N.03
Maggio/Giugno 1999

I diaconi a servizio del popolo di Dio e di ogni vocazione

A partire dalla sua restaurazione fino ad oggi, il diaconato ha percorso un lungo e significativo cammino in Italia come nel mondo, e tuttavia esso muove ancora i primi passi, se si considerano da un lato le sue potenzialità e dall’altro la strada che rimane da percorrere perché ad esse corrispondano scelte pastorali coerenti e concrete.

 

 

Il diaconato “evento” di grazia

Il Concilio Vaticano II, con la sua valenza essenzialmente pastorale e la sua ecclesiologia di comunione centrata sulla Lumen Gentium, ha ripristinato nella Chiesa il diaconato permanente[1], evidenziando in maniera inequivocabile i due elementi che inquadrano una tale scelta nel processo di rinnovamento della vita ecclesiale:

1. Il diaconato rinasce come ministero proprio e cessa di essere solamente una tappa per i candidati al sacerdozio. Questa sua collocazione all’interno della “Gerarchia” viene messa in rilievo attraverso l’accenno alla “imposizione delle mani” e alla “grazia sacramentale”, che sottolinea, anche se ancora prudentemente, la sacramentalità del ministero

2. I diaconi ricevono l’imposizione della mani “non per il sacerdozio, ma per il servizio”[2], in quanto, “sostenuti dalla grazia sacramentale nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio in comunione col Vescovo ed i suoi Sacerdoti”. Tale asserto conferma da una parte tutta la tradizione che esclude il diaconato dalle funzioni sacerdotali, e pone dall’altra il ministero dei diaconi come “intermediario tra quello dei Vescovi e dei Presbiteri” con il resto del Popolo di Dio. Per certo, il diaconato permanente risulta essere oggi l’unica vocazione in forte crescita[3] nella Chiesa, e il suo sviluppo molto deve al lavoro prezioso e instancabile di animatori ispirati. Se il fondamento biblico-teologico del diaconato e la sua funzione nella pastorale ecclesiale forniscono in modo chiaro e pregnante l’ispirazione, la finalità e le modalità di attuazione di questo ministero nella comunità cristiana ne sostengono la crescita, è opportuno però verificare quale sia stato il cammino finora percorso, quali difficoltà siano ancora da superare, quale consapevolezza ci sia nella Chiesa Popolo di Dio della grazia di cui la diaconia ministeriale è portatrice.

 

 

L’esperienza italiana del diaconato

Uno sguardo ravvicinato alla pastorale della Chiesa italiana svela come questo ministero non si presenti in forma omogenea, ma piuttosto con una varietà di realizzazioni che, più che risolversi in mera diversità di metodi ed itinerari, sottende invece proprio concezioni diverse del ministero stesso. Ci troviamo di fronte ad una “sapienza” esperienziale di cui bisogna prendere atto: da una parte il dato della estrema varietà delle condizioni pastorali delle singole chiese locali; dall’altra la prudenza pastorale che induce a non determinare rigidamente un ministero che è ancora “in fieri”. Si tratta di un travaglio di mentalità che merita di essere approfondito, per comporre gli aspetti contraddittori presenti sul territorio e ricondurre la diaconia ministeriale alla radici profonde della sua identità.

Anche se le modalità di impostazione e di sviluppo del diaconato appaiono differenziate e, per molti versi, ogni realtà locale costituisce un caso a sé, è possibile, tuttavia, individuare determinati problemi ed alcune tendenze comuni a tutti le diocesi, grandi e piccole, del Nord o del Sud. Un primo dato convergente riguarda le motivazioni prioritarie di reintroduzione del diaconato nelle varie realtà locali:

A. Motivazione pastorale: “rinnovare la pastorale parrocchiale affidando ai diaconi l’animazione di comunità più piccole, a dimensione familiare”. Si vorrebbe che il rinnovamento ecclesiale – e diaconale – assumesse come scopo primario quello di “ricucire” il rapporto con la gente, al fine di rendere più usuali e quotidiane le dimensioni della fraternità, della condivisione e della preghiera in mezzo al popolo di Dio, superando la separatezza e la ristrettezza proprie di un certo “clericalismo”. Tale prospettiva non è cosa da poco, perché fonda un programma di vita e delinea una precisa identità del diaconato. Il servizio caritativo ai fratelli poveri, la proclamazione della parola nei nuclei familiari, l’assistenza agli ammalati, il servizio della preghiera liturgica, ecc. risultano essere già esercizi concreti di “spirito diaconale”, in quanto tutti tendono all’obiettivo comune di “suturare” il rapporto della gente con le realtà vive della fede cristiana.

B. Motivazione teologica: ridurre la distanza tra clero e laici, incarnando la missione stessa di Cristo “venuto non per essere servito ma per servire” ed esprimendo così la “diaconia-koinonia” della Chiesa. Marginali risultano dunque le motivazioni che rispondono a bisogni concreti (incarichi istituzionali, carenza di preti ecc.) rispetto a quelli di carattere più ideale, che attingono direttamente alla natura del ministero diaconale.

 

 

La figura di diacono nelle realtà particolari

La candidatura, nella grande maggioranza dei casi, viene promossa tramite il parroco e il Consiglio pastorale. D’altra parte, però, molto numerose risultano ancora le “autocandidature”, tanto che un’analisi immediata della situazione italiana vede i diaconi impegnati prevalentemente nelle “parrocchie come collaboratori del proprio parroco”. Il fenomeno delle autocandidature, d’altra parte, evidenzia il rischio che tra il diacono e la gente permanga una “separatezza” che potrebbe rinchiudere il ministero in un ambito di “personalismo-volontarista” o, peggio ancora, di “clericalismo-diaconale”.

In ogni caso, il rapporto tra diaconi e parrocchie costituisce un ulteriore dato interessante estensibile a tutte o quasi le realtà diocesane: è nella parrocchia che il diacono vive essenzialmente il suo legame con la chiesa locale. Ma, se la parrocchia è, da una parte, il “luogo privilegiato” per lo svolgersi del ministero diaconale, essa è dall’altra anche il terreno sul quale i diaconi incontrano problemi (soprattutto nei rapporti con i presbiteri, ed in particolare con i più giovani) e difficoltà che, nella maggior parte dei casi, sembrano riconducibili ad una sostanziale mancanza di fiducia in relazione a responsabilità pastorali da affidare in parrocchia proprio ai diaconi.

Ma “cosa fanno”, in concreto, i diaconi? Abbiamo detto che in linea generale, essi collaborano con il parroco. Dunque le modalità di questa collaborazione spaziano su tutto l’arco dell’evangelizzazione (soprattutto per le molteplici articolazioni della catechesi agli adulti; fidanzati, pre-battesimale, gruppi di Vangelo nelle famiglie, piccole comunità), della liturgia (secondo quanto previsto dai libri liturgici) e della carità (qualche diacono è anche direttore della Caritas diocesana)[4].

L’esperienza, però, ci insegna che il “criterio” del servizio da solo, forse, non è sufficiente a qualificare il ministero del diacono. Bisogna che nelle nostre comunità ci sia una maggiore vivacità non solo di azione, ma anche di intuizione; bisogna guardare con occhio attento alle necessità concrete della comunità stessa, per cogliere verso quale direzione bisogna orientare il cammino. A tal riguardo, ritengo doveroso evidenziare il permanere di una certa passività del Popolo di Dio in riferimento alla pastorale di rinnovamento diaconale: sarebbe opportuno promuovere nelle nostre comunità parrocchiali momenti di catechesi mirati[5] alla comprensione dell’evento di grazia che la diaconia ministeriale porta nella vita e dentro la pastorale parrocchiale.

 

 

La vocazione al diaconato

Nel cammino di comprensione della vocazione del diacono esiste una stretta connessione tra il discernimento e la formazione, anzi questa è consequenziale a quello perché, come dicono i Vescovi italiani, l’itinerario formativo tende anzitutto a porre al centro della personalità del candidato una “coscienza diaconale, cioè una visione globale della vita ispirata e plasmata dalla dedizione al ministero. Proprio per questo la vocazione dei diaconi coinvolge necessariamente tutta la comunità: essa non è un fatto personale che riguarda il candidato o al massimo, se sposato, la sua famiglia. Già nel ‘93 con molta chiarezza, nel documento Orientamenti e Norme, i Vescovi italiani affermano che “la vocazione al diaconato non è semplice momento organizzativo dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell’intera comunità” (cfr. ON, n. 11).

Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita della Chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all’origine della chiamata ed è Lui che dispone ogni itinerario ministeriale. Nella prassi attuale, l’itinerario formativo è finalizzato prevalentemente a porre il futuro diacono nelle condizioni di esercitare una funzione di promozione caritativa, di animazione liturgica e presidenza orante di incontri biblici interfamiliari.

Su quest’ultimo aspetto si sviluppa una prospettiva nuova della dimensione familiare della pastorale. Per l’attuazione di questo progetto pastorale, che tende a rigenerare la comunità cristiana partendo dalla famiglia, la missione del diacono può essere determinante: ministro della chiesa e nel contempo vicino alla vita familiare e sociale dei fedeli, egli può diventare il primo animatore di tutta una rete di gruppi cristiani, spesso guidati da coppie di sposi da lui formati ed orientati, in stretto contatto con i presbiteri e con il vescovo.

È opportuno, però, rivedere seriamente il problema delle posizioni delle mogli e delle famiglie dentro la vita ministeriale dei diaconi (cfr. ON, n. 27). Accanto a tale questione, permane quello di una certa conflittualità fra la professione civile e ministero diaconale, problema che, aggiunto al precedente, caratterizza la duplice condizione del diacono uxorato: la condizione coniugale e quella di lavoratore.

 

 

Il diaconato come “segno dei tempi” nella Chiesa oggi

La situazione fin qui descritta dà ragione delle potenzialità non ancora espresse dal ministero diaconale nella vita della Chiesa italiana, ma mette certamente in luce anche la “novità” e la “ricchezza” del diaconato permanente come “evento” di grazia. Molti sono, infatti, i motivi che impegnano i diaconi e tutti coloro che sono coinvolti in questa realtà a portarla avanti con autenticità di spirito, fervore e senso di responsabilità. La dimensione culturale ancora non rientra appieno nel processo vocazionale; eppure essa garantirebbe un apporto essenziale per l’esercizio di un ministero che deve saper “leggere i segni dei tempi”, le situazioni concrete della vita della gente e “porsi in relazione” con le persone, ascoltando, annunciando, comunicando, mediando fra parole dell’uomo e Parola di Dio e integrando dimensione umana e dimensione divina.

Un elemento caratterizzante da valorizzare è senza dubbio “lo spazio sociale del diacono, uno spazio diverso da quello dei presbiteri e dei laici. “Le questioni del lavoro, dell’economia e della politica” – scrivono i vescovi – “ci impegnano nel nostro Paese sempre più come vere e proprie sfide per il futuro della convivenza, del sistema democratico… Sono sfide che non possono non interpellare la Chiesa ed il suo impegno di pastorale sociale”. Questa proiezione nel tessuto sociale della vita del nostro tempo, con il delinearsi di un rapporto significativo fra “spazio sociale e “spazio ecclesiale, ci offre una chiave per pensare anche il ministero diaconale in prospettiva missionaria. Il diacono, infatti, radicato nella società e immerso in una vita di relazione, sarà in grado di cogliere ogni occasione per suscitare momenti di incontro che permettano a persone diverse di legarsi, interrogarsi, iniziare un cammino verso l’accoglienza della salvezza.

 

 

I diaconi a servizio del popolo di Dio e di ogni vocazione

Grande è anche il contributo che il ministero diaconale può offrire al fiorire e al determinarsi delle altre vocazioni nella realtà ecclesiale. Esercitando il suo servizio, infatti, “il diacono aiutagli altri a valorizzare i propri carismi e le proprie funzioni nella comunità: in tal modo egli promuove e sostiene le attività apostoliche dei laici”, rapportandosi ad essi come “ponte”, “intermediario” o meglio ancora cerniera fra il vescovo/presbiteri da un lato e l’intero Popolo di Dio dall’altro. Certamente la presenza del diacono deve porsi come fattore di cambiamento: essa deve promuovere la realizzazione della comunione, della comunicazione, della corresponsabilità. Il diacono deve essere “segno del fatto che ogni battezzato ha una vocazione ministeriale che gli deriva dal Battesimo e che si realizza sì, in forme diverse, ma sempre in comunione di fede e di opere.

Il ministero del diacono concretizza il ministero profetico che spetta alla Chiesa e che annuncia l’avvento di un mondo nuovo. È importante, allora, che la “diaconia” espressa dal suo servizio “resti un luogo di profezia e di conversione, dove Parola, Eucaristia e Poveri tornino ad essere l’asse portante della vita ecclesiale”[6]. I diaconi devono imprimere alla loro presenza e al loro ministero un’impronta sempre più consapevole della ricchezza della grazia che hanno ricevuto nell’ordinazione, “al fine di dare nuovo slancio alla crescita delle nostre Chiese, nella linea di una comunione profonda e di un dinamismo missionario più incisivo”, aiutando a scoprire, valorizzare e promuovere in ogni persona e nella comunità tutta i doni che sempre promanano dallo Spirito del Signore Risorto.

 

 

 

Note

[1] Cfr. LG, n. 29.

[2] L’espressione è tratta dalla Tradizione apostolica redatta da Ippolito nel 235 d.C. Nelle premesse del rito di ordinazione, egli dice che il diacono riceve “l’imposizione delle mani del solo vescovo, perché il diacono viene ordinato non al sacerdozio ma al servizio del vescovo. Secondo Ippolito, il diacono è al servizio del vescovo per fare quello che lo stesso gli prescrive, ma indicando al vescovo anche quello che c’è da fare.

[3] I diaconi permanenti oggi in Italia sono 1.802 (dato del giugno 1998). Nel 1995 erano 1503, con un aumento in tre anni di 299 unità, pari al 20%. I candidati sono circa 1100. Hanno attualmente diaconi 182 diocesi su 226 diocesi; solo 44 diocesi non hanno diaconi ordinati, 7 hanno però dei candidati e 4 dichiarano che il cammino diaconale è in fase di avvio. Oggi ci sono in media 11 diaconi per diocesi (dieci anni fa erano meno di 3). Cfr. anche G. DE BENEDITTIS, Geografia del diaconato in Italia, in “Il Diaconato in Italia” 106 (1997), 25-31.

[4] Tra gli ambiti di servizio, una segnalazione particolare meritano esperienze d’annuncio in ambienti di frontiera, con i nomadi, i carcerati, i tossicodipendenti, i malati di AIDS, i barboni; e ancora l’animazione di gruppi di volontariato o degli obiettori. Numerosi sono gli insegnanti di religione, c’è un cancelliere e alcuni amministratori della curia. Alcuni sono direttori di case di riposo per anziani e per il clero; altri assistono preti anziani, malati, anche durante le celebrazioni. Presiedono liturgie domenicali in assenza del presbitero e fanno la benedizione annuale nelle famiglie. Altri incarichi sono conferiti a livello diocesano, per cui qualcuno è delegato diocesano per il diaconato ed i ministeri; assistente di Azione Cattolica, opera nell’ufficio liturgico e catechistico, nella pastorale scolastica ecc.

[5] Circa il ruolo della comunità parrocchiale nella scelta degli aspiranti, sembra interessante sottolineare quanto previsto nella diocesi di Reggio Emilia – Guastalla. Il periodo di preparazione della comunità sfocia nelle elezioni, che si svolgono durante tutte le messe di una domenica prestabilita, in cui ogni fedele cresimato indicherà alcuni nominativi che ritiene idonei per essere presentati al Vescovo come possibili aspiranti al diaconato.

[6] Cfr. G. BELLIA, I diaconi italiani: storia, problemi, speranze, in “Orientamenti Pastorali”, 3 (1998), 29-41.

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