Il parroco e l’arte del celebrare: un servizio vocazionale
Si ripete spesso, oggi, che il nostro tempo ha sete di autenticità. Soprattutto quando si parla dei giovani si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. Questa pressante esigenza va vista come un “segno dei tempi” anche riguardo al problema delle vocazioni. Ricordando Paolo VI possiamo dire che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri” (Evangelii nuntiandi 41).
Qui ci occupiamo di quella testimonianza vocazionale che il parroco, ma in genere ogni sacerdote, devono dare al popolo di Dio proprio a partire dall’“arte del celebrare”; i giovani in cerca di un’identità vocazionale dovrebbero vedere nel sacerdote celebrante non un ripetitore più o meno meccanico di riti, ma l’uomo di Dio, un testimone dell’invisibile (cfr. Eb 11,27). Solo chi ha conoscenza profonda ed esperienza crescente del “mistero” può comunicare agli altri tale sorprendente annuncio (cfr. 1 Gv 1,1-4).
Al sacerdote celebrante il giovane alla scoperta della propria vocazione chiede: credi a ciò che celebri? celebri ciò che credi? vivi ciò che celebri? (cfr. LG 28; EN 76). Per ogni celebrante risuona tuttora l’ammonimento dell’Apostolo: “chi presiede, lo faccia con diligenza” (Rm 12,8). Ogni celebrazione dovrebbe diventare una “proposta di vita”, un’esperienza che susciti adesione e meriti di essere condivisa.
Consapevoli della propria dignità
Una dignità che non è un onore, ma un servizio. In virtù dell’Ordine sacro, il sacerdote è chiamato ad esercitare il ministero della presidenza “nella Persona di Cristo Capo” (LG 28; PO 5). Non tanto “a nome di…”, o “in rappresentanza di…”, quasi ambasciatore di qualcuno. La potestà sacerdotale costituisce il ministro nella realtà del segno sacramentale: è Cristo stesso che agisce in lui e lui agisce in Cristo. Pertanto: quando Pietro battezza, è Cristo che battezza (S. Agostino, citato in SC 7); nelle azioni liturgiche Cristo è “presente” (praesens adest) nella persona del ministro “Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti” (SC 7, 35).
Il sacerdote celebrante deve essere consapevole di essere un dispensatore dei misteri di Dio, un consacrato per agire “in Persona Christi”, il continuatore della potestà sacerdotale dell’unico Liturgo, Cristo. Mediante il loro ministero i sacerdoti celebranti rendono presente e applicano il sacrificio di Cristo, guidano la preghiera dei fedeli, annunziano il messaggio della salvezza. Servi premurosi del popolo di Dio, lo nutrono con la Parola e lo santificano con i sacramenti, testimoni di fedeltà e di amore generoso[1].
Quale stile di celebrazione
Da questo ministero deriva ai sacerdoti il dovere di rendere l’assemblea veramente celebrante, attivamente partecipe e consapevole del mistero che si compie. Con tutto il proprio atteggiamento pervaso da intima preghiera, colui che presiede deve rendere ogni celebrazione un’esperienza di fede che si comunica, di speranza che si conferma; di carità che si diffonde[2]. Parlando dello “stile” con cui il sacerdote deve celebrare i santi misteri, il Messale Romano usa queste espressioni: “deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo” (IGMR 60).
Coloro che presiedono la liturgia devono prestare il loro servizio con competenza e con interiore adesione a ciò che fanno. Devono esprimere efficacemente l’unità di fede e di carità di tutta la comunità ecclesiale, segno e strumento del mistico corpo di Cristo.
La stessa osservanza fedele delle norme liturgiche, per ciò che riguarda gesti, parole, vesti e suppellettili, dovrebbe essere per ogni ministro l’occasione per dar risalto al senso del sacro, connesso con il culto, e anche una preoccupazione pedagogica. La Chiesa ha emanato precise istruzioni al riguardo, alle quali tutti i ministri si devono attenere[3]. Questa fedeltà alle norme della celebrazione, unita al dinamismo nel presiedere, diventa esemplare per la comunità. I fedeli dovrebbero avvertire l’elevatezza dei misteri celebrati sia dal fervore interiore dei ministri e sia dalla nobiltà del loro comportamento. I ministri dovrebbero sapere che mancando al proprio ruolo di guida possono disorientare i fedeli, quando con leggerezza modificano lo svolgimento dell’azione sacra con aggiunte o sottrazioni indebite, o celebrano senza i paramenti, con vasi non sacri, fuori del luogo e sede prescritti. Pur riconoscendo le situazioni di necessità e ammettendo le giustificate eccezioni, i ministri sono caldamente invitati ad offrire alla comunità celebrazioni liturgiche le più dignitose e ordinate possibile. Le celebrazioni dignitose sono un sublime richiamo per quanti si stanno interessando e avvicinando alla vocazione sacerdotale.
Gli atteggiamenti di chi presiede le celebrazioni devono essere guidati da una comprensione appropriata (SC 18) e da un senso di decoro. La dignità delle celebrazioni si ottiene anche in condizioni di semplicità o povertà, purché compiute con devozione interiore ed esteriore, evitando ogni fretta e trasandatezza. La presidenza liturgica richiede al ministro ricchezza interiore, conoscenza dottrinale, capacità di coinvolgere gli altri, volontà di prepararsi volta per volta.
Continuità tra celebrazione e vita
La Liturgia, in quanto “fonte” da cui promana la vita della Chiesa, esige che i fedeli “esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede” (SC 10; cfr. PO 6; GS 43). Ad ogni fedele è richiesto di esprimere nelle azioni quotidiane la multiforme ricchezza del mistero di Cristo appreso mediante la fede (SC 10). Questo vale soprattutto per i sacerdoti: non solo le loro celebrazioni, ma anche tutta la loro vita di preghiera deve diventare una fucina vocazionale.
I giovani devono trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e soprattutto un uomo che li aiuta a guardare Dio, a salire verso di lui. Il prete deve essere per i giovani in cerca di un’identità vocazionale l’uomo della preghiera, il “pedagogo della preghiera”, della profonda intimità con Dio. Solo un’esperienza approfondita della preghiera conferisce alla vita del sacerdote il suo stile peculiare, il suo spirito, la sua anima[4].
Oltre che modello del gregge nella celebrazione eucaristica, il sacerdote è maestro di preghiera anche nella Liturgia delle Ore. I giovani sono particolarmente attenti e sensibili a queste convocazioni che avvengono spesso prima delle lezioni, in una Chiesa vicina alla scuola; imparano a scandire le giornate secondo un ritmo di fede integrando progressivamente vita e preghiera per il bene non solo personale, ma della Chiesa e del mondo intero[5].
Il sacerdote sappia essere modello del gregge anche nella frequenza sistematica al sacramento della Riconciliazione: sarà segno credibile della necessità di un cuore purificato, testimone della misericordia di Dio. Oltre alla preghiera liturgica, il sacerdote dovrà essere anche modello di quella preghiera silenziosa che si esprime nell’adorazione eucaristica quale rinnovazione della grazia della celebrazione. Presiedendo la liturgia, il sacerdote non solo celebra la fede, ma nutre e accresce la fede del popolo di Dio. Nella misura in cui ogni celebrazione sarà una “epifania dell’amore”, da quest’amore non mancheranno di scaturire fiorenti vocazioni sacerdotali e religiose[6].
Note
[1] Prefazio della Messa crismale.
[2] Cfr. CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della CEI, Commissione Episcopale per la Liturgia a vent’anni della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium [21.9.1983], in ECEI 3, 1523-1548.
[3] Cfr. SACRA CONGREGATIO PRO SACRAMENTIS ET CULTU DIVINO, Instructio Inaestimabile donum de quibusdam normis circa cultura mysterii eucharistici, 3 aprilis 1980: AAS 72 (1980) 331-343; EV 7,288-323; GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Vicesimus quintus annus nel XXV anniversario della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia [4.12.1988]: AAS 81 (1989) 898-918; EV 11,1567-1597.
[4] “Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola” (At 6,4; cfr. 1,14; 2,42).
[5] Cfr. GIGLIONI P., La formazione liturgica dei presbiteri, in Liturgia 56 (1990) 542-554.
[6] Sul rapporto “Liturgia e vocazioni” si veda il Documento CEI, Vocazioni nella Chiesa italiana. Piano pastorale della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, 26.05.1985, in ECEI 3/2435-2516 [qui in particolare 2472-2477]; utile anche il Documento del CNV, Piano pastorale per le vocazioni in Italia, 10.07.1973, in ECEI 2/293-372.