Sono coloro che scelgono di rendere presente il volto amorevole del Cristo nella Chiesa impegnandosi nell’educazione alla fede dei giovani: un’educazione fatta di capacità di ascolto e di dialogo, di accoglienza e di reciprocità, di compagnia e di fraternità. Queste figure in una società sempre più caratterizzata da appartenenze molteplici e parziali dovranno diversificarsi e diffondersi capillarmente negli ambienti (scuola, sport, caserme, luoghi di aggregazione) e nelle condizioni di vita (famiglia, amicizie, tempo del fidanzamento) più tipicamente giovanili.

Questo tipo di risposta si esprime dunque nell’accompagnamento dei giovani secondo lo stile di Emmaus: una compagnia sincera e disponibile che consente loro di scoprire gli enormi doni che possiedono e la verità sulla loro vita. Un accompagnamento che deve essere finalizzato alla maturazione di credenti che sentano la responsabilità di essere cittadini del proprio tempo, che si facciano carico con coraggio delle proprie responsabilità nei luoghi di impegno quotidiano, scoprendo nella loro vita un dono degno di essere ridonato ad altri.

Ma insieme ad una Chiesa che accompagna ce n’è anche una che precede i giovani mostrando loro quanto sia bello andare oltre la sponda che si vede e non considerare questa la meta ultima del cammino. È costituita da quanti, pur non stando in modo continuo vicino ai giovani, hanno a cuore la loro maturazione e la sostengono offrendo esempi significativi di testimonianza evangelica e rendendo visibili “le ragioni della speranza che è in noi”. Tutto questo nello spirito indicato già nella Gaudium et Spes: “il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza”.

 

Dall’invocazione alla vocazione

I giovani, che si trovano oggi in mezzo al guado, diventano così i protagonisti di un’invocazione rivolta a tutto il popolo di Dio perché si prenda a cuore la loro situazione di crisi; acquistano la capacità di provocazione verso una Chiesa chiamata ad essere sempre più fedele alla propria missione nel mondo; scoprono, nella compagnia sincera e nella presenza testimoniante della comunità cristiana, la loro vocazione.