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Vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata

Vocazione: una lettura ragionata (3)

“La vocazione  (al sacerdozio e alla vita consacrata n.d.r) è una grazia che non è di tutti, ma può essere ancor oggi di molti. Di molti giovani, forti e puri; di molte anime che hanno l’ansia della bellezza superiore della vita, l’ansia della perfezione, la passione della salvezza dei fratelli”. [Paolo VI, Udienza generale del 5 maggio 1965]

55 anni dopo questa “esortazione papale”, qual è la realtà attuale?

La contrazione del numero dei sacerdoti è sotto gli occhi di tutti. Se nel 1990 i preti diocesani erano oltre di 38 mila, nel 2017 sono poco meno di 33 mila con un calo di circa il 14%  mentre il numero di parrocchie è rimasto pressoché invariato (poco meno di 26.000).

I preti diocesani del 2017 oltre ad essere in numero inferiore rispetto a quello dei loro colleghi del 1990, sono anche mediamente più anziani. In particolare, nel 1990 solo il 4% dei sacerdoti nati in Italia aveva più di 80 anni, nel 2000 erano il 11% mentre nel 2017 sono diventati il 16%, un chiaro segnale dell’invecchiamento del clero italiano.

Siamo di fronte a una vera e propria emorragia delle vocazioni a diventare preti e suore. Solo nell’ultimo decennio (2006-2016) il totale dei seminaristi  è passato da 3.124 a 2.542 con un calo del 18,6%. Ma cosa pensano gli italiani di questa diminuzione drammatica di vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata?

Oltre il 60% degli intervistati ritiene che il crollo delle vocazioni sacerdotali e di vita consacrata sia un fallimento per l’intera comunità cristiana. C’è chi pensa invece che, proprio ora che le vocazioni sacerdotali sono al minimo storico, i giovani abbiano la possibilità di riscoprire il valore della vocazione e l’importanza di diventare presbiteri. Solo l’8,7% degli intervistati pensa che tra qualche anno non ci saranno più sacerdoti: un segno di speranza ma anche un appello per la Chiesa.

 

La missione del prete

San Francesco non accettò mai di diventare prete, nonostante le molte richieste, perché si riteneva indegno di una vocazione così eccelsa. Un altro santo, Curato d’Ars, diceva che anziché venerare le reliquie, bisognava baciare con devozione le mani di un prete perché toccano il corpo e il sangue di Cristo. Oggi invece quale è il senso e il significato che la gente attribuisce alla vita sacerdotale?

Quasi 7 intervistati su 10 ritengono che diventare prete abbia ancora un senso. Dati che confermano come la vocazione sacerdotale sia una scelta ricca di significato. A patto che sia una vocazione autentica. 4 intervistati su 10, infatti, pensano che in giro ci siano molti sacerdoti che non hanno una vocazione autentica. Ha detto Papa Francesco: “Quando tu trovi un sacerdote che si allontana dalla gente, che cerca altre cose – sì viene, dice la Messa e poi se ne va, perché ha altri interessi rispetto al popolo fedele a lui affidato – questo fa male alla Chiesa”. [Discorso alla Comunità del Pontificio Seminario regionale pugliese, 10 dicembre 2016]

 

Un dato che fa riflettere: per quasi la metà degli intervistati i ragazzi di oggi non vogliono diventare preti perché non vedono in giro buoni modelli da imitare. Questa convinzione è ancor più presente tra i giovani sotto i 34 anni. La vita di un prete è sempre una missione, che ci racconta qualcosa di Dio e si intreccia inevitabilmente con le vite di tanti altri che incontra lungo il cammino: giovani e anziani, famiglie e persone sole, ricchi e poveri.

 

 

Una strada in salita

Un amico che diventa sacerdote“è una buona notizia”, “è un dono per l’intera comunità”: queste le opinioni più condivise dagli intervistati (quasi il 60%). Ma la strada verso il sacerdozio è vista come irta di ostacoli, un cammino pieno di sacrifici; ne è consapevole quasi il 50% degli intervistati.

 

Tenuto conto delle caratteristiche del campione, a contatto quotidiano con la fatica e l’impegno del nostro clero, il risultato non è inaspettato. Tutti d’accordo sulla necessità di nuovi sacerdoti per la sopravvivenza della Chiesa. Tuttavia quando andiamo a chiedere se sarebbero felici di avere un figlio sacerdote o una figlia suora le percentuali scendono clamorosamente. Ma il dato che più sconcerta è che oltre il 15% degli intervistati è categorico nell’affermare che non consiglierebbe mai ad un ragazzo di diventare sacerdote. Perché?

L’84% degli intervistati ritiene che si tratti di una vita di rinunce, di sacrifici e di fatiche. Solo il 15,9% del campione, infatti, pensa che la vita di un prete sia comoda, da consigliare.

 

 

Il valore del celibato

Ci sarebbero più sacerdoti se non ci fosse il celibato?

Non è rendendo più facile il sacerdozio – liberandolo per esempio da ciò che la Chiesa latina da secoli considera suo sommo onore: il celibato – che si renderà più desiderato l’accesso al sacerdozio stesso– ha detto Paolo VI – I giovani si sentiranno attirati ancor meno da un ideale di vita sacerdotale meno generosa. Non è in questo senso che si dovrà orientare.” [Messaggio per la V giornata mondiale per le vocazioni, 19 aprile 1968]

A distanza di 50 anni papa Francesco ha ribadito l’importanza del celibato. Ma qual è l’opinione degli intervistati? Il campione è nettamente diviso in due. Poco più della metà, infatti, condivide la scelta, mentre il 47,6% è contrario.

 

 

Chiamate a servire

Le suore sono viste come un grande dono alla Chiesa per il servizio che svolgono, secondo il 70% del campione.

Tuttavia sono state rilevanti per la formazione religiosa solo per circa il 3% degli intervistati. Dato che non stupisce se teniamo conto che il ruolo formativo ed educativo delle suore principalmente avviene all’interno delle congregazioni e raramente nelle parrocchie.

 

Le percentuali si rovesciano totalmente nei confronti di coloro che fanno la scelta della clausura. Quasi il 70% degli intervistati ritiene che la clausura non abbia oggi più senso di esistere. Solo il 30% sarebbe d’accordo se la propria figlia decidesse di entrare in un monastero di clausura, percentuale più alta rispetto a coloro che gioirebbero per una figlia consacrata (25%).

La clausura femminile divide: è incomprensibile per una larga fetta di persone, ma estremamente preziosa per altri credenti. Ma 60 anni fa le cose andavano meglio? Basta vedere la prima intervista Rai dal titolo “Clausura” realizzata nel 1957 all’interno del monasterodelle Carmelitane Scalze di Bologna da Sergio Zavoli per rendersi conto che quello che divide: non è una grata di ferro, ma l’idea della vita e della morte, del rumore del mondo e del silenzio dell’anima capace di ascoltare Dio. “Cosa differenzia la vocazione religiosa dalla vocazione monastica?”– chiede Zavoli a Suor Maria Teresa Tosi, sottopriora del monastero. “A differenza delle suore di vita attiva, noi non cerchiamo Dio negli uomini, ma vediamo di trovare gli uomini in Dio. Viviamo di Dio solo, per lui solo, in lui solo.”.

 

PREGARE PER LE VOCAZIONI

C’è chi accusa la Chiesa, intesa come istituzione, di non essersi curata del problema, di non aver fatto abbastanza e tempestivamente. Per il 31% degli intervistati, infatti, nella Chiesa non si parla abbastanza di vocazioni sacerdotali e il 35% chiede che in parrocchia ci siano più momenti dedicati alla scelta vocazionale. Il 70% degli intervistati  afferma che non gli è mai stato proposto un vero e proprio percorso di discernimento vocazionale. Un dato che fa riflettere se ricordiamo che si tratta di persone che frequentano abitualmente la Chiesa e sono impegnate in parrocchia. Ma la ricerca fa emergere anche un’altra realtà. Molti fedeli hanno perduto la fede e non si sono più interessati del problema. Altri, pur conservandola, credono che la preghiera valga, ma si disinteressano completamente delle vocazioni. E’ dunque la Chiesa, intesa non come istituzione ma come assemblea dei cristiani, che ha smesso di pregare per le vocazioni.

 

Ripartire dalla comunità ecclesiale

A parole sono tutti d’accordo: favorire nuove vocazioni al sacerdozio è una responsabilità di ognuno di noi. Oltre il 70% degli intervistati, infatti, ritiene che non sia un compito esclusivo di preti e suore, ma dell’intera comunità. La richiesta forte che emerge dalla ricerca, espressa da oltre il 50% del campione, è quella di avere momenti di preghiera dedicati alle vocazioni sacerdotali. La preghiera è elevazione dell’anima a Dio, fare silenzio per concentrare cuore e mente pensando che Dio ci vuole parlare. Pregare, come scrive san Giovanni della Croce, è “lasciare libera l’anima, sgombra e aliena da ogni notizia e pensiero, senza preoccupazioni, contentandosi solo di avere un’avvertenza amorosa e tranquilla in Dio. [S. Giovanni della Croce, Notte oscura in Opere, p. 381-382]

Ma i fatti raccontano una storia diversa: “non credo di poter far nulla a riguardo” è quanto afferma più di 1 intervistato su 2. La terapia più adeguata ed efficace per la cura delle vocazioni è quella di un risveglio della fede, almeno questa sembra essere l’opinione prevalente degli intervistati. Ma nella quotidianità della vita, quasi 1 intervistato su 3 dichiara di non pregare mai per le vocazioni.

 

 

Conclusioni

Viviamo una fase di forte secolarizzazione, ma ci interroghiamo su quale sia la nostra vocazione. Abbiamo perso il senso del sacro, ma siamo alla ricerca di sapere a cosa Dio ci ha chiamati. Partecipiamo sempre meno alle funzioni religiose, ma siamo in cerca di spiritualità. In un contesto di forte crisi come quello attuale, la Chiesa e le parrocchie in particolare possono diventare un terreno fertile, e il più delle volte unico, per una riscoperta della fede e della scelta vocazionale, soprattutto per i giovani.

L’indicazione forte che emerge dalla ricerca è quella di una Chiesa che non abbia paura di parlare apertamente di vocazione e una comunità ecclesiale unita nella preghiera vocazionale, proprio come viene fatta nella giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.

 

 

 

Se ti è piaciuto questo articolo, puoi leggere anche la prima e la seconda parte della stessa ricerca “VOCAZIONE: UNA LETTURA RAGIONATA”:

(1) L’alfabeto della vocazione

(2) La dinamica della vocazione