N.05
Settembre/Ottobre 2020

Il mistero della croce

di Margareth Dorigatti

Margareth Dorigatti, Il mistero della croce, Conferenza Episcopale Italiana, Lezionario domenicale e festivo anno B

 

 

 

Il “Mistero della Croce” di Margareth Dorigatti prende spunto dalle parole rivolte da Gesù al fariseo Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15).

Gesù si riferiva all’episodio narrato nel libro dei Numeri in cui Dio, stanco delle continue infedeltà degli israeliti peregrinanti nel deserto, aveva inviato in mezzo a loro dei serpenti velenosi. Mosè, tuttavia, intercedette per il popolo peccatore, riuscendo a placare l’ira del Signore, che gli disse: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (Nm 21,8-9).

Il serpente di bronzo che Mosè innalzò nel deserto non era dunque un idolo, ma – come puntualizza il Libro della Sapienza – era «un segno di salvezza» (Sap 16,6). Come tale è stato anche interpretato dal cristianesimo, il quale vi ha visto la prefigurazione dell’opera redentiva che Cristo Gesù realizzerà sulla croce, come era stato appunto rivelato a Nicodemo.

Paradossalmente, dunque, il serpente – sotto le cui spoglie, all’inizio della creazione si era celato il Maligno che fu la causa la caduta di Adamo ed Eva, e che per questo era stato maledetto da Dio (cf. Gen 3,1ss) – è ora trasformato in simbolo e strumento di salvezza. Questa è anche la ragione per cui la Dorigatti riproduce il serpente bronzeo innalzato su un’asta con le fattezze di una croce, mentre, dall’altra, rappresenta il serpente velenoso che mordeva gli israeliti come una “serpentina” dalle fattezze antropomorfiche, a sottolineare la scaltrezza del Maligno, che si adatta al sentire dell’essere umano, pur di riuscire a penetrare il suo cuore, sedurlo e soggiogarlo ai suoi propositi di male.

Per quanto riguarda la distribuzione compositiva dell’immagine, il serpente antropomorfizzato è ritratto su uno sfondo nero (simbolo della sua natura mortifera) che è circondato da una massa di colore giallo ocra (che richiama il contesto naturalistico – in questo caso il deserto – nel quale il Maligno opera) e da un’altra di colore bianco-azzurro (che allude al mondo divino). Da quest’ultima si staccano frammenti luminosi che penetrano lo sfondo nerastro, raggiungendo la figura serpentina e rendendola parzialmente traslucida, come se stessero per trapassarla e dissolverla nella luce divina. La fonte di questa luce è localizzata nell’alone che circonda la sommità dell’asta sulla quale è innalzato il serpente di bronzo. Essa si incunea nella massa giallo ocra, simbolo della terrestrità nella quale il Maligno, appunto, agisce mimetizzandosi abilmente (l’ovale – che rappresenta la testa del serpente antropomorfizzato – è dello stesso colore). Il fatto poi che il serpente/Maligno sia posto nella parte inferiore dell’immagine, ossia in una posizione subordinata rispetto all’asta/croce, allude al fatto che egli sia irrimediabilmente destinato a soccombere al Cristo Gesù, la cui vittoria è garantita dalla sua morte in croce.

Un’ultima annotazione. Come chiaramente constatabile, nel “Mistero della Croce” della Dorigatti il contenuto narrativo è ridotto all’essenziale. Il fatto che non vi siano appigli, dal punto di vista figurativo o stilistico, che avrebbero potuto rendere l’immagine più comprensibile, sta a dimostrare che, nel trasporre visivamente il “mistero della croce”, anziché indugiare su una riproduzione figurativa dell’evento in sé, l’artista ha preferito dirigere lo sguardo del fruitore oltre la siepe degli accadimenti, per fissarlo – alla luce della fede – sul mistero che quegli stessi accadimenti racchiudono. Del resto, la morte di Gesù in croce – assieme alla sua risurrezione – costituisce il fulcro del misterioso disegno di salvezza con cui Dio ha voluto mostrare all’umanità il suo amore incommensurabile. Ne consegue che ogni tentativo di descrivere questo mistero – al di là del suo grado di comprensibilità – finisce col cedere inevitabilmente il posto all’intima contemplazione di esso, l’unica attitudine in grado di farci percepire l’immensa profondità della morte salvifica di Gesù, una morte che è stata la causa della nostra vita.

 

 

 

 

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