N.06
Novembre/Dicembre 2019

La street art e l’arte dei graffiti

Le più recenti forme d’arte popolare nate nel contesto delle metropoli occidentali, per lo più statunitensi, hanno raggiunto una diffusione e una legittimazione trasversale e di massa a partire almeno dall’inizio degli anni Settanta, in Italia più compiutamente dai primi anni Ottanta.  

Il fumetto, la street art e l’arte dei graffiti, il rap e la break dance, e altre forme di “arte di strada” sono rapidamente entrate nel quotidiano della media borghesia urbana, soprattutto grazie alla televisione, raggiungendo poi canonizzazione e dignità dall’ingresso e dall’approvazione nei musei e nelle gallerie d’arte, nei teatri e nelle università.  

Quarant’anni più tardi, alcune sono ancora forme d’espressione vitali praticate e largamente diffuse in diversi strati sociali e diverse fasce anagrafiche, evolvendo, modificandosi, riformulandosi anche in funzione del mutare dei contesti sociali, culturali, tecnologici; altre si sono rivelate, invece, fenomeni storicamente circoscritti e resistono in forma residuale come tracce di un tempo che ha esaurito il suo ciclo.  

 

Lo spazio pubblico urbano 

 

La street art e l’arte dei graffiti, da alcuni messe addirittura in collegamento con le pitture rupestri e con la storia delle pitture parietali arcaiche, nascono, nell’accezione che se ne ha oggi, come formae d’espressione artistica fuorilegge probabilmente con la grande crisi del ’29, ma è difficile stabilire univocamente un inizio esatto. Si sviluppano entrambe come forme di “guerriglia urbana” artistica disarmata e illegale fino a quando, tra Settanta e Ottanta, i primi riconoscimenti ad alcuni degli esponenti di spicco (Basquiat, Haring, e altri) decidono una graduale ancorché sempre parziale emersione e integrazione all’interno del sistema sociale.  

 

Per “street art” s’intende di solito qualsiasi intervento – legale o illegale, clandestino e anonimo o autorizzato e operato in modo da riconoscerne gli artefici/autori – di natura vagamente artistica e creativa che scelga come scena e come materiale principale lo spazio pubblico urbano: non solo pitture sulle pareti degli edifici o su altre superfici della città di cemento vetro e metallo, ma anche adesivi di piccole o grandi dimensioni (“sticker”), applicazione di tessere, mattonelle o addirittura mattoncini giocattolo per costruzioni impiegati per la composizione di mosaici, la copertura di elementi di arredo urbano attraverso l’uso di grandi quantità di tessuto filato su misura (“yarn bombing”), e altri tipi d’intervento ancora.  

 

Una critica allo status quo  

 

La street art ha di solito un’intenzione comunicativa e nasce da un’istanza politica di critica dello status quo e di stimolo della coscienza civica dei membri di una comunità. Quando si tratta di pittura, gli autori si rendono di solito riconoscibili firmando, eventualmente con uno pseudonimo, le loro opere – quasi sempre figurative, raramente realistiche, e altrettanto raramente del tutto astratte – sono pensate e realizzate per essere comprese da un pubblico il più vasto possibile.  

Gli autori della street art contemporanea internazionale (Banksy, Blu, Mr. Brainwash) di solito conducono due linee di lavoro parallele, da una parte operando in contesti leciti – per lo più opere su commissione e interventi in spazi designati dalle istituzioni -, dall’altra seguitando a concepire il proprio ruolo come quello di artisti guerriglieri clandestini che combattono le storture della società nella quale vivono grazie alla promozione di idee critiche espresse attraverso immagini (interessante notare come sempre più spesso alcuni street artist inizino a dedicarsi anche al cinema, soprattutto d’animazione).  

 

I graffiti 

 

Con “graffiti” invece ci si riferisce in senso lato a una serie di pratiche più criptiche (e più facilmente sconfinanti nel vandalismo) legate alla realizzazione di scritte graficamente elaborate, senza un valore civile e politico, non rivolta direttamente a una platea vasta, ma indirizzata a una cerchia ristretta. Con il termine ci si riferisce in origine a una serie di codici secondo i quali comporre scritte di varie misure che occupano le più disparate superfici comprese nell’orizzonte urbano, senza distinzione tra bene pubblico o privato, bene architettonico o artistico di pregio e brano cementizio senza valore, spazio esposto allo sguardo dei passanti e anfratto, remoto e nascosto. Le scritte sono di solito la firma di un singolo o di un gruppo – il “tag” -, e comunque rappresentano un messaggio rivolto ad altri membri di uno stesso contesto socio-culturale. Anche i graffiti però possono essere praticati secondo istanze e modalità più simili alla street art, indulgendo al figurativismo e aprendosi a platee aperte e vaste.  

 

Per una riqualificazione urbana 

 

Negli ultimi dieci anni soprattutto la street art è stata coinvolta negli interventi di riqualificazione urbana e nei progetti di ristrutturazione della coesione sociale nelle periferie, diventando così a tutti gli effetti un’arte canonica, popolare ma considerata alla stregua delle arti classiche, da impararsi e praticarsi anche fuori da una lotta al “sistema” clandestina e fuori legge.  

Rispetto al caso italiano, se si osservano le caratteristiche dello street artist e del “writer”  medi, ci si rende conto facilmente che soprattutto queste specifiche forme d’espressione sono scelte da giovani e giovanissimi come protesta e soluzione rispetto a una condizione d’impotenza e di frustrazione in un Paese sempre più anagraficamente e culturalmente vecchio nel quale è difficile trovare spazi d’azione e d’espressione libere e dirette, e ancor più difficile è trovare opportunità d’ascolto e di partecipazione.  

Nata come forma di critica radicale e aggressiva – come molte altre delle componenti della cultura popolare di strada nel contemporaneo – anche la street art ha in parte subito una graduale normalizzazione che ne ha depotenziato la carica iconoclastica, conservandone tuttavia il potenziale positivo di risorsa culturale duttile e immediata.  

 

 

 

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