Germana Sommaruga
Una vita di Speranza accesa
Il 25 maggio 1931 c’è una ragazzina – Germana Sommaruga – che non ha voglia di svegliarsi: è il giorno del suo diciassettesimo compleanno e il desiderio sarebbe restare ancora un poco sotto le coperte. A svegliarla – discretissima, portandole un regalo e un bacio – è mamma Paola: seconda moglie del padre Ubaldo, francese, di ottima famiglia, Paola le è entrata nel cuore ed è diventata per lei vera madre anche nello spirito. Donna totalmente donata a Dio pur se sposata, e mistica, più tardi terziaria domenicana, Paola quel giorno mette sul comodino di Germana un librone: la biografia di san Camillo de Lellis scritta da padre Mario Vanti. Nel dormiveglia, Germana d’un tratto, col suo librone vicino, avverte interiormente la presenza di qualcuno nella stanza, come «d’un gigante balzato fuori dal libro»: è il suo incontro, folgorante, con san Camillo. Da quel giorno non sarà più la stessa e lei – che ha già sperimentato la sofferenza del lutto e della guerra (era nata nel 1914) – trova in Camillo un santo con cui condividere l’integralità del dono, la serietà di non accontentarsi di risposte parziali, la volontà di investire la vita su qualcosa che sia “tutto” (in famiglia una volta ebbe a dire: «un uomo solo non mi basta»).
Germana pensa così alla strada della consacrazione e – non senza il confronto esigente con la figura di papà Ubaldo – entra tra le Figlie di San Camillo. Si ritrova in un ambiente che al contempo la attrae e la respinge, lasciandola in sospeso tra il passo fatto e l’esuberanza d’un desiderio più grande. Germana con le suore si trova bene, ma quella vita le sta stretta e confiderà: «Amavo tale forma di vita, anche se mi era dura». È la premessa a una novità che Dio va preparando, a una luce che riceve il 6 gennaio 1936, giorno dell’Epifania, alle 18:30 mentre la Madre Generale stava benedicendo la mensa. Lei confida: «Un’idea improvvisa venne a mutare il mio orientamento di vita». Un’idea: non nel significato d’un qualche pensiero, d’una nozione astratta… Un’idea nel senso greco del termine, dove la radice di “idea” ha a che fare con il vedere: insomma uno sguardo profetico, lungimirante, un’intuizione che squarcia quell’istante e intra-vede lontano.
Germana Sommaruga comprende di dover tornare nel mondo, riprendere gli studi universitari e dar vita a un gruppo di laiche consacrate dedicate ai malati, negli ambienti più poveri. Trova nel religioso padre Rubini un alleato, quando egli le dichiara che tra le suore avrebbe avuto «vita d’inferno» [perché] non era «camilliana», ma «camilliano»! C’era in lei qualcosa di diverso e meritava scoprirlo, difenderlo, conseguirlo.
Germana parte sola. C’è anzi l’opposizione del padre spirituale, in anni in cui gli Istituti secolari erano lontani dall’essere approvati (lo saranno nel 1947 con la Provvida Mater Ecclesia). Ma Germana Sommaruga non è donna da arrendersi e comincia dalle cose certe: come la laurea in Magistero in Cattolica (a. a. 1937-38), la prima Aspirante (1938) e poi altre che gli stessi Camilliani orientano alla sua guida, nonché l’appoggio e il ruolo del Camilliano padre Angelo Carazzo, figura decisiva per il concretizzarsi del progetto. Nasce così la «Famiglietta», una famiglia piccola piccola, un «seme» di evangelica memoria gettato nei solchi della storia e dentro le piaghe dei malati nell’anima e nel corpo, finché fiorisca: il 6 gennaio 1961 (un’altra Epifania) essa riceverà l’approvazione e diventerà l’Istituto Secolare delle «Missionarie degli Infermi» (con l’aggiunta di «Cristo Speranza» dal 1979), nel quale si accettano anche le malate perché proprio nel loro patire sapranno essere vicine agli altri sofferenti, formidabili testimoni di speranza nel dolore e di risurrezione oltre le frontiere del morire.
Germana comprende che la Famiglietta esige tutto e, pur amandoli, si distacca dai familiari quanto necessario per darsi alla realtà che prende forma in quegli anni. Dopo un impegno in forma privata il 4 maggio 1937 a «vivere sempre nello spirito di san Camillo», emette nel 1941 la propria consacrazione, con semplicità, alla presenza delle prime compagne. Germana possiede una fine comprensione delle esigenze della vita consacrata e, per la Famiglietta, vuole una calda umanità, la capacità di abitare ogni luogo del mondo e quella custodia del cuore che dica il primato di Dio, cui tutto è riservato. Scriverà: «Una castità custodita profondamente, ma con il nostro cuore nelle nostre mani, così che ciascuno lo veda battere ma che nessuno lo possa toccare e profanare; […] una mortificazione che sia custodia attenta e delicata e omaggio silenzioso e nascosto a Gesù…». Ha grande rispetto per le persone, crede nelle risorse della libertà umana e – con le sue figlie spirituali – vive l’obbedienza dentro il dinamismo di un discernimento dove fare verità insieme, dove cercare il bene senza irrigidimenti, chiusure, imposizioni.
Lei non è un medico, o un’infermiera: è un’insegnante che per tanti anni lavora a Milano, consapevole che il patire si trovi anche dove non c’è la malattia fisica, che il bene si possa fare in tanti modi. Sono anni di vita di una «donna qualunque», come lei ama definirsi: una donna accanto a tanti altri, senza distinguersi, senza richiamare l’attenzione su di sé, ma orientandola, piuttosto, sui segni del Regno, sulla presenza di Gesù. Diventa e vuole che le sue figlie siano missionarie di speranza: abita, per vocazione, proprio quelle tenebre dove spesso Dio viene attaccato, nel grido disperato di chi vede nella sofferenza la più insuperabile obiezione al Suo esistere. Germana Sommaruga non risponde in punta di concetto, non si atteggia a teologa, ma colma quelle tenebre con una Speranza e vi riversa la sovrabbondante carità di Cristo, l’unica esperienza davanti a cui le obiezioni cedono.
È in questo spirito che nel 1987 – di fronte alle fragilità di salute e pur potendo essere curata in altro modo restando nella sua Milano – Germana sceglie di lasciare la propria casa per entrare in casa di riposo: “libera prigioniera”, intende così vivere sino in fondo la propria consacrazione, curando con la sua presenza d’amore e la testimonianza d’una malattia affrontata serenamente tanti anziani, soli, disperati, abbandonati in queste strutture di degenza. Dapprima a Rho e poi a Capriate in un centro Camilliano dove i novizi fanno pratica di assistenza ai malati, Germana aiuta in questi anni tutti e più che può, proseguendo – finché le è possibile – l’attività di scrittura, formazione, supporto alla realtà di san Camillo. L’artrosi deformante, l’osteoporosi e una serie di guai tra cui la rottura di 14 costole la fanno sempre più fragile. Confida: «Ora sono dolorosamente rappezzata, quasi miracolosamente mi ritrovo ancora in vita». Non mancano prove interiori («la mia notte spirituale così oscura e senza stelle»); un lavoro che resta eccessivo e tende a schiacciarla («io sono al tramonto e nel medesimo tempo schiacciata dal lavoro che nessuno mi risparmia»); la sua capacità di chiamare sino all’ultimo le cose col proprio nome, di non essere prolissa e nel patire di imparare a dire “molto”, “grazie”, “tanto”, “sì”, semplicemente riconoscendo le cose come sono.
Germana muore il 4 ottobre 1995, giorno di san Francesco d’Assisi, col «cuore in mano»: «Col coeur in man», secondo una tipica espressione milanese che significa accessibilità, bontà d’animo, ma che per lei è il «cuore in mano» della laica consacrata: cuore che pulsi forte e di cui tutti vedano i battiti, accessibile a ogni fratello che soffra; cuore racchiuso nel palmo poiché custodito per Dio solo.
«Ti porgo il calice della mia vita […].
Colmato di Te diventi offerta»
Serva di Dio Germana Sommaruga
Germana Sommaruga nasce a Cagliari il 25 maggio 1914 da una famiglia di spicco e raffinata cultura. Troppo presto orfana di madre, sperimenta bambina la sofferenza della guerra e del distacco affettivo, trovando tuttavia nella seconda moglie del padre una donna eccezionale che le farà da mamma nella vita e nella fede. A lei deve a 17 anni l’incontro con la figura di san Camillo de Lellis che la conquista e sente di dover seguire, sino a fondare l’Istituto Secolare delle Missionarie degli Infermi: donne che dal 1962 varcheranno l’Oceano, raggiungendo frontiere lontane. Stimatissima da figure di spicco nella Chiesa con cui è in contatto e dall’umile popolo di Dio, Germana esercita un forte impatto sugli stessi Camilliani. Nel 1987, di fronte all’aggravarsi delle condizioni di salute, lascia la sua casa a Milano per essere accolta da strutture per gli anziani e rimanere missionaria anche nella fragilità della vecchiaia. Germana, oggi Serva di Dio, muore a 81 anni il 4 ottobre 1995. Per conoscerla: Marisa Sfondrini, Germana Sommaruga e il «sogno» di Dio. Appunti per una biografia, Ancora, Milano 2010; Anna Frattini, Lorenzo Moser, Germana Sommaruga. La vita donata di una donna di speranza, Velar, Bergamo 2012 (tradotto in lingue diverse). Inoltre: https://www.ist-sec-mdi-cristosperanza.org/