N.01
Gennaio/Febbraio 2015

Un ragazzo d’oro

Regia: Pupi Avati
Sceneggiatura: Pupi Avati e Tommaso Avati
Interpreti: Sharon Stone, Riccardo Scamarcio,
Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli, Guia Zapponi, Viola Graziosi, Tiziana Buldini, Christian Stelluti
Produzione: Duea Film, Combo Produzioni, Rai Cinema
Distribuzione: 01
Durata: 102’
Origine: Italia, 2014

Il tema della paternità (e della figliolanza) ricorre molto spesso nella cinematografia di Pupi Avati (Il papà di Giovanna, La cena per farli conoscere, Il figlio più piccolo). Quel genitore che al regista è mancato nell’infanzia (morì quando lui aveva dodici anni, nel 1950, in seguito ad un incidente stradale) continua a ritornare nel suo cinema con varie sfaccettature e colorazioni. Ed è presente anche in questa sua ultima opera dal tono delicato, anche se talvolta un po’ ingenuo e didascalico.

La vicenda – Davide Bias è un trentenne che fa il pubblicitario creativo a Milano, ma la sua passione è quella di fare lo scrittore.
È legato sentimentalmente a Silvia e soffre di disturbi psichici. Un giorno riceve la notizia della morte del padre, Achille, uno scrittore di sceneggiature di serie B abitante a Roma. Il rapporto di Davide con il padre era sempre stato pessimo; tuttavia il giovane si reca con Silvia al funerale per consolare la madre. Poi ritorna a Milano. Qui le cose si mettono male dal punto di vista professionale e Davide perde il lavoro. Per di più si rende conto che Silvia è ancora legata al suo compagno precedente dal quale non riesce a staccarsi. Decide così di tornare a Roma. Qui incontra Ludovica, un’affascinante signora (ex amante di Achille) che fa l’editrice e che gli rivela che il padre stava scrivendo un libro autobiografico che si preannunciava molto interessante, invitandolo a scoprirlo. Vivendo con la madre nella casa di famiglia, Davide ha modo, poco alla volta, di conoscere meglio quel padre tanto detestato e di rendersi conto che era una persona fragile che, tutto sommato, gli voleva bene. Quando scopre che quel romanzo, di cui aveva cominciato ad occuparsi, era soltanto abbozzato per mancanza d’ispirazione, Davide decide di scriverlo lui, lavorando febbrilmente e rifiutando di prendere le medicine che gli inibivano l’ispirazione. Ne verrà fuori un capolavoro che però lo farà impazzire con conseguente ricovero in clinica psichiatrica. Forse avrebbe la possibilità di venirne fuori e di diventare un vero scrittore, ma preferisce rimanere in clinica, gioendo per il successo che il libro “del padre” aveva ottenuto in tutto il mondo.

Il racconto – La struttura del film è sostanzialmente lineare (a parte un paio di flashback, o, meglio, dello stesso flashback che viene ripetuto due volte) con la classica impostazione: un’introduzione, tre grosse parti narrative e un epilogo.

Introduzione – Il film inizia con alcune immagini in bianco e nero che mostrano un uomo e un bambino che si tengono per mano.
Evidentemente si tratta di Davide bambino che stringe la mano al padre. L’uomo aiuta il figlio a saltare un ostacolo che da solo non sarebbe riuscito a superare. Il sottofondo musicale è rappresentato da una canzone dolce e sentimentale. Si tratta di quel flashback di cui s’è parlato (che ritornerà più avanti, acquisendo pertanto un forte peso strutturale) che diventa una vera e propria chiave di lettura di tutto il film. È chiara la significazione: con l’aiuto del padre, Davide riesce a fare ciò che da solo non riuscirebbe a fare. 

Prima parte – Il fallimento di Davide
Viene subito presentata la figura del protagonista. Davide vive a Milano e si sta recando ad un appuntamento molto importante presso un’agenzia letteraria, con la speranza che i racconti che ha scritto vengano pubblicati. Il film sottolinea subito la precaria situazione psichica di Davide: è teso, registra quello che sta facendo e si rende conto che ha «ricominciato a contare i passi», segno evidente di una forma maniacale. Si viene a sapere che ha frequentato un corso di scrittura creativa a New York, che ora lavora in pubblicità, ma che sente il bisogno di scrivere. Il capo dell’agenzia, pur riconoscendo il suo talento, gli fa osservare che il “racconto” è un genere letterario che funziona bene nei paesi anglosassoni, ma non in Italia. Gli restituisce pertanto il manoscritto e lo invita a sviluppare uno dei suoi racconti e farlo diventare un romanzo: «Lei ha il talento per raccontare una grande storia». È importante notare che di fronte alla domanda: «Lei è parente di Achille Bias che faceva quei filmacci?», Davide risponda negativamente. In altre parole Davide nega il proprio rapporto con il padre. Poi se ne va e dice a Silvia di aver chiuso con la scrittura, gettando i fogli fuori dal finestrino della macchina. Poco dopo Davide s’accorge che Silvia non ha troncato la sua relazione con Walter, il capo dell’agenzia pubblicitaria presso cui lavora. Si tratta di una duplice delusione, la prima sul piano delle aspirazioni, la seconda sul piano sentimentale.
In seguito Davide riceve una telefonata che gli annuncia la morte del padre. Il giovane non vorrebbe neanche andare a Roma per il funerale, ma Silvia lo convince a partire. Significativa la frase (ripetuta due volte) di Silvia: «La guerra con tuo padre è finita». Al che Davide risponde: «E chi ha vinto?». Davide e Silvia si presentano in chiesa per la cerimonia funebre tenendosi per mano. A questo proposito va sottolineata l’insistenza, durante il film, sul particolare delle mani che si stringono (con Silvia, con la madre, ma soprattutto, da bambino, con il padre), quasi a sottolineare che Davide ha bisogno di essere tenuto per mano e soprattutto ha bisogno della mano del padre. Il discorso di Davide durante la cerimonia è quanto mai duro e chiarificatore: «Tra me e mio padre c’è sempre stato un grande problema». Poi continua parlando dei genitori che impediscono ai propri figli di realizzarsi, forse per paura che i propri figli possano valere più di loro. Infine conclude dicendo che i genitori, per permettere ai loro figli di vivere la loro vita e di esprimersi, dovrebbero fare come ha fatto suo padre: andarsene.
Dopo la cerimonia Davide incontra il regista, che ha diretto quasi tutti i film del padre, che gli annuncia l’uscita di un nuovo film tratto da una sua vecchia sceneggiatura. Inoltre viene avvicinato da una signora piuttosto misteriosa (Ludovica) che lo invita a contattarla.
In seguito Davide mostra a Silvia la casa paterna: la sua camera, quella dei suoi genitori, lo studio inaccessibile del padre. La visita diventa l’occasione per criticare ancora la figura paterna, di quel padre che “cornificava” la moglie; che usava un profumo «che sa di fiori» e che, secondo lui, lo rendeva speciale; che non era mai riuscito a creare un vero capolavoro. Poi Davide e Silvia fanno ritorno a Milano. Davide è in seduta psicanalitica. Ammette di «aver ripreso a contare i passi» e si lamenta che tutte quelle pillole che sta prendendo gli annullano l’immaginazione. La psicanalista lo invita a continuare la terapia: «Se smette la terapia potrebbe tornare a quell’ossessione compulsiva che le ha procurato tanti problemi». Al che Davide, significativamente, obietta: «Ma nella vita bisogna scegliere qualche volta». Poi racconta alla dottoressa che suo padre è morto «con la convinzione di aver fallito in tutto» e si confida: «Quando ero bambino mi aveva inculcato che insieme avremmo potuto fare qualsiasi cosa, che saremmo stati invincibili. Ma poi si vede che ha capito che due falliti nella stessa famiglia sarebbero stati un po’ troppo».
Nello studio pubblicitario vengono visionati i vari spot. Quello di Davide viene scartato provocando nel giovane una reazione rabbiosa: dopo avere ingurgitato una pastiglia, va da Walter (che lo provoca riguardo a Silvia) e lo aggredisce violentemente. Così perde anche il lavoro e non gli resta che tornarsene a Roma dalla madre: «Ho perso il lavoro; ho la certezza che Silvia se la fa ancora con quella m… e torno nella casa che mi fa schifo». È il fallimento totale di Davide, sul piano delle aspirazioni, su quello sentimentale, su quello professionale.

 Seconda parte – La scoperta del padre
Ritornato a vivere nella casa paterna, Davide viene a sapere che forse il padre si è suicidato. Si reca sul luogo dell’incidente con i periti dell’assicurazione e si sofferma a guardare il burrone in cui la macchina è precipitata. In lui prevale ancora il risentimento:
«Sono nel punto esatto in cui mio padre non ha voluto frenare. Qui, proprio in questo punto, avrà urlato per darsi coraggio. Avrà avuto paura… anche lui finalmente avrà avuto paura».
Dopo aver saputo dalla madre che Ludovica è stata una delle amanti del padre, Davide si reca ad incontrarla. Questa gli dice che Achille stava lavorando a un libro, una specie di autobiografia: «Era convinto che questo libro in cui si confidava totalmente, e anche in modo imbarazzante, l’avrebbe risarcito». E lo prega di cercare il libro tra tutti gli scritti che il padre aveva lasciato. Ma Davide ribadisce: «Avevamo un rapporto orrendo. Forse lui voleva bene solo a lei». E si rifiuta di cercare il libro.
Tornato a casa, Davide incontra Enrico, uno studente che sta preparando una tesi su suo padre e che gli parla di una sceneggiatura che era un vero capolavoro. Incuriosito, Davide si mette a cercare nel computer del padre, ma non riesce a indovinarne la password.
Ma la vera e propria evoluzione del protagonista sembra iniziare quando i fratelli Lanzillo, che avevano sempre avuto qualche particina nei film del padre, gli dicono che Achille sul set leggeva le lettere che Davide gli mandava dall’America e diceva che il figlio sarebbe diventato un grande scrittore. Davide è stupito dalla cosa: non avrebbe mai immaginato che il padre avesse stima di lui. Significativo che subito dopo Davide annusi intensamente il profumo del padre. Più tardi, la madre, con la quale aveva visto in TV un pezzo di un film del genitore, gli rivela: «Ti voleva bene». Davide risponde semplicemente: «E perché non me l’ha mai detto?».
Un altro momento particolarmente importante è quando Davide, che è finalmente riuscito ad entrare nel computer del padre, trova un file intitolato «La mano di mio figlio». In esso si parla (e l’immagine puntualmente lo ripropone) di quando Davide bambino, tenendo la mano del padre, era riuscito a superare quell’ostacolo pericoloso. È chiaro che la cosa assume un valore emblematico e rappresenta una premonizione di quello che succederà.
L’atteggiamento di Davide gradualmente si trasforma. Si interessa di un premio che il padre aveva vinto, ma che poi, all’ultimo momento, gli era stato negato. Trova quella sceneggiatura di cui gli aveva parlato Enrico e che sta per essere portata sullo schermo. La legge avidamente, tutta d’un fiato, e alla fine è sinceramente commosso.
Telefona a Ludovica invitandola alla prima del film e afferma: «Forse non ho mai capito veramente mio padre. Mi sembra di avere scoperto un’altra persona».
La delusione per come il film ha rovinato la storia di suo padre, involgarendola, lo porta a fare un discorso di fondamentale importanza: «Ieri notte ho letto questa sceneggiatura che mio padre ha scritto quando aveva 25 anni e, nel leggerla, scoprii un suo modo di vedere le cose che francamente non immaginavo. È difficile per me dirlo: io e mio padre abbiamo avuto veramente un rapporto orrendo, ma alla fine di questa lettura mi sono commosso. E ho pensato che potevo essere orgoglioso di questo mio “papà ragazzo”». Poi inveisce contro il regista: «Tu l’hai tradito per l’ennesima volta».
Incomincia a parlare con la foto del padre e riceve da Ludovica un complimento che gli fa veramente piacere: «Hai fatto esattamente quello che un padre s’aspetta da un figlio». Ora gli resta solo una cosa da fare: trovare il libro che il padre aveva iniziato, consegnarlo a Ludovica e poi finalmente ritornare a Milano da Silvia che, come la madre, è preoccupata per la sua salute.
Ma quando trova lo scritto e vi legge: «Devo essere sincero per la prima volta; lo debbo essere e dire la verità su me stesso. Non sono più in grado di scrivere nulla. È finita… è finita», Davide si commuove profondamente e si mette a piangere.
Improvvisamente arriva Silvia che lo invita a tornare a Milano dove è stato reintegrato al suo posto di pubblicitario. I due fanno l’amore per la prima volta. Tutto potrebbe finire così. Ma Davide prende una decisione radicale.

 Terza parte – L’identificazione e la sostituzione
Già in precedenza era iniziato un processo di identificazione col padre (alla prima del film si era vestito con un abito del padre e aveva usato il suo profumo, al punto che la madre gli aveva detto: «Mi sembra di uscire con lui»). Inoltre aveva messo un piccolo catenaccio alla porta dello studio e vi si era rinchiuso dimenticandosi di mangiare. Ora il processo arriva fino in fondo. Davide si rifiuta di tornare a Milano: «Ha lasciato una cosa molto importante da fare.
Una cosa che lui pensava avrei potuto fare solo io; una cosa che posso fare solo io». Silvia è spaventata: «Mi fai paura». Ma lui, di fronte alla foto del padre, ribadisce: «Mi costerà una fatica immane, ma so che io e te ce la possiamo fare, come quando ero bambino, ti ricordi?».
Ma per fare ciò è necessario buttare via le medicine che condizionano la sua immaginazione, pur sapendo che questo lo porterà alla pazzia. Ma Davide, come aveva detto alla psicanalista, ha fatto una scelta, quella di sostituirsi al padre, di scrivere al posto suo, di scrivere per lui.
Si mette a scrivere freneticamente, senza posa. Poco alla volta consegna il lavoro a Ludovica, prendendo tempo, fingendo di non riuscire a trovare i file nel computer. Anche fisicamente assomiglia sempre di più al padre. E, come il padre, si innamora di Ludovica, immaginando nella sua mente malata di esserne diventato il fidanzato.
La donna è entusiasta per il materiale che Davide le porta: «Si rende conto che questo può diventare il caso letterario dell’anno?». Finalmente la conclusione: «Pochi istanti fa ho finito l’ultimo capitolo del libro, il più commovente; quello in cui mio padre scopre di non avere più felicità né da dare né da ricevere». Lo consegna a Ludovica, ma le sue condizioni psichiche precipitano. Davide diventa aggressivo nei confronti della gente e deve essere ricoverato in clinica. 

Epilogo – Un anno dopo
Davide è in una clinica psichiatrica e assiste in TV alla premiazione del libro “del padre”, intitolato Contro, vincitore del Premio Strega. Ludovica lo va a trovare e vorrebbe che guarisse per poter uscire di lì, ma lui ribatte: «Io ci sto bene qui». Anche Silvia, che ha capito tutto, lo incoraggia a diventare uno scrittore e, provocatoriamente, gli chiede: «Credi che tuo padre avrebbe fatto per te quello che tu hai fatto per lui?». Ma a lui interessa solo una cosa: «Io e mio padre siamo invincibili. Me e lui insieme non ci batte nessuno».
L’ultima immagine rappresenta Davide da solo che dice: «Malgrado tutti dicano che sono guarito, mi sono rifiutato di andarmene da qui. Voglio restarci per sempre. È bello essere matti. Ognuno può immaginare quello che vuole. Come quando io e papà riuscimmo a fare quel salto che solo i grandi sapevano fare». Poi sorride serenamente: «Il libro di papà è stato tradotto in dodici lingue». Ritorna la musica iniziale. Una dissolvenza in chiusura conclude l’opera.

 Significazione – Davide ha avuto un rapporto orrendo con il padre e vive nel rancore e nell’odio. Ma dopo la sua morte ha la possibilità di conoscerlo più a fondo, di scoprirne i lati positivi e profondamente umani: l’amore (anche se inespresso) nei confronti del figlio, la sua bravura di scrittore, la sua fragilità e il suo fallimento, ecc. Ne nasce un’ammirazione che lo porta a identificarsi col genitore e a sostituirsi a lui, portando a termine quel lavoro, iniziato e mai finito, che solo grazie alla loro unione può essere completato e diventare un “capolavoro”.

Idea centrale – Il rapporto padre/figlio può essere fonte di conflitti, di rancori, di odio. Ma una conoscenza più profonda, che permette di scoprire l’umanità delle persone, fa nascere una comunione spirituale che supera la barriera della morte e che può portare a grandi imprese.