N.01
Gennaio/Febbraio 1996

Una chiesa locale progetta “vocazionalmente” il cammino verso il Giubileo del 2000

Per il quinquennio 1996-2000, il CNV propone di rivisitare il versante della “risposta umana” all’Amore di Dio entrato nella storia con la storia di Cristo: è un percorso entusiasmante, è un’occasione straordinaria per vivere il Giubileo come conversione alla “vocazione”. Come possiamo farci fedeli a quanto Dio aspetta da noi in questo momento?

 

Occorre rileggere la pastorale in chiave vocazionale

Perché dobbiamo rileggere tutta la pastorale in chiave vocazionale? Nella esortazione Apostolica “Pastores dabo vobis” (1992), Giovanni Paolo II ricorda una verità, che illumina vocazionalmente tutto il mistero della Chiesa. Egli dice al n. 34: “La pastorale vocazionale esige, oggi soprattutto, d’essere assunta con un nuovo, vigoroso e più deciso impegno da parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è piuttosto, come hanno ripetutamente affermato i padri sinodali, un’attività intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa, una cura che deve essere integrata e pienamente identificata con la cura delle anime cosiddetta ordinaria, una dimensione connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa, ossia della sua vita e della sua missione”.

Perché il Papa fa questa affermazione coraggiosissima? Qual è il fondamento teologico di questa lettura della pastorale vocazionale “identificata pienamente con la cura delle anime cosiddetta ordinaria”?

Il Papa stesso avverte la gravità dell’affermazione e risponde subito, dicendo: “Sì, la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa. La ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo senso, l’essere profondo della Chiesa, prima ancora del suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente convocazione, assemblea dei chiamati”.

Sono parole di grande profondità e di entusiasmante bellezza. Dobbiamo tuttavia riconoscere che, nella comunità cristiana, è ancora molto fievole (e talvolta, ahimè!, inesistente) la consapevolezza che l’appartenenza alla Chiesa sia una “vocazione”: per molti l’essere cristiano è semplicemente e solamente un fatto sociologico; in altre parole: molti si sono trovati cristiani, ma non hanno letto in profondità questo fatto e non ne hanno colto la natura meravigliosa di dono, di chiamata, di vocazione.

Per la prima generazione cristiana non era così. Lo stupore della chiamata segnava tutta l’esperienza dei cristiani ed emergeva continuamente come chiave di lettura irrinunciabile e insostituibile della esperienza cristiana. San Paolo – per fare soltanto un esempio – inizia così la Lettera ai Romani: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione… Per mezzo di Lui abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del Suo Nome; e, tra queste, siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo” (Rm 1,1.5-6).

E, scrivendo ai cristiani di Corinto, l’apostolo li saluta così: “Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sostene, alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro” (1Cor 1,1-2).

Nel corso della Lettera, poi, parlando delle varie situazioni in cui si trovavano i Corinzi al momento dell’Annuncio del Vangelo, l’Apostolo torna ad usare il termine “chiamata” per indicare l’inizio del cammino di fede e, in ultima analisi, tutto il cammino della fede; “Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era circonciso? Non si faccia circoncidere! La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo; non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato (1 Cor 7,18-24). In questo testo impressiona l’insistenza dell’Apostolo sul fatto della chiamata.

Scrivendo ai Galati, Paolo affronta il problema sorto nella comunità con queste significative parole: “Mi meraviglio che così in fretta da Colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo” (Gal 1,6). 

E, ai cristiani di Efeso, l’Apostolo raccomanda “Vi esorto dunque, io il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’umiltà dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,1-3).

Riflettendo attentamente sulle parole dell’Apostolo, appare chiaro che non solo la vita cristiana inizia con una chiamata, bensì tutta la vita cristiana è chiamata – vocazione. Il cristiano, allora, è una persona in continuo ascolto e in continua risposta: egli vive la sua vita nello stupore di un invito, che l’ha portato dentro “la tenda dell’incontro con l’Amore di Dio, che è la Chiesa”, e cammina ascoltando la voce del Signore, che dà a ciascuno un percorso personale di Amore dentro una fraternità, che è il Mistico Corpo di Cristo.

A questo punto si capiscono in tutta la loro ricchezza le parole del Papa: la pastorale vocazionale “può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come Mysterium Vocationis” (PdV, 34). È decisivo tutto questo. Ed è urgente recuperare questa lettura vocazionale del mistero della Chiesa per restituirla a tutto il popolo cristiano, affinché diventi un criterio di lettura della vita cristiana, inquietando salutariamente ogni impostazione di vita che prescinda dal binomio “ascolto-risposta”.

Ecco, allora, alcune proposte per vivere “vocazionalmente” il cammino verso il Giubileo.

 

 

 

Andando verso il 2000

 

Anno 1996

Un umile e coraggioso esame di coscienza. Scrive il Santo Padre: “È giusto che, mentre il secondo Millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo Spirito di Cristo e dal Suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo (TMA, 33).

Sono parole coraggiosissime, che possono certamente applicarsi anche al campo della pastorale vocazionale. Madre Teresa di Calcutta un giorno esclamò: “Manca spesso la testimonianza gioiosa della vita. Quello che siamo, parla molto più forte di quello che diciamo”. Ed ha aggiunto: “Molti, senza parlare, sembra che dicano: Guardate che cosa mi è capitato! Costoro non attireranno a Cristo, ma saranno un ostacolo per arrivare a Lui”.

Non varrebbe la pena che ogni presbiterio e ogni comunità religiosa si interrogasse sulla qualità della proposta che arriva ai giovani attraverso la vita delle persone prese singolarmente e comunitariamente? Dopo l’eroica morte di Mons. A. Romero, venne notata a San Salvador una vera primavera vocazionale: evidentemente la forte testimonianza dell’uomo di Dio aveva bussato alla porta della libertà di tanti giovani, inquietando le loro scelte di comodo e di egoismo.

Di “quale” vocazione “parla” la vita dei sacerdoti e dei consacrati? Quanto la loro vita “canta” la vocazione? Credo che sarebbe tanto proficua un’assemblea di Clero o un’assemblea di comunità religiose su questo tema: “la ‘nostra’ responsabilità nella crisi vocazionale; la ‘nostra’ conversione per una conversione vocazionale della comunità cristiana nella quale viviamo”.

 

Anno 1997

“Sarà dedicato alla riflessione su Gesù Cristo” (TMA, 40). Molti cristiani non conoscono più il Cristo! E molta predicazione non annuncia più Gesù Cristo! Non potrebbe essere, allora, un anno propizio per riscoprire il volto di Dio in tutta la novità che Gesù ci ha fatto vedere e incontrare?

Il Papa propone per questo anno la riscoperta del Battesimo “come fondamento dell’esistenza cristiana, secondo la parola dell’Apostolo: Quanti siete battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,27)” (TMA, 41).

Pensate che bella opportunità sarebbe vivere un anno con la sola preoccupazione di verificare la nostra personale accoglienza di Cristo e la risonanza di Cristo in tutta la nostra attività pastorale! Tutto questo si presta a luminosi percorsi di iniziative: esercizi spirituali, giornate di deserto, intenso percorso quaresimale in vista della rinnovazione delle promesse battesimali. Riscoprire il battesimo è riscoprire la vita cristiana come “vocazione”.

 

Anno 1998

“La Chiesa non può prepararsi alla scadenza bimillenaria in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo. Ciò che nella pienezza del tempo si è compiuto per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può emergere dalla memoria della Chiesa” (TMA, 44).

Il Papa propone di riscoprire il sacramento della “Confermazione”. È un sacramento, la cui importanza andrà crescendo notevolmente nel prossimo futuro. Già ora, in occasione della Confermazione di adolescenti e di giovani e di adulti, si respira una forte tensione di fede.

Vale la pena dare a questo appuntamento un preciso connotato vocazionale (con strumenti e iniziative semplici, ma appropriate e condivise da tutti) per dire ai giovani che la fede è una chiamata, che ogni cristiano ha una specifica vocazione, che non è possibile eludere la domanda: “Dio, cosa vuole da me?”. Seminiamo! Noi abbiamo questa consegna!

 

Anno 1999

“Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si riscopre ogni giorno l’amore incondizionato per ogni creatura umana, ed in particolare per il ‘figlio perduto’” (TMA, 49). Spesso la nostra proposta vocazionale è rivolta esclusivamente ai soli giovani, che frequentano la nostra comunità. Eppure ci sono tanti lontani con nostalgia di ritorno; ci sono tanti lontani con il cuore vicino.

Perché non tentare qualche via nuova di proposta vocazionale? Sì, la proposta vocazionale ai “lontani”. Sono convinto che, se la faremo, ci saranno tante sorprese.

 

Anno 2000

“Il duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell’Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina” (TMA, 55).

Qui le iniziative potrebbero essere innumerevoli. Ma, innanzi tutto, occorre ricreare nelle nostre comunità lo spirito eucaristico, cioè il senso del mistero e il senso della presenza del gesto di Amore del Crocifisso e il senso della comunione come partecipazione di amore all’Amore di Cristo.

Per i sacerdoti è un’occasione per verificare il “linguaggio” della loro Eucaristia: cosa dice, cosa trasmette, cosa fa vedere il “loro” modo di celebrare l’Eucaristia? Quando la “loro” vita è coinvolta nell’Eucaristia? Il modo di celebrare l’Eucaristia è certamente un messaggio vocazionale!

Per la comunità cristiana è il momento culminante del giubileo: davanti all’Amore di Dio, quale è la nostra risposta? Una verifica di questo genere è “vocazionalmente” esplosiva. Apriamo le vele dell’anima alla speranza: il vento dello Spirito soffia e certamente la fine di un millennio è un’ora di ripresa, di riscoperta, di giovinezza della Chiesa.