N.06
Novembre/Dicembre 2024

Nemici (2)

 

L’unico rimedio che, dopo tanti anni di fatica,
ho potuto trovare
è trattare la fantasia da pazza
e abbandonarla a se stessa.
Solo Iddio la può calmare. 

Teresa d’Avila

 

Se, e soltanto se, con buona pace ci siamo arresi al fatto che sempre la nostra mente, che si illude di essere viva solo se in stato di continua agitazione, si oppone al nostro desiderio di raccoglimento; se, e soltanto se, abbiamo deciso di ‘rimanere’ in preghiera e se, e soltanto se, abbiamo riconosciuto il nostro disordine interiore ed esteriore come il primo nemico della preghiera, allora possiamo affrontare gli altri nemici, quelli che, malgrado tutto, ci faranno compagnia per il tempo che abbiamo deciso di dedicare a Dio! 

Un insospettabile e fedele compagno di viaggio nel cammino della preghiera si chiama ‘perfezionismo’. La sua forza sta nel suo modo di apparire: all’opposto della dispersione, ci si presenta come la soluzione al disordine e alla distrazione, eppure è nemico dello Spirito mentre ci propone, puntuale, la sua tentazione: il controllo.

È insospettabile perché in modo subdolo e insieme molto ragionevole prende possesso della nostra preghiera, ci convince che, applicando tutte le regole, magari proprio quelle imparate al corso sulla preghiera fatto in parrocchia oppure on-line dal guru di turno, otterremo come risultato un contatto con Dio attraverso una preghiera efficace e fatta bene.

Tutti noi nutriamo delle aspettative su ogni cosa che facciamo, crediamo basti applicarci nel modo corretto e tutto funzionerà. Sul web e nei social imperversano maestri che hanno da proporre (vendere) un metodo vincente per ogni cosa: un metodo per dimagrire, un metodo per studiare, un metodo per il make-up, un metodo per imparare una lingua straniera, un metodo per cucinare… tutto si può imparare attraverso un tutorial.

Coloro che accompagniamo nella vita spirituale e in particolare i giovani, presto o tardi ci chiederanno un metodo per pregare, intendendo con questo una serie di cose da fare, una dopo l’altra, così che si possano ottenere i frutti sperati da un momento di preghiera. La stessa cosa accadrà per quanto riguarda il percorso di discernimento vocazionale: tutti subiamo lo stesso fascino attratti dalla possibilità di conoscere un metodo infallibile che, se applicato pedissequamente, ci porti alle decisioni giuste e a conoscere con sicurezza la volontà di Dio.

Sembra a chi scrive che l’aumentata percezione di precarietà che il tempo presente riserva in particolare alle nuove generazioni, sia sorgente di ansia da prestazione anche nell’ambito della vita spirituale; sovente molte energie affettive e psicologiche si riversano sulla necessità di rispondere all’ansia con il controllo. Spesso anche la relazione di accompagnamento spirituale soffre della pretesa di essere sostitutiva di tutte le rassicurazioni mancanti. Anche la domanda di istruzioni e compiti di preghiera che sia possibile verificare, può essere provocata dalla necessità di mantenere basso il livello di inquietudine. La realtà così complessa con le sue istanze va abbracciata e ascoltata, ma le risposte di un padre e di una madre nella fede dovranno avere chiaro un orizzonte di semplificazione e di restituzione della più vera identità di figli e figlie di Dio, liberi sotto la Grazia.

È bene quindi chiarire che sì, un buon metodo di preghiera può essere utile, ma non è tutto, non basta. 

La vita dello Spirito in noi è molto di più. 

La preghiera è una relazione che accade, un incontro che per essere vivo tra vivi ha qualche regola di buona educazione, un ritmo semplice da assecondare, qualche indicazione, ma poi deve essere lasciato ai protagonisti vivi che sono lo Spirito Santo e l’anima dell’orante.

L’arte della preghiera – così la chiamano gli autori spirituali – come ogni espressione artistica, ha bisogno di una tecnica da apprendere ma, allo stesso tempo, ha bisogno dell’estro e del cimento dell’artista che, da persona libera, esprima se stesso al di là della tecnica appresa. 

Questa è la parte più difficile da insegnare: perdere il rassicurante elenco dei compiti da svolgere e delle fasi da seguire per cimentarsi nella libertà dei Figli di Dio!

Quello di cui vorremmo convincere i nostri giovani è che stare in relazione con Dio, pregare e conoscere il suo cuore non ha a che fare con uno sforzo muscolare della mente quanto più con la sua resa, con il suo riposo. È una questione di esercizio, una vera ascesi nel senso proprio del termine – ἄσκησις, áskēsis, ‘esercizio’, ‘allenamento’ – ma nella direzione del lasciare andare e perdere il controllo piuttosto che nell’esecuzione perfetta e rigorosa di ogni passaggio, fosse anche della miglior tecnica di lectio divina

Strano a dirsi ma per pregare, per pregare veramente con tutto se stessi, dobbiamo fare a meno di noi stessi, abbandonare il nostro personalissimo progetto di preghiera per offrire lo spazio alla preghiera dello Spirito in noi.

Il nostro mondo ci invita costantemente a occupare tutto lo spazio, a sedere noi al centro, a contare solo su noi stessi, a regnare da padroni sulla vita che, in verità, ci è stata donata. Facendo nostra un’immagine che appartiene alla tradizione monastica possiamo dire invece che il trono del nostro cuore va lasciato libero perché Dio possa venire a prenderne possesso, a riposare in esso perché da lì si manifesti la sua gloria.