Risvegliare il cuore con il discernimento vocazionale
“L’uomo spesso diventa quel che crede di essere. Se io continuo a ripetere a me stesso che non riuscirò mai a fare una data cosa, può darsi che finisca per essere davvero incapace. Al contrario, se ho la convinzione di riuscirci, acquisterò senz’altro la capacità di farla, anche qualora all’inizio non la possedessi”. Così diceva Gandhi più di 50 anni fa. Ma chi è l’uomo di sempre, soprattutto l’uomo di oggi?
Potremo senz’altro rispondere: un essere addormentato. La maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate. Sono nate dormendo, vivono dormendo, decidono delle cose grandi della vita dormendo, muoiono dormendo, senza mai svegliarsi. Non arrivano mai a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamiamo esistenza umana.
Uno dei lavori più urgenti allora consiste in questo far aprire gli occhi alle persone, perché capiscano la realtà della propria grandezza. E il discernimento vocazionale, in tutto questo, che ci sta a fare e come deve essere gestito? Nella nostra attuale cultura la salvezza viene dal mutamento delle condizioni esterne: cambia il mondo e le condizioni bio-psico-sociologiche e cambierai anche l’uomo. Noi credenti continuiamo invece a credere che è dal cuore rinnovato che inizia il rinnovamento del mondo. Risvegliare il cuore diventa allora il vero problema della vita e quindi del discernimento vocazionale, perché la nostra cultura tende alla deresponsabilizzazione e ci inchioda nel sonno senza prospettive e senza speranza.
Un richiamo ai punti di riferimento
Prima di affrontare il problema di come gestire oggi il discernimento vocazionale, credo valga la pena richiamarne brevemente gli elementi/ingredienti fondamentali al fine di attuarlo nel modo più positivo possibile[1].
Per prima cosa dobbiamo affermare che la volontà di Dio su una persona è essenzialmente la sua vita ed il sì alla vita è il primo sì a Dio, il quale ci vuole creatori e liberi, anche per il nostro esistere. Il primo luogo di discernimento alla volontà di Dio su una persona è allora interpretare il suo essere profondo con i suoi desideri e le sue virtualità.
Certo, un errato discernimento costruisce una vocazione, qualsiasi vocazione, su una struttura fragile ed incostante di personalità, che non è in grado di portare a compimento il dono di Dio. È qui che si innesta il dovere/esigenza di confrontarsi e chiedere consiglio a persone competenti e di fiducia. È inoltre importante per il soggetto essere in ascolto delle invocazioni e provocazioni che provengono dalle interpellanze della realtà circostante; da sempre i “segni dei tempi” sono segnali e stimoli per scoprire la volontà di Dio su di sé.
C’è poi, a fianco del discernimento dell’individuo su se stesso, un contemporaneo discernimento da parte della comunità cristiana, proprio attraverso il formatore/educatore. Essa deve riconoscere in quella persona specifica il movimento interiore dello Spirito, cioè una vera chiamata personale. Deve inoltre prendere in esame le motivazioni per scoprirvi l’esistenza o no della retta intenzione.
Infine è importante fare l’accertamento delle attitudini richieste per vivere una determinata vocazione. Qui il dialogo fra teologia e scienze umane deve essere stretto e ben articolato con un fecondo campo di applicazione e di confronto. Un buon discernimento vocazionale deve produrre come risultato una sufficiente libertà ed un buon equilibrio psicologico e portare a una buona accettazione di sé e ad un orientamento allocentrico oblativo della propria vita.
Se la consistenza vocazionale è buona, ci sarà nella persona un’abituale serenità interiore, una sicurezza psicologica sufficiente e l’instaurare dei rapporti interpersonali soddisfacenti. Sono cose valide da sempre. Forse oggi richiedono di essere più attenti a posizionarle nel contesto di maggiore attenzione psicologica e sociologica. Ma, per poterle applicare bene, cosa ci vuole?
Il travaglio dei giovani
Non so se i formatori/educatori delle generazioni passate si siano trovati a dovere fare i conti con tanta varietà di giovani, come ci tocca oggi. Credo, senza paura di sbagliare, che il tipo dei giovani dei tempi andati fosse facilmente classificabile e gli schemi dei formatori/educatori potevano essere validi sempre e correre normalmente sulla linea dello standard.
Oggi la “bit generation”, cioè i giovani plasmati dallo zapping televisivo e dalla navigazione Internet sono difficilmente classificabili per le pluriappartenenze, che li contraddistinguono, per la frammentazione che genera identità deboli e difficoltà a trovare un senso da dare alla vita, per il culto del presentismo, stile attimo fuggente, imprese da piccolo cabotaggio e tanta insicurezza, per il soggettivismo, ad oltranza, che li rende più camaleonti di quanto si può congetturare.
Allora è sbagliato in partenza – mi sembra – sforzarsi di piazzare quel curriculum di discernimento, di cui sopra, pensando di calarlo in strutture giovanili preconfezionate secondo i nostri schemi e modelli o secondo la struttura dell’Istituzione per quanto santa e cattolica, quasi si trattasse di contenitori vuoti da riempire col nettare prelibato della nostra guida spirituale attraverso il percorso del discernimento vocazionale.
Otterremo semplicemente un rifiuto che i giovani esprimono con accenti contestativi o, con più frequenza oggi, in un gelido rapporto di chiusura a riccio. Per il variegato tipo dei giovani di oggi vale unicamente il metodo provocazione scommessa, anche per ciò che riguarda il meccanismo del discernimento vocazionale.
Si tratta di non forzare per nulla i giovani in forme preconfezionate ma accompagnarli a scoprire in sé gli elementi della chiamata ed aiutarli ad esplicitarli, potando quel sovrappiù che impedisce loro di liberare le loro energie vocazionali profonde, poi l’impegno diventa tutto e solo un problema di crescita. Vale l’antica forte convinzione di Michelangelo, che il capolavoro c’è già tutto dentro il blocco di marmo strappato alle viscere della montagna. Si tratta semplicemente ed artisticamente di levare questo sovrappiù.
Insomma anche il giovane di oggi, più di quello del passato è affascinato dalla prospettiva di diventare se stesso e, guarda caso, proprio attraverso il canale privilegiato della sua vocazione. Si tratta di quel risveglio della persona di cui parlavamo all’inizio, che ha il suo luogo privilegiato proprio nel discernimento vocazionale. È questa la possibilità di diventare quel che si crede di essere di Gandhi. Tradotto tutto questo in termini biblici, è quel riservare per Dio una persona per la missione che egli le vuole affidare.
Un nuovo formatore/educatore
A questo punto, il problema più grande non è più né il contenuto del discernimento vocazionale (che è perenne) né la metodologia della relazione di aiuto (che risulta facilmente apprendibile); non è nemmeno la tipologia variegata dei giovani di oggi. A questo punto, il vero problema è e rimane il formatore/educatore.
Con quale formazione e struttura della sua personalità egli è in grado di affrontare il procedimento del discernimento vocazionale a servizio dei giovani di oggi? Non basta di sicuro da parte dei formatori/educatori conoscere bene i contenuti ed il processo di discernimento vocazionale. Non basta nemmeno, anche se è decisamente una gran cosa conoscere bene la variegata gamma dei giovani di oggi.
Basta vedere i risultati di tanta teologia, psicologia, sociologia scritta e conosciuta: una vera conoscenza teorica e libresca, che risulta impraticabile nel concreto del contatto vivo con i giovani e inapplicabile nella maggioranza dei casi concreti.
Cosa manca allora a tanti formatori/educatori, pur dotati di una buona preparazione professionale allo scopo? A mio avviso manca il più e cioè un nuovo stile di fare il formatore/educatore.
Accenno solamente ad alcuni elementi di questo nuovo stile e di questo nuovo identikit:
– essere formatore/educatore oggi: uno che sa fare sintesi tra storia personale, cammino di vita, tradizione ecclesiale e segni dei tempi;
– essere formatore/educatore oggi: uno in continua ricerca ed autoformazione con il gusto di vivere lui per primo ciò che insegna agli altri come cammino di vita;
– essere formatore/educatore oggi: uno che ama condividere da vicino il cammino dei giovani.
Sono poche modalità concrete ma molto efficaci, per piazzare nel modo migliore il contenuto del discernimento vocazionale nella temperie che ci tocca vivere.
Conclusione
In troppi casi i formatori/educatori, alle prese con il travaglio dei giovani e con l’importanza di un serio discernimento vocazionale, preferiscono delegare agli specialisti o, più ancora, finiscono per rassegnarsi, lasciare perdere e rinverdire l’antico mito di Esopo, cioè la sindrome dell’uva acerba, anche per velare, almeno un po’, il proprio sentirsi inadeguati allo scopo ed all’impresa.
Ma è possibile anche oggi operare per i giovani di oggi un buon discernimento vocazionale. La soluzione c’è e non sta certo nel senso di inadeguatezza. Basterebbe pensare che il nostro Dio è un tipo che non demorde mai e, se è vero che esistono effettive difficoltà per gestire e guidare un serio discernimento vocazionale, sussiste più grande la sua passione nel formare e costruire dei capolavori vocazionali anche tra i giovani di oggi.
E allora chi sei tu per arrenderti e rassegnarti così facilmente? Allora è possibile ma … a patto che tu, formatore/educatore, accetti per primo di metterti in linea con le nuove esigenze del discernimento vocazionale. E questa rimane la vera grande sfida
Note
[1] Ulteriori approfondimenti in proposito sono possibili con le opere alle quali ho fatto riferimento nello stendere il contributo: ATTENBOROUGH R., Le parole di Gandhi, Tea, Firenze 1989. CABRA P.G., Uomini dello Spirito generatori di sanità e cultura in AA.VV., I Religiosi e le sfide del Terzo Millennio, Rogate, Roma 1996. DE MELLO A., Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, Piemme, Casale 1995. DE PIERI S., Il discernimento vocazionale, criteri di idoneità e controindicazioni in AA.VV., Cammini Formativi per una profezia della vita religiosa femminile (E. Rosanna, P. Del Core a cura di), LAS, Roma 1996.