N.01
Gennaio/Febbraio 2014

Il figlio dell’altra

Les fils de l'autre

Regia: Lorraine Lévy
Sceneggiatura: Nathalie Saugeon, Lorraine Lévy, Noam Fitoussi
Interpreti: Emmanuelle Devos (Orith), Pascal Elbé (Alon), Jules Sitruk (Joseph), Mehdi Dehbi (Yacine), Areen Omari (Leïla), Khalifa Natour (Saïd), Mahmud Shalaby (Bilal), Diana Zriek (Amina), Marie Wisselmann (Keren), Bruno Podalydès (David), Ezra Dagan (Rabbino)
Distribuzione: Teodora Film/Spazio Cinema
Durata: 105’
Origine: Francia, 2012

Presentato al Torino Film Festival nella Sezione “Festa Mobile”.

La regista – È la sorella del celebre scrittore Marc Lévy (di cui ha portato sullo schermo il romanzo Mes amis, mes amours). Inizial­mente regista e autrice per il teatro, comincia a lavorare per la te­levisione come sceneggiatrice, firmando più di trenta copioni per le maggiori reti nazionali. Esordisce sul grande schermo con La pre­mière fois que j’ai eu 20 ans (2005), ma il successo arriva con il citato film tratto dal romanzo del fratello (2008). Nel 2010 dirige per la televisione il film Un divorce de chien!. Francese di origine ebraica, Lorraine Lévy affronta ora, con Il figlio dell’altra, una tematica di scottante e drammatica attualità: il rapporto tra Ebrei e Palestinesi.

La vicenda – Joseph è un ragazzo ebreo di circa diciotto anni che si presenta alla visita di leva per entrare nell’esercito israeliano. Ma dall’analisi del sangue risulta che è impossibile ch’egli sia figlio dei suoi genitori (Orith e Alon). Dopo accurate indagini viene a galla la verità: il giorno della sua nascita, all’ospedale di Haifa ci fu un’evacuazione per motivi di sicurezza che provocò uno scambio di bambini. Joseph in realtà è figlio di una coppia di palestinesi (Leïla e Saïd) che vivono in Cisgiordania, mentre il figlio di questi, Yacine, è il vero figlio della coppia ebraica. La verità sconvolge non solo i genitori ma anche Joseph e Yacine, che vivono sulla propria pelle la lacerante perdita della propria identità. Le reazioni sono diverse e contrastanti, visto che non si tratta soltanto di scoprirsi diversi, ma di avere la consapevolezza di appartenere ad un altro popolo; un popolo che fino a quel momento era stato considerato con diffi­denza o addirittura con odio. Solo attraverso un itinerario di cono­scenza, di dialogo, di apertura sarà possibile comprendersi e vivere la propria vita in modo sereno e dignitoso. 

Il racconto – Il racconto procede con una struttura lineare che permette di dividere la vicenda in alcuni grossi blocchi narrativi. Protagoniste del film sono le due famiglie. Quella di Joseph Sil­berg comprende il padre Alon, la madre Orith, Joseph e la sua so­rellina; quella di Yacine Al Bezaaz è costituita dal padre Saïd, dalla madre Leïla, da Yacine, da suo fratello Bilal e dalla sorellina Amina.
Tutto il racconto ruota attorno a due elementi tematici che rap­presentano due grossi perni strutturali: quello dell’emergere della verità circa l’identità dei due ragazzi e quello delle varie reazioni e dei vari atteggiamenti dei personaggi. Inoltre si può osservare come la prima parte del film sia caratterizzata da un montaggio alternato, passando dalle vicende di una famiglia a quelle dell’altra (separata­mente); mentre nella seconda parte c’è una sorta di compenetrazione che mette in relazione i vari membri delle due famiglie tra di loro.

PRIMO BLOCCO – L’incipit del film è costituito da un’immagine che mostra le colline di Israele. Sullo sfondo si vedono i grattacieli di Tel Aviv e in primo piano c’è un campo militare. Poco dopo si vede Joseph che sta sostenendo la visita militare. Veniamo a sapere che il ragazzo (che ammette di fare episodicamente uso di hashish) è fi­glio di un colonnello dell’esercito e che ha fatto domanda di entrare in un corpo speciale. Joseph risponde alle varie domande ed espri­me la sua passione per la musica (dopo il servizio militare vuole fare il cantante). Viene accettato e poco dopo lo ritroviamo sulla spiaggia a suonare la chitarra con alcuni amici. Entra in campo Orith, la madre psichiatra, che gli dice che deve rifare le analisi del sangue perché si è verificato un errore. Ma i nuovi risultati sono uguali ai primi e dicono che Joseph non può essere il figlio di Alon e Orith. Poco alla volta viene fuori la verità. Inizialmente Alon non vuole credere alle analisi; poi, inevitabilmente, pensa ad un tradimento della moglie. Ma questa, che ha colto il turbamento del marito, lo rassicura: «No, Alon, io non ti ho mai tradito». Finalmente David, un medico collega di Orith, ha un’intuizione: «Joseph potrebbe non essere tuo figlio». Ed ecco la prova del DNA che dimostra che le cose stanno proprio così. I coniugi vengono convocati all’ospe­dale di Haifa dov’era avvenuto il parto. Qui trovano una coppia di palestinesi, Saïd e Leïla. Entrambe le coppie vengono introdotte da un medico che, con grande imbarazzo, racconta dell’evacuazio­ne dell’ospedale, avvenuta quel giorno, che può aver provocato lo scambio dei bambini. Il medico si rende conto della gravità della situazione e parla della possibilità di cambiare l’identità dei due ra­gazzi. Poi osserva: «In ogni caso dovrete informarli sugli iter am­ministrativi necessari presso il Ministero dell’interno». Ed ecco le prime reazioni. Alon sbotta: «Assolutamente no; Joseph è un Sil­berg, non se ne parla». Poi esce bruscamente dallo studio: «Non ce la faccio». Poco dopo esce anche Saïd. È importante sottolineare le reazioni dei padri, che non si parlano e si guardano in cagnesco, e quelle delle madri, che restano una accanto all’altra, scambiandosi le foto dei propri figli, iniziando un dialogo e stringendosi le mani. 

SECONDO BLOCCO – Yacine, che si è appena diplomato a Pari­gi e che intende iscriversi a medicina, fa ritorno in Israele. Il film sottolinea la situazione esistente in quel paese: il grande muro che separa gli ebrei dai palestinesi, il filo spinato, i posti di blocco, ecc. Yacine abbraccia la madre e il fratello Bilal, che inveisce: «Non è cambiato niente; siamo sempre prigionieri e la nostra terra è ta­gliata in due, ce l’hanno rubata». Poi arrivano a casa dove Yacine distribuisce i regali che ha portato da Parigi.
Nel frattempo Joseph viene a sapere di essere stato esonerato dal servizio militare (evidentemente le autorità sono state avvertite). Di fronte alla sua sorpresa, la madre ha il coraggio di dirgli tutta la verità (nonostante l’opposizione del padre). Joseph è sconvolto: «Vuoi dire che sono un altro? E che l’altro è me?». Poi continua: «Dovrò scambiare la mia kippah con una cintura esplosiva? Sono ancora ebreo?». La stessa domanda Joseph la rivolge più tardi al rabbino. Questi gli risponde: «Puoi esserlo ancora solo se lo vorrai veramente: dovrai procedere ad una conversione che si svolge in tre tappe: la circoncisione (che hai già fatto), l’accettazione della Torah e infine l’immersione in un bagno rituale davanti a tre rab­bini». Il rabbino gli spiega che l’ebraismo è uno “stato”, uno stato spirituale connesso alla sua stessa natura: «Se la tua vera madre non è ebrea non lo sei nemmeno tu; almeno non ancora». Mentre “l’altro” è ebreo a tutti gli effetti: «Lo sono i suoi genitori; è la natu­ra». Joseph non riesce a capire e se ne va protestando: «Ma quello è un arabo; un arabo». 

TERZO BLOCCO – Orith telefona a Leïla per dirle che Joseph vorrebbe conoscerli. Ma Leïla non ha ancora informato della cosa Yacine. Orith la invita a farlo: «Non è colpa di nessuno: era destino. E poi è la loro vita: hanno diritto di sapere». Le due donne si saluta­no: «Che Dio ci aiuti e ci dia forza»; «Che Allah ci aiuti».
Nel frattempo Joseph si accorge che i suoi amici pensano che l’esonero dal servizio militare sia dovuto ad una raccomandazione del padre colonnello. Il suo turbamento aumenta, così come la sua rabbia. Lo vediamo andare in una discoteca dove cerca di stordirsi ballando freneticamente.
Leïla vuole informare Yacine, ma il padre si oppone: non vuo­le che la gente del villaggio lo venga a sapere. La donna reagisce con forza: «Non è la tua vita; è la vita di Yacine e presto o tardi lo verrà a sapere». Anche in questo caso è possibile confrontare l’at­teggiamento dei padri che si rifiutano di accettare la realtà (o quantomeno vorrebbero tenerla nascosta) e quello delle madri, che hanno il coraggio di affrontare la situazione per quello che è, cercando di trovare un modus vivendi.
Ecco allora che anche Yacine viene a conoscere la verità. La sua reazione è di sconforto: il ragazzo abbraccia la madre e piange sconsolatamente. Bilal reagisce con rabbia e si toglie la maglietta da calciatore brasiliano che Yacine gli aveva portato da Parigi. 

QUARTO BLOCCO – La famiglia Al Bezaaz (ad eccezione di Bilal) si reca a Tel Aviv per incontrare i Silberg. L’atmosfera è tesa. Orith e Joseph danno il benvenuto agli ospiti. L’immagine sottolinea gli sguardi delle madri che vedono nell’”altro” il proprio figlio naturale.
La sorellina di Joseph parla in francese con Yacine (sua madre è nata in Francia e anche i genitori del padre); poi, con la massima disin­voltura, fa amicizia con Amina e la porta a vedere la sua camera.
Si parla dei ragazzi, della passione per la musica di Joseph (che ha preso dal suo padre naturale), del desiderio di Yacine di diven­tare medico. Si guardano le foto (Joseph a sette anni assomigliava molto ad un altro figlio di Leïla, morto giovanissimo).
Poi i due ragazzi escono e cominciano a dialogare. «Cos’hai provato?». «Sto cercando di trovare un senso a questa storia, per non affogare», risponde Yacine. «E Bilal lo sa?»; «Sa che ha un fra­tello e che non sono io». Parlano di ebrei e di palestinesi, di ragazze; fumano insieme sorridendo, senza alcuna ostilità.
La stessa cosa non si può dire dei padri che incominciano a parla­re della situazione politica, scambiandosi reciproche accuse. Saïd parla della «distruzione di un popolo», di occupazione, di apar­theid. Alon accusa i leader dei palestinesi di fomentare l’odio. I due uomini alzano la voce e litigano.
Per contro, le due donne intervengono per calmarli e, ad un certo punto, Orith interviene energicamente: «Ora basta!».
Al ritorno, Bilal chiede con sarcasmo: «Com’è andata la festa con gli occupanti?».
Joseph, sempre più turbato, non vuole rimanere in casa e va a dormire dalla nonna.
Bilal si scontra con Yacine: «Dovrai tornare di là, presto o tardi»; il ragazzo risponde: «Il mio sogno non cambierà. Ti prometto che tra otto anni io lavorerò qui in Palestina, nell’ospedale che avremo costruito». Ma Bilal non gli crede.
Nel frattempo Joseph capisce che la madre avrebbe voglia di ab­bracciare il suo figlio naturale e telefona a Yacine per invitarlo ad andare a Tel Aviv. 

QUINTO BLOCCO – I due ragazzi si incontrano sulla spiaggia di Tel Aviv, dove Joseph sta vendendo gelati per raggranellare un po’ di soldi. Si aiutano reciprocamente e alla fine si dividono i soldi guadagnati. Ma Yacine non può fare ameno di osservare che i suoi cugini di Ramallah «forse non vedranno più il mare perché non hanno un permesso. È troppo ingiusto».
Nel frattempo la sorellina di Joseph racconta ai genitori di aver detto a scuola di avere un nuovo fratello.
Poi Yacine fa ritorno a casa, nonostante Joseph gli dica che sua madre avrebbe piacere di vederlo. Joseph si sfoga con la madre: «Se Leïla non avesse partorito ad Haifa, io sarei con loro in questo mo­mento e per te e per il papà sarei un perfetto sconosciuto». La madre lo rassicura: «Tuo padre e io ti abbiamo amato in ogni istante della tua vita e anche se mi preoccupo per Yacine e non posso evitare di vederlo come il mio terzo figlio, io continuerò a volere bene a te».
Un primo cambiamento tra i due padri avviene quando Saïd, che ha ricevuto un permesso, va a cercare Alon per ringraziarlo. I due uomini camminano insieme, fianco a fianco; poi vanno a bere insieme un caffè, in silenzio e con evidente imbarazzo.
Bilal continua ad essere scontroso con Yacine, ma la madre gli ri­corda che quando era piccolo pensava sempre al fratello e divideva con lui ogni cosa. Di fronte al ragazzo che afferma: «Non è più mio fratello», Leïla ribadisce: «Yacine sarà sempre tuo fratello. Apri il tuo cuore, figlio mio; lo so che hai un cuore grande». Bilal resta colpito dalle parole della madre. 

SESTO BLOCCO – Yacine ha ottenuto un permesso che gli consen­te di andare a vendere i gelati a Tel Aviv. Qui ritrova Joseph. I due incontrano gli amici di Joseph che li invitano ad una festa. Vanno a prepararsi: Joseph presta i suoi vestiti a Yacine per fare bella figura con una ragazza del gruppo. Ancora una volta c’è un richiamo alla triste realtà. Yacine rivela che suo padre è ingegnere, ma fa il mecca­nico perché non ha il diritto di lavorare fuori del suo villaggio. Par­ticolarmente significativa l’osservazione di Yacine di fronte alla loro immagine allo specchio: «Isacco e Ismaele, i due figli di Abramo».
Orith torna a casa e si trova di fronte a Yacine. La donna è evi­dentemente emozionata e rovescia la borsa della spesa. Yacine l’aiu­ta: i due si toccano le mani; Orith non può fare a meno di bacia­re, seppur fugacemente, quel suo «terzo figlio». Poi se ne va, prima ad un concerto, e poi in riva al mare immersa nei suoi pensieri e presa dalle sue emozioni.
I due ragazzi si fanno una “canna” insieme. Joseph si confida: «Era importante per me essere ebreo; aveva un senso. Adesso è come se non esistessi. Non ho più il diritto di sentirmi ebreo e non mi sento arabo. Che cosa mi resta? Mio padre mi avrebbe voluto come te». Ma Yacine lo consola: «Tuo padre vede solo te; solo te». Joseph accenna ad un sorriso.

SETTIMO BLOCCO – Joseph sta per entrare in sinagoga, ma ve­dendo il rabbino e ricordando le sue parole, se ne va. Reagisce nei confronti del padre che non vuole scandali e decide di andare nel villaggio palestinese a cercare la famiglia Al Bezaaz. Qui trova Leïla, che lo accoglie con commozione e tenerezza (come Orith aveva fatto con Yacine). Ora le parti si sono invertite: Yacine si trova a Tel Aviv, mentre lui è con la sua madre naturale. Bilal lo guarda con curiosità. Poi tutti insieme mangiano e cantano. Bilal gli fa vedere la camera sua e di Yacine. Gli chiede se ha intenzione di cambiare identità, ma Joseph osserva: «Non è solo questione di un certificato di nascita. C’è la mia famiglia: mi hanno allevato». Bilal esprime il desiderio di poter andare “di là”. Joseph gli promette che glielo farà ottenere tramite il padre. Nel frattempo Leïla telefona ad Orith per informarla che Joseph è lì da loro. Alon decide di andarlo a prende­re. Padre e figlio si incontrano. Joseph chiede scusa per quella sua fuga. Il padre lo rassicura: «Sei mio figlio, sari sempre mio figlio». Joseph gli presenta Bilal, «il mio fratello maggiore». Bilal e Alon si stringono la mano con calore.

OTTAVO BLOCCO – Bilal ha ottenuto il permesso promessogli da Joseph. È significativo che nel frattempo i coniugi Al Bezaaz met­tano la foto di Joseph tra le foto di famiglia. Bilal va a Tel Aviv con Yacine. Qui trovano Joseph. I tre ragazzi vanno in giro insieme, come tre fratelli. Poi Yacine va sulla spiaggia a vendere gelati. Alla sera, quando si ritrovano, Joseph viene aggredito da un ubriaco che lo colpisce con un coltello al ventre. Gli altri due ragazzi si pren­dono subito cura di lui e lo fanno ricoverare in ospedale. Alla fine vediamo Joseph, che si è ripreso, circondato da Yacine e Bilal che lo assistono. Joseph osserva: «Se fossi morto che funerale avrei avuto: ebreo o arabo?» Bilal reagisce con fermezza: «Ma di che c… stai parlando? Sei matto? Tu sei vivo, sia lode ad Allah». Yacine gli an­nuncia che i suoi genitori stanno arrivando. Joseph chiede: «I miei genitori? E quali?». Come si vede, la domanda resta senza risposta: è quasi impossibile rispondere. Ma quel che conta è che ora i tre ragazzi sono lì insieme, come tre fratelli, che si stringono le mani e si sorridono, mentre la musica extradiegetica va in crescendo per suggellare quel punto d’arrivo.

Epilogo – Si sente la voce fuori campo di Yacine: «Sai cosa ho pensato quando ho saputo che la mia vita doveva essere la tua? Ho pensato: ora che l’ho cominciata questa vita devo riuscire, perché tu sia fiero di me. E per te che vivi la mia vita, Joseph, è lo stesso: non la sprecare». L’ultima immagine mostra Joseph pensieroso che guarda dall’alto la città. 

Significazione – Di fronte all’emergere di una verità sconvol­gente i vari membri delle due famiglie protagoniste reagiscono in vari modi. Le bambine fraternizzano subito con la massima facilità. I padri manifestano chiusura e intransigenza. Le madri sono invece aperte al dialogo e alla comprensione. I due ragazzi problematizza­no (soprattutto Joseph), ma sono capaci di far amicizia e di collabo­rare. Bilal è il più ostile ed arrabbiato e non vuole sentire ragione.
Ma poi, attraverso gli incontri e la conoscenza reciproca, ma so­prattutto grazie all’amore materno che non conosce confini e che riesce a mediare, a moderare, a rassicurare, poco alla volta le po­sizioni più intransigenti si ammorbidiscono fino a creare le condi­zioni per una vita, certamente difficile e problematica, ma aperta al dialogo, alla comprensione, all’amore. Particolarmente importanti sono le parole di Leïla che invita Bilal ad aprire il suo cuore.

Idea centrale – La regista non intende fornire soluzioni politiche al problema del rapporto tra ebrei e palestinesi. Ma fa capire che quando si parla di rapporti personali o familiari esiste la possibilità di una convivenza e di un superamento dell’odio. Quasi a dire: an­che di fronte alle situazioni più complesse e sconvolgenti c’è la pos­sibilità di aprire il proprio cuore e di superare ogni forma di chiusu­ra o di contrapposizione. E di vivere di rapporti – pur problematici – all’insegna della comprensione, della fraternità e dell’amore. equilibristi