N.06
Novembre/Dicembre 1996

La povertà evangelica negli insegnamenti della Chiesa

Riflettere sul senso e l’importanza della povertà evangelica è oggi un’esigenza di non poca importanza. In una società fondata su di “un materialismo avido di possesso, disattento verso le esigenze e le sofferenze dei più deboli e privo di ogni considerazione per lo stesso equilibrio delle risorse naturali” è indispensabile per la comunità cristiana riscoprire la forza vivificante dell’annuncio della “povertà evangelica”.

In questi anni sono stati frequenti gli interventi pontifici per risvegliare l’attenzione dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà sul fatto che la vita personale e sociale fondata sull’avere, sul possesso rende schiavi delle cose, chiude agli altri, comporta insaziabilità.

La povertà insegnata da Cristo, invece, introduce nella libertà dell’essere perché non è solo distacco dalle ricchezze materiali, ma un lasciarsi dietro le spalle le proprie certezze, la cieca fiducia nelle proprie capacità e il proprio egoismo e entrare nel mondo della fede. Gesù non riprende la parola “povero” nel senso fisico di indigenza totale o quasi che ha nel linguaggio comune; egli indica piuttosto coloro che non contano sulle proprie forze perché hanno ben poco di cui gloriarsi o cui appoggiarsi, ma sono certi del Signore, della sua bontà, della sua potenza, della sua misericordia. Il povero secondo Gesù è colui che cammina nella vita aspettando tutto da Dio. Essere povero nello spirito è fidarsi davvero dell’amore del Padre celeste, è preoccuparsi del regno di Dio perché tutto il resto, cibo, vestito e tutto quanto ci serve per dare senso al nostro vivere ci verrà dato in abbondanza.

È questa la povertà vissuta sull’esempio di Cristo che “da ricco che era, si è fatto povero” (2Cor 8,9). Povertà che manifesta il “dono totale di sé” che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. Che è dono che trabocca nella creazione e si manifesta pienamente nell’Incarnazione del Verbo e nella sua morte redentrice (cfr. VC 21). In questa prospettiva la povertà confessa che Dio è l’unica vera ricchezza dell’uomo ed è l’opera che mostra la fede e la rende viva e operante nella storia. La storia della Chiesa, infatti, è percorsa tutta da meravigliose testimonianze di uomini e donne che hanno scelto uno stile di vita cristiana fondato sulla povertà evangelica. La loro è stata una povertà che ha arricchito l’uomo e ha fatto progredire il mondo sulla via della giustizia, della verità e della dignità di ogni vita.

 

“Quanti Istituti si dedicano all’educazione, all’istruzione e alla formazione professionale, mettendo in grado giovani e non più giovani di diventare protagonisti del loro futuro! Quante persone consacrate si spendono senza risparmio di energie per gli ultimi della terra! Quante di esse si adoperano a formare futuri educatori e responsabili della vita sociale, in modo che si impegnino ad eliminare le strutture oppressive e a promuovere progetti di solidarietà a vantaggio dei poveri! Esse lottano per sconfiggere la fame e le sue cause, animano le attività del volontariato e le organizzazioni umanitarie, sensibilizzano organismi pubblici e privati per favorire un’equa distribuzione degli aiuti internazionali. Le nazioni devono veramente molto a questi intraprendenti operatori e operatrici di carità, che con la loro instancabile generosità hanno dato e danno un sensibile contributo per l’umanizzazione del mondo” (VC 89).

 

Gesù, “da ricco che era”

La via della povertà è stata percorsa fino in fondo proprio da Gesù Cristo. Tutta la sua vita è una spoliazione continua. Egli “non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” e si fa uomo. Fin dalla sua nascita è circondato da tipiche figure di poveri: i pastori, Simeone, Anna, Giuseppe e specialmente Maria, la “serva” del Signore, che esulta nel canto della povertà per eccellenza, il Magnificat. Per lui alla nascita c’è solo una stalla, per lui al tempio c’è solo l’offerta dei poveri. Egli è perseguitato, esiliato fin da piccolo. Cresciuto, “non ha dove posare il capo”. Infine la povertà di Gesù risplende in tutta la sua forza specialmente negli ultimi giorni della sua vita terrena. Egli è il Re umile e povero annunciato da Zaccaria che entra in Gerusalemme per salire sul trono della Croce e mostrare a tutti i poveri della terra la via della vita. In quei giorni sperimenta il tradimento di Giuda, l’abbandono dei suoi apostoli, il rinnegamento di Pietro, e sulla croce esclama: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Qui egli giunge al culmine della povertà e consegna l’ultima cosa che gli è rimasta: “Padre nelle tue mani affido il mio Spirito”.

In questa luce va compreso l’insegnamento categorico di Gesù: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo” (Lc 14,33) e la spiegazione che ne da con le parabole del tesoro nel campo e della perla preziosa. Il regno di Dio ha un valore così grande che bisogna liberarsi di tutto per acquistarlo. Gesù non condanna la ricchezza in se stessa, ma insegna che ricchezza e comodità presentano un pericolo concreto per l’uomo che vuol realizzare la sua vocazione, perché ingombrano il cuore, rendono difficile l’ascolto e miope la vista, e molto spesso bloccano il cammino verso la libertà dei figli di Dio. La testimonianza della vocazione mancata del “giovane ricco” ne è una prova chiarissima: “Egli se ne andò via triste”. Eppure Gesù è venuto a portare gioia. Ancora nel seno della Madre porta gioia: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44), esclama Elisabetta quando il saluto di Maria giunge ai suoi orecchi. La gioia è il dono che Gesù prepara per quanti lo seguiranno: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44); “Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21).

 

“Beati i poveri nello spirito”

La vita cristiana ha così la missione di cantare al cuore dell’uomo il grande inno dei redenti: le beatitudini del discorso della montagna. La voce che sostiene tutte le altre è quella della prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno di Dio”. Tutte le altre beatitudini sono legate direttamente o indirettamente a questa. I poveri di cui si parla nelle beatitudini sono detti “privilegiati” perché la missione di Gesù li riguarda particolarmente: egli è stato inviato per essere il loro consolatore e portare loro la felicità del regno.

L’azione di Cristo e la forza di questa beatitudine giungono anche a noi, e possiamo farne esperienza in modo tutto speciale nella celebrazione eucaristica, dove Gesù ha racchiuso e attuato per sempre la “povertà per il regno” e la offre a tutti coloro che sono chiamati a partecipare a questo banchetto di grazia. Il canto poi dall’Eucaristia irrompe nella vita per mezzo dello Spirito Santo, che è dono, con una novità autentica se si impara a rendere grazie sempre e dovunque insieme a Cristo, povero e servo perché tutti gli uomini diventino ricchi nell’amore e nella gioia della libertà pasquale.

La povertà è la premessa indispensabile per ogni vero incontro con Dio: stare coscientemente davanti a lui come mendicanti, accogliendo l’esistenza e ogni bene, soprattutto la fede, ma anche quelli materiali, come suo dono. E da questo dono dell’unico Padre, ricevuto con animo grato, comporta l’obbligo, scritto nei cuori dallo Spirito, di condividere tutto ciò che abbiamo ricevuto con i nostri fratelli. È l’esperienza concreta di Gesù che nel dono totale di sé al Padre per la nostra salvezza raggiunge la sua “perfezione”. In questa prospettiva la povertà evangelica non è un dovere e privilegio delle persone consacrate, ma un’esigenza di quanti sono chiamati a seguire Gesù nella via della vita: Laici, Ministri Sacri e Consacrati, anche se vissuto con modalità e gesti diversi.

 

“Prima ancora di essere un servizio per i poveri, la povertà evangelica è un valore in se stessa, in quanto richiama la prima delle Beatitudini nell’imitazione di Cristo povero. Il suo primo senso, infatti, è testimoniare Dio come vera ricchezza del cuore umano. Ma proprio per questo essa contesta con forza l’idolatria di mammona, proponendosi come appello profetico nei confronti di una società che, in tante parti del mondo benestante, rischia di perdere il senso della misura e il significato stesso delle cose. Per questo, oggi più che in altre epoche, il suo richiamo trova attenzione anche tra coloro che, consci della limitatezza delle risorse del pianeta, invocano il rispetto e la salvaguardia del creato mediante la riduzione dei consumi, la sobrietà, l’imposizione di un doveroso freno ai propri desideri. Alle persone consacrate è chiesta dunque una rinnovata e vigorosa testimonianza evangelica di abnegazione e di sobrietà, in uno stile di vita fraterna ispirata a criteri di semplicità e di ospitalità, anche come esempio per quanti rimangono indifferenti di fronte alle necessità del prossimo” (VC 90).

 

Seguire Cristo è sempre un “accogliere la legge della Croce” e entrare in quella povertà che è libertà da tutto e da tutti, anche da noi stessi, per poter finalmente “operare con lui” la salvezza dell’uomo. Non si deve pensare di dover lasciare qualcosa o qualcuno. La rinuncia alla brama di dominio e di possesso ha lo stesso orizzonte di Cristo: servire l’uomo. Povertà è allora solidarietà salvifica, è far ricca l’umanità con la nostra povertà, è dire con Maria: “Ecco la serva del Signore” e cantare con lei il festoso cantico del Magnificat.

 

“Predilezione per i poveri”

La povertà evangelica mostra tutta la sua novità e la sua forza di salvezza nel rapporto che sa instaurare con i poveri e gli emarginati della terra. Gesù ha un rapporto tutto particolare con i poveri. Al di là del dovere di assistenza, ripreso dagli insegnamenti tradizionali, egli ha dato alla povertà effettiva un valore. Sapendo che ci saranno sempre dei poveri sulla terra ha insegnato a vedere in essi un sacramento della propria presenza: attraverso i diversi volti della povertà noi giungiamo misteriosamente a lui. La povertà diventa così capacità di riconoscere Gesù e portarlo là dove ci ha preceduto con la sua misteriosa presenza e dove ci chiama a manifestare la forza salvante e liberante del suo amore.

La Chiesa primitiva ha vissuto in semplicità questo ideale di povertà. Allo zoppo della porta “bella” Pietro dichiara di non avere né oro né argento (At 3,6), e per questo può offrire solo la potenza salvante di Cristo. La testimonianza poi dell’apostolo Paolo mostra come povertà e carità sono i fili con i quali ha edificato in Cristo la Chiesa e fatto camminare l’evangelizzazione. L’apostolo Giacomo scrive: “Ascoltate, fratelli miei carissimi, Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2,5). Anche ai nostri giorni non possono essere che questi i fili con i quali tessere il vestito nuovo per una società rinnovata dalla civiltà dell’amore. L’Esortazione Apostolica “Vita Consacrata” invita i consacrati a guardare in modo tutto particolare al fine proprio della loro povertà evangelica.

 

“L’opzione per i poveri è insita nella dinamica stessa dell’amore vissuto secondo Cristo. Ad essa sono dunque tenuti tutti i discepoli di Cristo; coloro tuttavia che vogliono seguire il Signore più da vicino, imitando i suoi atteggiamenti, non possono non sentirsene coinvolti in modo tutto particolare. La sincerità della loro risposta all’amore di Cristo li conduce a vivere da poveri e ad abbracciare la causa dei poveri. Ciò comporta per ogni Istituto, secondo lo specifico carisma, l’adozione di uno stile di vita, sia personale che comunitario, umile ed austero. Forti di questa testimonianza vissuta, le persone consacrate potranno, nei modi consoni alla loro scelta di vita e rimanendo libere nei confronti delle ideologie politiche, denunciare le ingiustizie che vengono compiute verso tanti figli e figlie di Dio, ed impegnarsi per la promozione della giustizia nell’ambiente sociale in cui operano. In questo modo, anche nelle attuali situazioni, si rinnoverà, attraverso la testimonianza di innumerevoli persone consacrate, la dedizione che fu propria di fondatori e fondatrici che spesero la loro vita per servire il Signore presente nei poveri”. (VC 82).

 

Chiamati oggi a vivere evangelicamente “poveri”

La sfida che pone oggi la povertà evangelica alla Chiesa e in particolare alla Vita Consacrata chiede una revisione serena e fiduciosa dei propri atteggiamenti e una verifica umile e seria dei propri comportamenti e delle proprie strutture per recuperare i fili della povertà e carità per far camminare la nuova evangelizzazione.

 

“Senza nulla di proprio”

La povertà libera l’annuncio evangelico da ogni nostra sovrastruttura ideologica e culturale e aiuta a portare l’annuncio di Cristo non con la potenza dei mezzi economici e la cultura ma con la sapienza che sgorga dalla sua Pasqua di morte e risurrezione.

 

“Senza aver nulla da difendere”

La povertà libera l’evangelizzazione dalla tentazione del potere, dalla ricerca dell’efficacia nella tecnica e nei mezzi materiali e rende umili e capaci di accogliere i rifiuti e le umiliazioni non come fallimenti, ma come segno della Croce di quel Gesù che cammina con colui che egli stesso ha inviato. Costui, alla scuola della povertà, impara a servire il Vangelo in umiltà e sa che l’efficacia delle sue opere non si fonda sulle sue capacità, quando sulla potenza dello Spirito Santo che opera per mezzo di lui.

 

“Portando solo Cristo e Cristo crocifisso e risorto”

La povertà nello Spirito, infine, aiuta a camminare tra gli uomini del nostro tempo, partecipando alla loro quotidiana fatica di vivere, vivendo accanto a loro, portando in noi i segni della presenza e dell’esperienza dell’amore di Cristo, che sorpassa ogni immaginazione. Solo un nuovo incontro con Cristo crocifisso e risorto, che nella mitezza e umiltà del suo cuore accoglie tutti, aprirà le porte del cuore di tanti uomini e donne che vivono nella precarietà la tristezza della quotidiana ricerca di benessere, e li renderà disponibili ad un rinnovato cammino di fede. Soltanto la povertà evangelica, fortemente vissuta e umilmente testimoniata farà risuonare anche oggi sulle strade dell’uomo il grido forte di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,28-29).