Se la carità del Bambino di Betlemme ci muove
A volte basta aprire una porta e accogliere, far entrare. Che sia piccola o grande, socchiusa o spalancata questo non importa a Dio, perché quando entra fa nuova tutta la vita. Ma è folle, è una pazzia, accogliere un Dio Bambino, così fragile, così piccolo, così normale carne d’uomo. Lui nasce a Betlemme, viene al mondo povero, senza privilegi, senza onore, «viene per farsi amare e non temere »[1].
Semplice il mistero eppure fa tremare, perché chi lo abbraccia con il cuore disponibile percorre strade inedite: così fu all’inizio del 1200 per San Francesco di Assisi, così per tante storie. Storie che ne muovono altre, come quella di una donna abruzzese di fine ‘800 che, sui passi del Poverello, volle camminare e diede inizio ad una famiglia religiosa di consacrate che affonda le radici e prende il nome dal mistero di Betlemme: le suore francescane missionarie di Gesù Bambino. Nasciamo dall’ispirazione di una ragazza de L’Aquila, Barbara Micarelli, che contempla la sua vita come un miracolo; a circa vent’anni, guarisce da una grave malattia e desidera farne dono per altri. Proprio la notte di Natale del 1879, Barbara riceve il nome di suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino e il saio francescano dalle mani del Padre generale dei frati minori. «Essere tutte del nato bambino di Betlemme»[2], dice a noi, sue figlie, ma per chi? Per i poveri, per i piccoli, per chi vive ai margini, per gli orfani, i malati. Ognuno di noi sa che il tempo della propria vita è qualcosa di prezioso e l’unico modo per farlo fiorire è viverlo nella carità. Lì, negli occhi del prossimo, Maria Giuseppa riconosce Gesù da amare e servire, per il quale vale la pena persino «faticare allegramente»[3] – come lei amava dire – con quella letizia che ha il gusto buono della gratuità. E poi, anno dopo anno, da quel piccolo inizio, lei diviene madre di altre sorelle che si consacrano a Dio; una fraternità francescana che con una vita semplice, povera, umile, obbediente, porta agli uomini il messaggio di gioia e di pace del Natale.
“Per il sollievo delle umane miserie”: una missione, un invito forte, che parte dalla voce di suor Maria Giuseppa e attraversa la storia di ogni francescana di Gesù Bambino fino ad oggi a chiederci passione, ma anche dolcezza, la cura di una madre e lo slancio di una sposa. Per quale missione? Il Signore ci ha chiamate e volute come segno tra gli uomini di quell’Amore che ha scelto la piccolezza e l’umiltà per raggiungere tutti, proprio tutti… e ricondurci a casa.
Abbiamo un tesoro grande e prezioso, affidato alle nostre mani: quello del carisma francescano. «Come pellegrini e forestieri» [4], così Francesco invitava i suoi frati ad andare per il mondo, fratelli di tutti perché figli dello stesso Padre che è nei cieli. E’ grande il sogno di Dio, da costruire insieme, chiede impegno ed umiltà, chiede piccoli passi, ma anche profondo coraggio: la fraternità. Abbracciare questo sogno, per la nostra comunità di consacrate, significa non solo vivere insieme, ma vuol dire anche aprire il cuore con umile fiducia e rivelarci così come siamo, nei bisogni e nelle mancanze, nei doni e i desideri. Forse questa è una delle più urgenti domande che il mondo ci pone: è possibile amare? E’ possibile perdonarsi, camminare insieme, anche quando ci si può ferire, anche se si può fallire? Siamo donne che offrono la loro umanità anche nella fatica perché Cristo la abiti e ne faccia strumento del suo amore, riflesso della sua bellezza. La profezia che questo tempo attende dalla vita consacrata sono occhi di misericordia, mani che accolgono, piedi che fanno il primo passo verso l’altro, trasparenza di quello sguardo di benedizione che Dio rivolge incessantemente all’uomo e al suo cammino, tenerezza di una relazione che resta, che è fedele, che non torna indietro.
Per il suo sguardo, per quel nome nuovo che il Signore a ognuna, nel segreto, ha rivelato, abbiamo abbracciato questa vita e scelto di camminare sulle orme di Gesù casto, povero, obbediente. Come argilla nelle mani del vasaio, giorno dopo giorno, lasciamo modellare la nostra vita nella forma del suo amore povero e crocifisso. Per questo, il nostro abito, come quello dei frati minori, è fatto a forma di croce: lì brillano e trovano il loro senso le ferite e le gioie della nostra esistenza.
Ogni vita è voluta, amata, chiamata, e mandata: ecco quale annuncio la nostra sequela di Gesù fa al mondo, portando la Parola immensa e allo stesso tempo debole del Dio fatto uomo. Noi suore viviamo il voto di povertà, confidando nella provvidenza, ma, allo stesso tempo, raccogliendo i frutti del nostro lavoro. Educativo, pastorale, assistenziale: sono alcuni degli ambiti dove le suore francescane missionarie di Gesù Bambino si trovano ad operare in Italia, ma anche all’estero, in altri paesi del mondo.
“Iddio è la mia primavera, la mia vita e salute[5]”, affermava suor Maria Giuseppa in un tempo di gravi difficoltà e incertezze. Mai come oggi, quell’affermazione risuona vera e piena di speranza nel nostro cuore. C’è il buio sì, ma ci sono anche germogli di vita che hanno bisogno di cure, c’è il futuro dei giovani per cui spendere con passione le nostre vite, ci sono vocazioni da accompagnare e custodire, ci sono cuori a cui bussare, ci sono sogni da risvegliare. Siamo come delle sentinelle certe dell’arrivo della luce, ci auguriamo che il sole che sorge ci trovi tutti occupati ad amare perché la carità di Betlemme ci muove.
Se ti è piaciuto questo articolo, leggi anche Umiltà e povertà e Proseguite a faticare allegramente a cura della stessa autrice.
[1] Regola manoscritta da suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino del 1890.
[2] Lettera di suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino del 1892.
[3] Lettera di suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino del 1894.
[4] Francesco di Assisi, Rb VI, in FF 90.
[5] Lettera di suor Maria Giuseppa di Gesù Bambino del 27 novembre 1879, pochi giorni prima della sua consacrazione religiosa.