Un’opera artigianale
Strutturare percorsi di pastorale giovanile e vocazionale
In occasione del 48° Convegno Nazionale Vocazioni l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, in collaborazione con il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile ha voluto offrire alcuni orizzonti e coordinate entro cui strutturare percorsi di pastorale giovanile vocazionale. Proponiamo qui una sintesi di una parte dei lavori che sarà disponibile per intero sul sussidio di prossima pubblicazione (Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, Progettare percorsi vocazionali, Roma 2025).
Anzitutto non dimentichiamo che «Dio Padre è il formatore per eccellenza, ma in questa opera “artigianale” si serve di mediazioni umane la cui missione è mostrare la bellezza della sequela del Signore»[1]. ‘Artigiano’ porta nella sua radice la parola ‘arte’ che indica una abilità acquisita con lo studio e l’esercizio, opposta o complementare alla capacità naturale. Nell’origine antica del termine scopriamo una profonda attenzione alla concretezza – l’artigiano ha sempre a che fare con la materia – al progettare – l’artigiano guarda verso il prodotto realizzato – e alla creazione di qualcosa di nuovo – l’opera artigianale, anche se fatta in serie, è sempre unica ed irripetibile.
Per favorire il riconoscimento delle tre coordinate che accompagnano la maturazione della vocazione, ci faremo aiutare dai tre colori primari: il giallo, il blu e il rosso. Ciascuno di essi rimanda ad un sentire, un gusto, un’affettività che evidenzieremo nella convinzione che ci possano aiutare a fissare i concetti e a ricordarli in sede di studio e di progettazione ma, naturalmente, il lettore potrà scegliere gli elementi di sintesi che reputa più adatti. L’accenno ai colori presenta un particolare punto di forza in quanto ci permette di riconoscere che gli orizzonti di cui parliamo sono complementari: lo schema non è rigido e la tavolozza si compone anche mischiando gli elementi con la perizia di riconoscere quale sia la tonalità principale che intendiamo dare alla nostra iniziativa.
- Il giallo
Il primo colore è il giallo che richiama la luce, muove l’immaginario verso spazi ampi, dilata l’orizzonte e lo estende, come avviene nel quadro del seminatore di Vincent Van Gogh in cui il pensiero si allarga seguendo un grande campo aperto nel quale il primo a seminare è Dio stesso.
L’opera della semina comporta anche molta fatica: si tratta di riconoscere che non tutto il seme giunge a maturazione e che questa è una logica intrinseca alla vita stessa e alla generazione umana. Molto del seme viene sprecato, ma è sufficiente che una parola raggiunga il profondo del cuore perché nasca la vita. Se ripensiamo al sorgere della nostra vocazione, tutti ne possiamo fare memoria ricordando i diversi seminatori che si sono fatti mediazione per noi: sono gli uomini e le donne che ci hanno annunciato la Parola del Signore.
Dal punto di vista della progettazione pastorale accostiamo a questo primo colore tutte le attività che hanno il sapore della semina abbondante, generosa, indistinta. Sono le proposte che si riferiscono ad un orizzonte ampio, che danno respiro, che invitano a mettersi in movimento a prescindere dal cammino di fede di ciascuno poiché intendono iniziare all’incontro con Dio, farne sentire l’attrazione, risvegliare il desiderio di camminare con lui per conoscerlo di più. Tra le esperienze di questo tipo ritroviamo i raduni delle Giornate Mondiali della Gioventù, i pellegrinaggi, le settimane di vita comune, le esperienze di servizio e di incontro con testimoni, le catechesi con l’arte o con la musica, le veglie di preghiera o l’adorazione eucaristica accompagnata dal canto. È la vita concreta della comunità che, se abitata dallo Spirito, anche nei suoi limiti ha la forza di suscitare la prima domanda nella ricerca di Dio.
- Il blu
Il colore blu distende, diminuisce la pressione, rallenta la frequenza cardiaca e il ritmo respiratorio, suscita nell’immaginario sensazioni di approfondimento, apertura, intimità[2]. Ricorda la notte o il crepuscolo dell’inverno, invita a rientrare in se stessi, a scendere in profondità andando oltre il limite della superficie. Il tema della notte, per quanto ambivalente, è nella Scrittura un luogo dell’incontro con Dio, il crepuscolo è un momento di passaggio che sempre chiama al raccoglimento dei pensieri e alla preparazione di un tempo nuovo. Il tema dell’intimità nella vita spirituale richiama la casa o la scuola nella quale si approfondisce la parola ricevuta, si vuole conoscere più da vicino un po’ come Nicodemo che nella notte cerca il Maestro.
Il Signore accompagna i suoi discepoli introducendo al suo mistero con una pedagogia della gradualità. Fa’ memoria di come, nella tua esperienza di fede e nel tuo cammino vocazionale, anche tu hai avuto modo di gustare la ricchezza della Tradizione, di come sei stato introdotto a scoprire la Liturgia che ti ha aperto al Mistero, di come l’approfondimento proprio degli studi biblici ha nutrito non soltanto la tua mente, ma anche la tua relazione con il Signore permettendoti così di appassionarti nella ricerca e nell’annuncio del Vangelo. Fa’ memoria di come tutto questo ti spinge a spenderti nell’accompagnamento dei percorsi vocazionali delle ragazze e dei giovani dei quali sentiamo la sete di vita spirituale.
Forse questo secondo orizzonte è il meno battuto, ma si rivela estremamente fecondo quando giovani già raggiunti dalla luce della Parola di Dio sono accompagnati nell’approfondimento dei misteri della fede attraverso percorsi, luoghi ed itinerari capaci di far emergere il kerigma contenuto nel dogma e nella Tradizione della Chiesa. Ci riferiamo alle scuole della fede capaci di sminuzzare la teologia, la liturgia, l’arte e la Scrittura offrendo nutrimento alla mente e al cuore a partire dal cuore della Rivelazione e della teologia, dal mistero di Dio, dalla conoscenza di Cristo, dalle dinamiche della vita dello Spirito tradotte nel linguaggio semplice di chi, oltre ad averle studiate sui libri, le ha sperimentate prima in sé.
La notte è il luogo della meditazione e dello studio al quale nessuno che intenda proporre itinerari di fede può sottrarsi. Infatti, perché un itinerario porti frutto c’è bisogno di un costante nutrimento personale, del confronto attento tra fratelli e sorelle, di una assidua e condivisa preparazione orante.
Evidentemente tutto ciò è in controtendenza col nostro tempo in cui la velocità e l’immediatezza dettano il ritmo della vita. Eppure, la vita resiste inesorabilmente ribadendo che il suo tempo è essenzialmente legato alla natura: forzarlo non porta a risultati migliori. La Parola annunciata nella catechesi, nella predicazione – lo sappiamo – raggiunge il cuore di chi ascolta solo quando proviene dall’incontro fra Tradizione e vita. Al contrario, l’annuncio stride e sortisce effetti non buoni quando solo una delle due è presente: senza la vita la l’annuncio della Tradizione diventa un racconto intellettivo e distante; senza la Tradizione, l’annuncio della vita non purificata dalla Parola e cade inevitabilmente nel soggettivismo.
- Il rosso
Il rosso rimanda all’immagine biblica della fiamma che fa ardere il roveto senza distruggerlo (Es 3,1-6): è la passione dell’amore di Dio che spinge a donare la vita per amore. Il rosso è il colore del sangue e dell’energia della vita, spinge ad uscire, attiva il tono muscolare, la pressione del sangue, prepara alla lotta, all’amore e alla vita. Accostiamo l’immagine della porta aperta nel cielo (Ap 4,1), una porta stretta, ma spalancata. È la porta della vocazione, della scelta di vita alla quale siamo chiamati ad accompagnare alcuni giovani uomini e donne redenti perché, nell’ascolto della Parola, nell’approfondimento della fede e della relazione con Dio, possano riconoscere l’invito del Signore a seguirlo e a donare la loro vita per amore di qualcuno e insieme a qualcun altro.
Immaginiamo il Battista con i suoi discepoli sulle rive del Giordano. Sono persone impegnate in una ricerca convinta, forte, decisiva. Persone che sentono il bisogno di entrare nel dinamismo di un amore che illumina tutta l’esistenza e desiderano incamminarsi verso il Signore che viene. Sono i giovani che dimostrano desiderio, energia, magnanimità di cuore, che ricercano l’essere a tu per tu con Gesù, quelli che portano con sé anche una domanda esplicitamente vocazionale. Nella vita cristiana ognuno è chiamato a fare la sua offerta di disponibilità e a rispondere personalmente. Posso richiamare con affetto alla memoria la mia, così come l’ho fatta tanti o pochi anni fa. La posso rinnovare nel mio cuore nella comunione dei santi e accogliere la possibilità che mi è data oggi di collaborare con il Signore per facilitare in altri questo stesso incontro più profondo e vitale. Ripenso alle persone che abbiamo accompagnato a questa soglia sacra, a quelle che tu Gesù con amore fiducioso affiderai alle nostre comunità, alle realtà di cui faccio parte, a me e gusto la gioia trepidante, umile e profondissima che il loro nomi siano scritti nei cieli, in te Gesù, definitivamente.
Qui ci riferiamo a percorsi esplicitamente vocazionali per i quali vogliamo accogliere l’invito di papa Francesco a non considerare la parola vocazione come una parola scaduta[3], ma feconda, capace di orientare la vita e le scelte alla luce della Parola di Dio. Occorre rinnovare la sete di vocazioni, il bisogno intrinseco alla vocazione stessa della Chiesa cui il Beato Pino Puglisi invitava a guardare.
«Secondo me dalla celebrazione di questo convegno è emerso soprattutto un bisogno: abbiamo bisogno di vocazioni; bisogno di vocazioni coscienti, generose, perseveranti, ogni giorno rinnovate. Abbiamo bisogno di persone che siano cioè consapevoli che la vita ha un senso perché è una vocazione; bisogno di persone consapevoli di essere cioè chiamate da Dio nelle comunità in cui vivono per rendere ciascuna un servizio singolare unico, irripetibile, indispensabile, complementare a quello degli altri per dar vita a vere comunità che vivono la comunione nella varietà dei carismi e dei ministeri, dei talenti e dei servizi. Abbiamo bisogno di vocazioni autentiche alla famiglia […] Abbiamo bisogno di vocazioni generose alla verginità sponsale, che siano segno chiaro della Chiesa che si dona in modo esclusivo e totalizzante a Cristo. Abbiamo bisogno di vocazioni al ministero ordinato: di diaconi, presbiteri, vescovi che stimolino al servizio e vivano a servizio, che sappiano discernere i vari carismi nelle comunità e li sappiano coordinare tra di loro per un servizio comunitario più efficace […]. Ma innanzitutto abbiamo bisogno di persone che si mettano a servizio delle vocazioni, di persone, cioè, che siano a servizio dei fratelli, ponendosi accanto a ciascuno per un cammino graduale di discernimento […] perché ciascuno capisca qual è la sua vocazione e qual è il servizio che deve rendere»[4].
La Chiesa non ha bisogno di vocazioni come un’azienda a corto di personale, ma ha bisogno di vocazioni perché le vocazioni sono la vita stessa del suo corpo e fanno bella la Sposa che si prepara alle nozze eterne con il suo Signore.
Appartengono a questo orizzonte i percorsi di discernimento vocazionale specifico, al maschile e al femminile, orientati a tutte le forme di vocazione nella Chiesa, ma che sappiano considerare ciascuna di esse: il ministero ordinato e la consacrazione oltre che il matrimonio e il laicato vissuto nel mondo. In genere questo tipo di itinerario è da compiersi una volta sola: non sono fecondi percorsi che durano anni in questa direzione mentre lo sono quelli che offrono le chiavi per considerare e discernere il proprio orientamento vocazionale accompagnati dalla direzione spirituale.
- La tavolozza
Ora dovrebbe apparire chiaro come i colori primari possano e debbano essere sapientemente miscelati per dare tonalità ai percorsi che mettiamo in atto o intendiamo rinnovare. Il giallo dell’annuncio esplicito è da mischiare con il blu dell’approfondimento per rendere più significativo il primo annuncio del Vangelo e i luoghi di approfondimento non devono perdere la luce dell’annuncio per evitare di diventare sterili e ripiegati su se stessi. Il rosso del discernimento vocazionale deve offrire l’orientamento di tutti gli itinerari e non perdere il gusto dell’approfondimento della vita spirituale che lo accompagna. In tutto questo c’è il ministero di Cristo, la sua opera, quella che ha compiuto e sta compiendo nei nostri cuori. Lo faremo di seguito, offrendo alcuni spunti progettuali concreti attraverso i quali ciascuno potrà dare forma ai percorsi che ritiene più adatti.
Prima, contempliamo l’opera di Cristo, chiedendo – se lo desideriamo – che la sua stessa passione infiammi anche il nostro animo e la nostra vita.
Il vestito del Servo era una tunica bianca, unica, vecchia e tutta logora, macchiata dal sudore del suo corpo, stretta e corta, una mano sotto il ginocchio, consunta, vicinissima a sfilacciarsi, pronta ad andare a pezzi e brandelli. E questo mi stupiva grandemente e pensavo: “Questo vestito è veramente brutto per un servo che è così profondamente amato da stare alla presenza di un così glorioso Signore. C’era un tesoro sulla terra che il Signore amava. Mi chiedevo e pensavo che cosa potesse essere e mi fu risposto: “È un cibo amabile e che piace al Signore”. […] Riflettevo pensando quale potesse essere il tipo di lavoro che il servo doveva fare. E allora compresi che egli doveva fare il più grande lavoro e la più dura fatica che ci sia. Doveva fare il giardiniere, cioè zappare e scavare e sudare e rivoltare la terra su e giù, e vangare in profondità e innaffiare le piante al tempo giusto. E doveva perseverare nel suo lavoro, e far scorrere dolci ruscelli, e far crescere nobilissimi frutti da portare davanti al suo Signore per servirlo secondo i suoi gusti. E non doveva tornare indietro fino a che non avesse approntato questo cibo che egli sapeva gradito al suo Signore»[5].
A. Progettare percorsi vocazionali
«Esorto le comunità a realizzare con rispetto e serietà un esame della propria realtà giovanile più vicina, per poter discernere i percorsi pastorali più adeguati […]. Si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere. Per questo è difficile costruire ricettari»[6]. Sulla scorta di queste parole di papa Francesco, individuiamo tre grandi parti che, come cerchi concentrici, da un orizzonte ampio giungono a strumenti concreti.
- Dal fuoco al cammino
Anzitutto sottolineiamo la necessità di strutturare percorsi che possano aiutare un giovane a passare dal ‘fuoco’ di un’esperienza al cammino che matura la vita. In relazione all’esame della realtà giovanile – benché invitiamo ciascuno a considerare attentamente la propria – vogliamo evidenziare alcuni elementi comuni che sembrano marcare un cambiamento in atto: due dati fondamentali che descriviamo come ‘cadute’.
a. La caduta del ‘campanile’[7]
Non è difficile osservare che oggi i giovani – ma anche gli adulti e forse noi stessi – non trovano più nelle parrocchie e negli spazi ‘ecclesiali’ l’unico centro di socialità: la parrocchia non è più un luogo naturalmente familiare. Con questo non si intende squalificare il lavoro e la fatica pastorale – tutt’altro – né criticare in generale i giovani come ‘categoria’. Sebbene alcune ricerche sociologiche evidenzino il deciso allontanamento di molti di loro dalla Chiesa[8], in preparazione al nostro Convegno Nazionale abbiamo anche voluto raccogliere testimonianze di esperienze pastorali feconde nelle Chiese d’Italia[9]. In generale, comunque, rimane vero che i soggetti formativi che oggi fanno da riferimento descrivono un contesto plurale in cui la Chiesa è riconosciuta solo come ‘una tra le altre’, una delle case nelle quali si può o ancora si desidera[10] trovare una proposta significativa.
b. La caduta degli ‘argini’
Ogni argine, sebbene sia spesso percepito come una costrizione, in realtà intende tracciare una direzione nella quale convogliare le energie della vita. Dal punto di vista pastorale, stare di fronte alla moderna società liquida[11] può spingere ad assumere atteggiamenti in direzioni differenti. Da una parte si è tentati di porsi come coloro che devono dare argini e stabilire regole molto chiare; dall’altra la tentazione può assumere il tratto della competizione con la cultura contemporanea, strutturando proposte stimolanti/attraenti alla pari (quasi mai il risultato è all’altezza delle aspettative, soprattutto nel lungo periodo) con l’intento di essere percepiti come ‘interlocutori moderni’ e attraenti. Per progettare una proposta di pastorale giovanile vocazionale è utile rendersi conto della specificità cristiana della vita spirituale al fine di riprendere consapevolezza della possibilità di offrire un nutrimento specifico che non si può trovare altrove e alcuni strumenti utili a quel processo di tessitura interiore che aiuta a riappropriarsi di se stessi dando attenzione a Colui (cf. Rm 5,5) e a ciò che abita profondamente il cuore.
- Quali proposte?
Distinguiamo le proposte vocazionali in due possibili, grandi e buone categorie. Da una parte quella degli eventi puntuali, di grande impatto e capaci di accendere un fuoco, un’intuizione nel cuore dei giovani; dall’altra quella dei percorsi di crescita autentica, capaci di accompagnare i giovani a partire dal punto in cui si trovano attraverso un cammino esigente e concreto che conduce ad altezze sconosciute e desiderate. Per ciascuna proposta è opportuno intravvedere gli obiettivi – finali e parziali – e riconoscere le tappe intermedie e le esperienze opportune da attraversare.
Entrambe le categorie sono necessarie[12] affinché si inneschi un cammino di fede e di vocazione: senza un cuore infiammato, un cammino esigente risulta arido, sterile e rischia di non condurre ad alcun esito sperato; d’altra parte, senza una proposta di un cammino serio, il fuoco acceso si spegne subito (cf. Mc 4,6). La persona in cammino si ritrova ferma e, non riconoscendo il luogo verso dove incanalare il dono ricevuto – non intuendo la propria vocazione – si prodigherebbe in un servizio che presto diventerebbe vuoto, fatto solo ‘di cose da fare’ (cf. Mc 10,17). Progettare percorsi capaci di avviare processi e portarli a termine, diventa un lavoro importante, un servizio utile e fecondo per il quale vale la pena spendere faticosamente tempo ed energie: un’opera di cui appassionarsi.
B. Criteri necessari per progettare un cammino
A partire da alcuni criteri che derivano dalla spiritualità ignaziana, non si intende offrire un tutorial, bensì alcuni fili di ordito[13] sui quali ciascuno può tessere una propria trama.
- Stabilire un obiettivo. Quando si propone un itinerario o un percorso è bene individuare il bisogno di chi si accompagna a seconda della tappa di crescita in cui si trova. Ne individuiamo tre:
a. Lo sviluppo delle vocazioni fondamentali di ogni essere umano. Facciamo riferimento al Principio e Fondamento e alla prima settimana degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio che affrontano i fondamenti di un percorso spirituale di incontro con il Signore. Ignazio parla di creaturalità, di relazione intima con il Signore, di indifferenza[14], di disponibilità, di gratuità, di qualcosa che riguarda anche la dimensione più ‘umana’ della persona. L’immagine di Dio rientra in questa tappa di crescita: molti giovani faticano anche solo ad ascoltare la parola ‘vocazione’ a causa delle difficoltà con l’immagine di Dio che portano con sé. Si tratta di lavorare su tutte le dimensioni della vita umana che permettono un certo radicamento nella vita e nella relazione con Dio. Parliamo qui di vocazioni ineludibili, proprie di tutti gli uomini e le donne che abitano questo mondo: la vocazione alla vita, ad essere se stessi e quindi a vivere il proprio limite, la vocazione alla responsabilità, alla fraternità, all’intimità, all’appartenenza, all’amore. Coltivare queste dimensioni è arare il terreno del cuore dell’uomo e renderlo all’incontro con la Parola di Dio.
b. Lo sviluppo della vocazione battesimale. Entriamo nelle dinamiche della seconda settimana degli Esercizi Spirituali che consistono nel contemplare la vita di Gesù per poterlo conoscere di più, amare di più e seguire di più. Si tratta, quindi, di accogliere una vita alla sequela di Gesù, secondo lo stile del Vangelo, qualunque sia la forma di vita alla quale si è chiamati.
c. Il riconoscimento della vocazione ministeriale. Nel percorso degli Esercizi Spirituali questo passaggio corrisponde all’elezione, ovvero alla scelta della forma di vita o della sua riforma. Questa tappa non riguarda propriamente la pastorale giovanile e vocazionale, ma si inserisce nel percorso successivo di discernimento specifico orientato a una scelta di vita nella Chiesa (propedeutica, postulandato, probandato…). - Creare piccoli passi. Nell’itinerario degli Esercizi Spirituali questo elemento pedagogico è molto chiaro: ogni giorno ha la sua grazia da chiedere e da vivere. Non è utile, anzi, spesso è dannoso e demotivante caricare colui che viene accompagnato con grandi pesi (di esercizi da compiere, di contenuti da studiare…), come se fosse già maturo. Al contempo, è necessario fuggire la tentazione opposta, ovvero quella di non chiedere o verificare mai alcun tipo di risultato intermedio. Una scala – come ben sappiamo – è fatta di tanti piccoli passi da misurare e da compiere.
- Mettere la Parola al centro. Sembra scontato eppure a volte, per paura di ‘perdere’ i giovani, di annoiarli, di non essere efficaci… si fanno moltissimi sconti proprio sul nucleo fecondo dell’annuncio: la Parola che genera la fede (cf. Rm 10,17)[15]. È utile, invece, che ogni incontro sia centrato su un brano di riferimento, su una figura biblica, su dinamiche che vengono evidenziate a partire dalla Scrittura. Il card. Carlo Maria Martini era maestro nel mettere al centro di ogni incontro la Parola, per questo è utile riprendere i suoi testi al fine di imparare un metodo di approccio alla Scrittura e declinarla a seconda del percorso che intendiamo progettare.
- Fare in modo che la Parola parli alla vita. Non si tratta di proporre una ‘lezione’ di esegesi biblica o di trasmettere ‘concetti’ all’interno di un itinerario unicamente centrato sull’‘apprendimento’, ma di creare uno spazio in cui la Parola racconta di sé – del Signore, di Dio e del suo mistero – e racconta di te che la leggi. La Scrittura è uno specchio: ci dà la possibilità di trovare l’immagine autentica di Dio, riflessa dal volto di Gesù e l’immagine profonda di ciascuno. I giovani – e non solo – hanno bisogno di “sentire la carne”/la Vita nel messaggio della Scrittura per comprendersi, e hanno bisogno di guardarsi con gli occhi del Signore, che sono radicalmente diversi rispetto a quelli con cui si guardano continuamente.
- Consegnare strumenti di navigazione. Non si tratta semplicemente di indicare delle ‘regole’, ma di offrire ‘strumenti’ legati al discernimento per poter leggere la vita affettiva, la propria interiorità[16], le relazioni, la propria storia.
- Dare spazio alla condivisione in gruppo. La fede è vera soltanto se condivisa. «Evitando una modalità intimista e autoreferenziale, i molteplici metodi di lectio divina offerti dalla lunga tradizione cristiana, si arricchiscono se vissuti all’interno di quel popolo di ascoltatori di cui tutti facciamo parte; possibilmente in piccole comunità, dove sia favorita la condivisione e l’ascolto reciproco. La fede, se non è condivisa, semplicemente non è! Così la Parola, che non deve essere lasciata a privata spiegazione (cf. 2Pt 1,20), suscita emozioni, riflessioni, domande, desideri sui quali è opportuno lavorare insieme, senza mai invadere il campo della coscienza personale, per portare alla luce la verità della persona e quindi la sua più autentica vocazione»[17].
- Dare la possibilità di un accompagnamento personale[18]. Ogni cammino ha bisogno di essere affiancato e accompagnato con cura. I giovani hanno spesso molti amici con cui passare il tempo (anche nei nostri ambienti), ma pochi fratelli con cui condividere il cammino e pochi padri e madri nella fede[19]. Sebbene non sia semplice trovare accompagnatori spirituali preparati, è fondamentale individuare alcune figure competenti e disponibili e proporre durante gli incontri di gruppo la possibilità di colloqui personali.
- Proporre esperienze correlate. Un pellegrinaggio, un’uscita, un ritiro, un incontro con un testimone… sono esperienze che possono riaccendere il fuoco iniziale, sostenere il cammino e renderlo ancora più concreto e visibile. Non si tratta di ‘fare qualcosa di diverso’, ma di offrire occasioni per rendere più comprensibili ed efficaci i passi che si stanno vivendo.
- Dare esercizi da vivere personalmente al di fuori dell’incontro. La vita quotidiana è il luogo dove poter riconoscere gli appelli del Signore che provengono dalla realtà. Non si tratta di dare i compiti a casa, ma di rendere possibile che l’esperienza spirituale vissuta insieme sia gradualmente integrata e incarnata nella quotidianità. A tal fine è importante, ad esempio, che il momento della preghiera non sia soltanto quello organizzato, ma che la fede divenga consistente nella prassi e nella ‘regola di vita’[20]quotidiana, perché i giovani hanno bisogno di imparare a camminare con le loro gambe.
- Regalare il tempo in un mondo in cui ‘non c’è tempo’. La preghiera, l’incontro, la crescita, l’itinerario vocazionale richiedono tempi lenti. La tentazione della fretta è sempre in agguato. È necessario allora porre attenzione a non bruciare le tappe e insegnare a prendersi il tempo necessario per sentire e gustare il desiderio di crescere integralmente che matura e dà consistenza alla vocazione.
C. Criteri per chi struttura una realtà giovanile/vocazionale
L’opera pastorale è da compiersi insieme, per questo offriamo alcuni criteri per lavorare in rete, confrontarsi e condividere con altri intuizioni e desideri a partire dalla realtà esistente.
- Uno sguardo progettuale. Allargando il criterio sopra indicato, è chiaro che chi si occupa di pastorale giovanile vocazionale ha bisogno di alimentare uno sguardo progettuale non solo sul singolo, ma su ogni proposta in quanto tale.
- Curare la formazione personale. Per fare pastorale giovanile vocazionale servono talento e formazione ‘professionale’ in costante aggiornamento. Non significa necessariamente conseguire un nuovo titolo di studio – per quanto corsi di formazione a livello accademico siano una risorsa importante – quanto entrare nelle questioni, informarsi, farsi aiutare, coinvolgere esperti, leggere abbondantemente per alzare l’asticella della propria formazione[21].
- Curare la propria formazione spirituale con orientamento apostolico. Come proponiamo un accompagnatore personale ai giovani, così anche chi lavora ha bisogno di essere accompagnato: tutti abbiamo bisogno di qualcuno a cui chiedere consiglio, raccontare le difficoltà, condividere progetti.
- Affidarsi a chi può lavorare con i giovani in modo adeguato e progettuale. Tutti (parrocchia, catechesi…) certamente possono dare il proprio contributo, ma non tutti devono e possono lavorare con i giovani in modo adeguato e progettuale. Inoltre, l’essere circondati di giovani non significa necessariamente che si è adatti a proporre determinati cammini vocazionali. È necessario invece chiedersi con onestà: “A chi posso affidare il/la giovane che ho incontrato? Affidare quel/la giovane a qualcuno che abbia approfondito le tematiche dell’accompagnamento, che sia un uomo o una donna matura, che lavori senza voler apparire o attrarre a tutti i costi, che sia riconosciuto da un ministero che gli è affidato dalla Chiesa… È mettersi nella disposizione di lasciare andare per essere generativi[22].
- Avere uno sguardo di rete. Ciò che di buono un giovane sperimenta nella propria realtà locale ha bisogno di essere sperimentabile anche in altre realtà, per staccare l’esperienza di Dio da una persona sola (parroco, educatore, consacrata, movimento…) e rendere visibile e maggiormente esplicita l’azione dello Spirito che incontra contesti differenti manifestando ovunque il volto del Signore. Sorge spontanea la domanda: con quali altre realtà possiamo costruire ponti e fare rete?
- Creare strutture che non finiscano con chi la ha create ma che siano vive e possano essere portate avanti con semplicità anche da altri e in modo condiviso.
[1] Francesco, Vultum Dei quaerere, §14.
[2] Cf. M.G. Muzj, «Il mistero cristiano del colore» in Mysterion (2016) 1, 18-77. Disponibile su www.mysterion.it.
[3] Cf. Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno dei Direttori dei Centri Nazionali Vocazioni delle Chiese d’Europa, Roma 6 giugno 2019.
[4] Cf. Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, «Abbiamo bisogno di vocazioni autentiche. Incontro nazionale dei direttori dei centri diocesani vocazioni e degli animatori vocazionali degli Istituti di Vita Consacrata».
[5] Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, passim.
[6] Francesco, Christus vivit, §103.297.
[7] L’immagine è tratta da E. Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, Bologna 2021.
[8] Cf. R. Bichi, «Giovani che si sono allontanati dalla Chiesa» in Vocazioni 41 (2024) 6.
[9] Cf. Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, Storie e luoghi di vocazioni, YouTube.
[10] «Molte volte è risuonato nell’aula sinodale un accorato appello a investire con generosità per i giovani passione educativa, tempo prolungato e anche risorse economiche. Raccogliendo vari contributi e desideri emersi durante il confronto sinodale, insieme all’ascolto di esperienze qualificate già in atto, il Sinodo propone con convinzione a tutte le Chiese particolari, alle congregazioni religiose, ai movimenti, alle associazioni e ad altri soggetti ecclesiali di offrire ai giovani un’esperienza di accompagnamento in vista del discernimento. Tale esperienza – la cui durata va fissata secondo i contesti e le opportunità – si può qualificare come un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta. Dovrebbe prevedere un distacco prolungato dagli ambienti e dalle relazioni abituali, ed essere costruita intorno ad almeno tre cardini indispensabili: un’esperienza di vita fraterna condivisa con educatori adulti che sia essenziale, sobria e rispettosa della casa comune; una proposta apostolica forte e significativa da vivere insieme; un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella vita sacramentale. In questo modo vi sono tutti gli ingredienti necessari perché la Chiesa possa offrire ai giovani che lo vorranno una profonda esperienza di discernimento vocazionale» (Sinodo dei vescovi, Documento finale del Sinodo sui Giovani, §161).
[11] Cf. ad esempio: Z. Baumann, Modernità liquida, Bari 2011.
[12] Cf. G. De Virgilio, «Vocazione/Chiamata», Dizionario Biblico della Vocazione, 987-1005.
[13] «Qui intendiamo porre qualche accento su alcuni aspetti che mi sembrano centrali facendo apparire orditi fecondi capaci di innescare inedite trame per un rinnovato annuncio vocazionale. Di questo abbiamo bisogno» (M. Gianola, «La migliore versione di te stesso. Orizzonti sulla vocazione» in Vocazioni 35 (2019) 6, 9).
[14] L’indifferenza ignaziana, secondo Sant’Ignazio di Loyola, è la capacità di accogliere ogni situazione con equilibrio interiore, senza attaccamenti disordinati, cercando solo ciò che conduce a Dio. Non significa apatia, ma libertà spirituale per scegliere il bene maggiore. Ignazio invita a non preferire salute o malattia, ricchezza o povertà, ma a desiderare ciò che meglio serve alla missione divina. Ad esempio, chi esercita questa indifferenza potrebbe accettare con serenità di essere inviato in una missione difficile, senza lasciarsi guidare da preferenze personali. Questo atteggiamento permette di vivere in modo appassionato e con totale fiducia nella volontà di Dio.
[15] Cf. C. Ciotti, «Accompagnare i giovani verso il fascino del Vangelo» in Vocazioni 32 (2015) 4.
[16] Per esempio si possono proporre loro delle sessioni sulla preghiera e i diversi modi di pregare, degli incontri su come poter leggere e approfondire le proprie emozioni e i sentimenti. Oppure con delle proposte di approfondimento della questione delle scelte, considerando gli elementi che interagiscono in una scelta e su come poter fare una buona scelta, ecc. In definitiva, sono strumenti pratici per leggere ciò che accade nel cuore di chi è in un cammino spirituale, per alimentare una riflessione e una comprensione luminosa e serena della propria esistenza, in modo che si diventi capaci di orientare in libertà e responsabilità il proprio percorso di vita. In genere, siamo più abituati a definire direzioni o mete e non strumenti. Per questo i giovani saranno grati di ricevere tali strumenti di navigazione.
[17] F.M. Sieni, «Olio» in Vocazioni 41 (2024) 4.
[18] Cf. Francesco, Christus vivit, §246.
[19] «In tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale, perché molti giovani che arrivano si trovano in una profonda situazione di orfanezza. E non mi riferisco a determinati conflitti familiari, ma ad un’esperienza che riguarda allo stesso modo bambini, giovani e adulti, madri, padri e figli» (Francesco, Christus vivit, §216).
[20] Cf. R. Vincenzi, «Cose antiche e cose nuove. Regola di vita» in Vocazioni 41 (2024) 3;
[21] «Per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto che tu sia ben esercitato a percorrerlo in prima persona. Maria lo ha fatto, affrontando le proprie domande e le proprie difficoltà quando era molto giovane. Possa ella rinnovare la tua giovinezza con la forza della sua preghiera e accompagnarti sempre con la sua presenza di Madre» (Francesco, Christus vivit, 298); cf. I. Siviglia, «Il profilo dell’accompagnatore oggi» in Vocazioni 35 (2018) 5; A. Stella, «Accompagnamento. I rischi e la bellezza» in Vocazioni 37 (2020) 3.
[22] A.C. Scardicchio – A. Drazza, «Lasciare andare, voce del verbo fecondare».