N.01
Gennaio/Febbraio 2001

Chi segue Gesù sperimenta ogni giorno la fecondità del suo appello

Sfogliando il Vangelo ci si imbatte sovente in alcune scene di incontro in cui Gesù assume un atteggiamento particolare: non si limita a parlare con i suoi interlocutori o a risolvere i loro problemi, ma interviene in modo diverso perché propone di seguirlo entrando a far parte della sua comunità di vita. Si tratta delle pagine più belle del Vangelo perché ricordano i primi episodi di vocazione della Nuova Alleanza. Dopo secoli di storia della Chiesa, il fascino di tali pagine del Vangelo non si è ancora esaurito e tutti coloro che sono chiamati a seguire Cristo avvertono la profonda carica di suggestione che emana dalle pagine evangeliche che ricordano la storia dei primi chiamati. La storia di ogni vocazione si radica nel gesto semplice ma impegnativo con cui Cristo ha voluto chiamare gli uomini a seguirlo.

Gesù, infatti, non viveva “da solo”, ma aveva costituito attorno a sé una comunità di uomini e di donne che condividevano la sua ansia apostolica seguendolo ovunque andasse: “Egli se ne andava per le città e per i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del Regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da varie infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che li assistevano con i loro beni” (Lc 8,1-3).

Questa comunità di persone si era formata con il passar del tempo perché, probabilmente, all’inizio della sua attività apostolica, Gesù era del tutto solo. Egli, infatti, aveva iniziato la sua presenza salvifica fra gli uomini come un qualsiasi predicatore itinerante dedicando il proprio tempo alla preghiera, all’attività ascetica, al bene dei fratelli e all’annuncio della Parola di Dio. Attorno a lui, all’inizio, non c’era nessuno a condividere la sua vita e la sua missione. La solitudine di Gesù, però, non fu molto lunga perché, ben presto, il fascino esercitato dalla sua originale figura di predicatore-taumaturgo e l’irresistibile attrattiva del suo messaggio gli procurarono un vasto e crescente movimento di simpatia e di entusiasmo popolare.

E in questo clima di grande fervore popolare e di incondizionata adesione alla figura e al messaggio di Gesù che matura la decisione di chiamare attorno a sé altre persone. Nasce, così, il primo nucleo della comunità cristiana. La scelta dei Dodici da parte di Gesù rappresenta un fatto quanto mai importante perché segna una svolta ben precisa nella sua attività salvifica. La storia della vocazione cristiana ha la sua vera legittimazione nella libera decisione di Gesù di avere dei collaboratori. Nessuno, infatti, può fare tutto da solo. Tutti hanno bisogno di aiuto e il Figlio di Dio ha voluto chiedere la collaborazione degli uomini. Il suo Regno è anche frutto della collaborazione umana.

E, così, come ogni altro Maestro della Legge, anche Gesù si è, ben presto, circondato di un gruppo di persone che lo accompagnavano dovunque andasse e che, con il passare del tempo, seppero condividere in un modo sempre più profondo sia il suo insegnamento come anche gli stessi successi ed insuccessi della sua attività salvifica.

Ma, Gesù non ha voluto solo dei collaboratori. Ha anche preteso che i suoi discepoli vivessero con lui per condividere il mistero della sua persona. La vocazione cristiana è un appello a farsi contemplativi e testimoni dell’amore. Gesù è andato ben oltre l’esperienza di discepolato dei Maestri della Legge del suo tempo.

In tale prospettiva, le scene di vocazione del Vangelo hanno qualcosa di nuovo rispetto a quelle dell’Antica Alleanza. Nel Vangelo, Gesù non chiede solo collaborazione, ma anche condivisione e partecipazione profonda al mistero della sua persona. Colui che è chiamato deve imparare a vivere con lui e a farsi adoratore del Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23). I Dodici, prima di essere ufficialmente investiti del compito di continuatori dell’attività salvifica di Gesù di Nazareth, Cristo, hanno trascorso con lui un lungo periodo di formazione che ha avuto il suo momento culminante nell’esperienza della Pasqua, quando Egli ha affidato a loro il compito di annunciare il Vangelo a tutte le creature e di battezzarle nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. Mt 28,18-20).

Quando Gesù chiama qualcuno non chiede solo una collaborazione ministeriale. Ai suoi discepoli chiede, soprattutto, di fare esperienza del suo mistero. Prima di essere apostoli, bisogna imparare a vivere con lui e a condividere con lui i valori fondamentali del Vangelo. Chi annuncia il Vangelo è un testimone che vive in prima persona i valori che propone. Prima dell’apostolato c’è l’esperienza della fede, un primato da non dimenticare.

Perciò, la vocazione cristiana non può essere considerata alla stregua di una qualsiasi professione umana. Nella chiamata di Gesù c’è qualcosa di nuovo rispetto al semplice affidamento di un compito ministeriale ben preciso. L’Apostolo deve essere prima di tutto un uomo di Dio perché è nella preghiera, nel silenzio del cuore e della vita, oltre che nella sofferta e consapevole acquisizione dei valori evangelici, che matura il vero discepolo di Cristo. Gesù per i suoi discepoli è, soprattutto, il “Maestro” perché la sua prima preoccupazione non è stata quella di avere dei collaboratori, ma di formare i suoi chiamati ad uno stile di vita veramente evangelico (cfr. Mt 5,17,29; 10,1-42; 13,152; Lc 11,1-16).

Gesù, dopo aver tracciato nella Sinagoga di Nazareth il suo programma (cfr. Lc 4,1 6,30), si è, poi, recato a Cafarnao dove ha guarito un gran numero di ammalati (cfr. Lc 4,31-41). Ma, il suo cuore doveva essere in subbuglio perché gli abitanti di Nazareth lo avevano respinto con un tentativo di linciaggio senza precedenti, mentre quelli di Cafarnao lo volevano trattenere per sempre con loro. Queste due situazioni, così diverse e contrapposte fra loro, mettono in risalto tutte le difficoltà “umane” di Gesù ad affrontare da solo le complesse vicende connesse con la sua attività salvifica.

Non sappiamo che cos’è che ha concretamente spinto Gesù a cercare dei collaboratori. Sappiamo solo che fino a questo punto egli è solo e che da questo momento sarà sempre accompagnato da altre persone la cui funzione è già ben precisa fin dagli inizi: seguiranno Gesù nel suo itinerario di predicazione vivendo con lui (cfr. Lc 5, 11) e saranno pescatori di uomini (cfr. Lc 5, 10).

La scena della chiamata dei primi discepoli avviene in un contesto geografico quanto mai pittoresco: siamo in riva al lago di Tiberiade. Egli stava in piedi e la folla si stringeva attorno a lui per poter ascoltare la Parola di Dio. Vide, allora, sulla riva, due barche vuote. I pescatori erano scesi e stavano lavando le reti. Gesù salì su una di quelle barche, quella che apparteneva a Simone, e lo pregò di riprendere i remi e di allontanarsi un po’ dalla riva. Poi, sedette sulla barca e si mise ad insegnare alla folla (cfr. Lc 5, 1-3). Gesù non sale sulla barca di uno sconosciuto, dato che Simone gli era già noto per aver guarito la sua suocera (cfr. Lc 4, 38-39). Si fa portare al largo e incomincia a predicare alla folla. L’immagine è quanto mai suggestiva e solenne: mentre Gesù sta parlando, Simone, stando al timone, deve cercare di mantenere in equilibrio la barca. La gente è in parte con i piedi nell’acqua e in parte sulla riva in atteggiamento di ascolto.

Dopo aver terminato di parlare, Gesù assume una insolita iniziativa: “Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse a Simone: prendi il largo e poi gettate le reti per pescare”  (Lc 5, 4).

Alla proposta di Gesù, che non era un uomo di mare e, quindi, era considerato un incompetente, Simone oppone la propria esperienza di pescatore: “Ma, Simone gli rispose: Maestro, abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso niente” (Lc 5,5). Tuttavia, Simone ha uno slancio di generosità e dà fiducia a Gesù: “Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). E, qui, succede un fatto apparentemente senza spiegazione umana: “E, avendole gettate, presero una grande quantità di pesci tanto che le loro reti stavano quasi per rompersi. Allora fecero cenno ai loro compagni che erano nell’altra barca perché venissero ad aiutarli. Essi, vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano” (Lc 5,6-7).

Simone ubbidisce alle parole di Gesù ed ancora una volta è costretto a riconoscere la sua straordinaria potenza. Dopo la guarigione della suocera (cfr. Lc 4,38-39), deve nuovamente inchinarsi davanti a Gesù ed ammettere di trovarsi davanti a un nuovo prodigio perché egli non aveva mai fatto una pesca così abbondante. La sua esperienza di pescatore era stata contraddetta da Gesù. Non poteva credere a quello che era successo. Quindi, anziché esultare, Simone incomincia a preoccuparsi. Sa di avere davanti a sé un uomo diverso ed ha paura. In ciò che era successo c’era il dito di Dio e lui era un peccatore. La sua reazione è tipicamente giudaica. Altrettanto fanno anche gli altri: “Appena si rese conto di quello che era successo, Simone si gettò ai piedi di Gesù dicendo: allontanati da me, Signore, perché io sono un uomo peccatore. In effetti, Simone e i suoi compagni Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, e tutti quelli che erano con lui erano rimasti sconvolti per la straordinaria quantità di pesci che avevano preso” (Lc 5,8-10).

La reazione di Simone e degli altri pescatori nei riguardi di Gesù è di palese imbarazzo. L’ingenuità ma anche la sincerità ebraica di Simone tocca il cuore di Gesù. Le sue parole lo hanno colpito in profondità. La confessione di Simone che afferma la sua indegnità diventa il presupposto di una vocazione del tutto imprevista. Gesù ha apprezzato la sua affermazione di “povertà umana” e l’ha voluta premiare.

Quando Gesù riprende la parola, il suo tono diventa improvvisamente diverso. Si chiarisce il senso della pesca miracolosa. Quel gesto aveva uno scopo ben preciso: “Ma, Gesù disse a Simone: non temere, d’ora in poi tu sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). Sono parole, indubbiamente, impreviste. Invitano Simone e gli altri suoi amici a dimenticare il proprio passato e a rivolgersi verso un nuovo ideale di vita. Ed essi accettano senza discutere: “Ed essi, allora, dopo aver riportato le barche verso la riva, abbandonarono tutto e andarono con Gesù” (Lc 5,11). Se le parole di Gesù sono state sconcertanti, ancora più sbalorditivo deve essere stato l’atteggiamento di Simone e degli altri pescatori.

Obbedendo a Gesù che lo invitava a gettare le reti, Pietro è diventato un simbolo di tutti coloro che avrebbero sentito, in seguito, la stessa proposta di Gesù. Nella sua capacità di scommettere tutto per Cristo, c’è per tutti noi uno stimolo a fare altrettanto perché il fascino della chiamata di Gesù continua a sedurre uomini e donne di ogni tempo. Quel giorno, sulle rive del lago, nella risposta di Pietro c’eravamo anche noi. Nel suo “sì” c’è anche un pezzo della nostra risposta perché nel gesto di Simone e dei suoi compagni c’è tutto il fascino di una chiamata che ancora oggi continua a risuonare nel mondo e ad essere vissuta con altrettanto coraggio e radicalità.

L’evangelista Giovanni nel registrare la vocazione dei primi discepoli di Gesù, ha guardato, senza dubbio, al tempo della Chiesa anch’esso ricca di chiamate da parte di Gesù, che siede sulla riva del lago e continua a chiamare gli uomini perché condividano la sua missione e si facciano testimoni del suo mistero. Ogni vocazione ha un proprio scopo di fecondità perché la pesca miracolosa, che prepara la vocazione di Simone, è anticipatrice dell’attività benefica di Pietro e della Chiesa.

Chi segue Gesù è chiamato a sperimentare ogni giorno la fecondità del suo appello.